SUDAN - L'emergenza continua"Rischio disintegrazione" per il paese africano dove in 10 anni la guerra ha provocato 1.000.000 di vittimedi Claudio MoniciSudd, in arabo è "impedimento", ostacolo. È qui nella parte meridionale del Sudan, che il Nilo bianco si impaluda. Nel nord la terra è di colore rossobruno, territorio desolato, arido. Il vento del deserto, modella le rocce. Bahr EI Abiad (Nilo bianco), Bahr EI Azrak (Nilo azzurro): Nilo, il fiume più lungo del mondo, 6.670 chilometri. Nilo, la via naturale dell'espansione dell'Islam nell'Africa nera. Nilo che a Khartoum si fonde in un unico grande fiume per correre verso il Mediterraneo; a sud, dove abita un terzo della popolazione di africani cristiani animisti, porta la spaccatura sociale e razziale del continente oppresso da una ormai endemica guerriglia che si contrappone a quella parte arabo-musulmana che ha sempre considerato il Sudd terra di conquista. L'indifferenza della comunità internazionale di fronte a questa tragedia sostiene ancora di più la continuazione della guerra, offrendo ai contendenti l'unica carta della "soluzione finale". Ma il Sudan è un Paese troppo grande, dieci volte l’Italia, e solo 28 milioni di persone, e quindi difficilmente controllabile. "E la guerra, proprio per questa ragione non potrà mai avere fine, se non con una pace negoziale e seria", dichiara una fonte diplomatica occidentale a Khartoum. Una guerra che, sostenuta anche dalla carestia, ha ucciso un milione di persone in dieci anni (ma il conflitto tra nord e sud è scoppiato nell'agosto del 1955); 3,5 milioni di affamati, quasi 5 milioni di sfollati, su 6 milioni e mezzo di abitanti del sud Sudan. "Le offensive dei militari di Khartoum, così come le lotte intestine tra le fazioni della guerriglia, guerra ideologica e di potere, provocano più vittime tra i civili; civili costretti a lasciare le loro terre, uccisi dai bombardamenti e messi alla fame dalla mancanza di approvvigionamenti" commenta un operatore umanitario. Recentemente il quotidiano statunitense Washington Post, citando un rapporto confidenziale dei servizi di informazione Usa, scriveva che "40 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari nel 1995 a causa della moltiplicazione dei conflitti etnici o religiosi: 24 le nazioni che quest'anno saranno teatro di guerra. Sei sono i Paesi - afferma sempre il rapporto confidenziale - dove la situazione è più grave e tra questi vi è il Sudan: a rischio disintegrazione". Violenza chiama violenza; e nei villaggi e città dell'Equatoria - regione riserva di petrolio, oro e di frutta che nasce spontaneamente - è diventato difficile per gli agricoltori coltivare la terra per il pericolo delle azioni militari e delle mine, migliaia di profughi Dinka, Shilluk e Nuer si incamminano verso il nord. Affollano le baraccopoli alla periferia delle città, di Khartoum (oltre un milione di displaced), Wad Medani, El Obeid. E poi la fuga in Kenya e nel vicino Uganda, nella già affamata Etiopia. Ma quello che ancor di più opprime e schiaccia le popolazioni del sud Sudan in perenne esodo sono "i massicci abusi dei diritti umani a cui sono sottoposte anche se lontane dai cannoni, dove la violazione della libertà individuale in alcune aree del nord è di routine: repressine politica e sociale", denuncia un rapporto di Amnesty International. La terza commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato il 13 dicembre scorso una risoluzione di condanna contro le autorità del Sudan, chiedendo di fermare le violazioni contro i diritti dell'uomo, in particolare gli attacchi aerei contro i civili nel sud Sudan. Ma la guerra nel Paese non ha solamente la caratteristica di un fronte distinto tra truppe inquadrate nell'esercito del nord e guerriglieri del Spla (esercito popolare di liberazione del Sudan). Già la guerriglia è divisa e si combatte tra sè. Per la supremazia delle varie tribù del sud sulle altre. Inoltre tribù arabizzate, conosciute col nome di Baggara (tradizionalmente allevatori di bestiame), con forti caratteri negri e originarie della parte centrale del Paese, riportano alla luce le storie che i nonni raccontavano ai ragazzini la sera nei tucul; uomini vestiti di bianco che facevano razzie di giovani e ragazze nei villaggi della loro terra. E questo non tanto tempo fa. La situazione in Sudan è presto riassunta dal rapporto 1994 sullo stato della carestia nel Corno d'Africa redatto dalla Fao: la critica situazione alimentare nel Sudan è il risultato del rapido esaurimento delle scorte alimentari ma anche dal persistere della guerra civile. Ogni giorno cresce il numero delle persone in cerca di cibo. Sfollati, affamati e malati che percorrono chilometri a piedi. Malnutrizione che colpisce il 50 per cento dei bambini. Ogni mese, è l'allarme dell'Unicef di Ginevra, "sarebbero necessarie 15 mila tonnellate di soccorsi alimentari e sanitari". Ma per continuare l'azione umanitaria in Sudan servono anche soldi e i Paesi donatori stanno esaurendo le scorte. Ma le borse si chiudono anche per una certa stanchezza nell'elargire fondi a perdere, e aiuti, che sempre di più frequentemente vanno ad aumentare - secondo quanto raccontano gli operatori umanitari - questo conflitto senza fine. Aiuti che invece di entrare nelle pance degli affamati ingrassano e sostengono i militari dell'uno e dell'altro fronte che si contendono il sud del Paese. Le vie per impossessarsi della carità internazionale sono molte, la più semplice è la razzia. La più occulta è l'impossessamento del materiale appena varcata la dogana sudanese.
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