Liberia. Hanno perso tutti, anche l'onore di Paolo Cereda * Pubblicato su "Popoli e Missione" In verita’ i combattimenti a Monrovia delle scorse settimane - "scoperti" dagli italiani per la presenza di una famiglia di connazionali, poi salvati dagli elicotteri americani insieme agli altri stranieri - sono un episodio di una guerra dimenticata che stringe da piu’ di sei anni l'unico paese africano senza passato coloniale. Sayon combatte dal 1990. "Nell'agosto ho visto i ribelli uccidere mio padre - racconta -. Stavamo scappando da Monrovia. Ha chiesto pieta’, ha detto di non essere un soldato e di voler stare con i suoi figli. Sono rimasto a guardare mentre gli legavano le braccia dietro la schiena. Poi gli hanno sparato alla testa e all'addome. E' caduto con la faccia a terra e lo hanno preso a calci... Ho fatto un lunghissimo viaggio da solo, con l'immagine di mio padre per terra che lottava contro la morte". Sayon aveva nove anni e venne subito reclutato e addestrato per uccidere. "Durante il primo attacco avevo paura e allora l'ufficiale mi ha dato 10 pillole. Mi sentivo coraggioso... Ho ucciso tanta gente che ho perso il conto. Quando supplicavano, non li sentivo... Mi pento solo di aver venduto a troppo poco il mio bottino: videocassette, stereo e vestiti... Di notte vedo le loro facce. Devo fumarmi una canna per dormire bene. Ho molta paura, di notte". Pace di carta Accusando di omicidio Roosevelt Johnson, capo di una fazione, gli altri signori della guerra creano il pretesto per rompere la tregua e saccheggiare Monrovia, la capitale. Ai primi spari, i bambini-soldato come Sayon in cura al Centro di assistenza hanno ripreso il kalashnikov, sono tornati a uccidere e rapinare per le strade. Una certa euforia aveva accompagnato ad Abuja (Nigeria), il 26-27 agosto 1995, la firma del tredicesimo accordo di pace. Solite condizioni dei dodici precedenti e non rispettati: cessate-il-fuoco, governo di transizione - con il prof. Wilton Sankawulo come presidente e i vari capi-banda a spartirsi i ministeri, secondo la potenza di fuoco -, disarmo dei combattenti ed elezioni multipartitiche entro 12 mesi. Presente alla firma la Comunita’ internazionale, con George Moose per gli Stati Uniti e Canaan Banana per l'Oua, oltre ai presidenti dei paesi della regione. Gli accordi mostrano subito una fragilita’ estrema: a Monrovia i signori della guerra, fino allora rimasti nelle campagne, fanno ingresso trionfale con tanto di gente armata "per loro protezione personale". Amos Sawyer, presidente del governo precedente, ne denuncia l'ambiguita’: Non e’ possibile far parte di un governo e al tempo stesso mantenere un'identita’ geo-politica diversa (cioe’ il territorio conquistato come feudo personale), che combatte contro il governo stesso. Il prof. Alaric Togbah, della University of Liberia, afferma che se si da’ potere ai capi-banda senza disarmarli, questi usano le armi per difendere il potere che gli abbiamo dato. Funeste previsioni che non tardano ad avverarsi: Liberia 1996, un paese che esiste solo sugli atlanti geografici; un paese vuoto: su una popolazione di 2,7 milioni di abitanti, 150.000 sono stati massacrati, altri 350.000 sono morti per conseguenza della guerra, quasi un milione sono scappati nei paesi vicini o sfollati nella capitale; il 95% della gente dipende dagli aiuti internazionali; ci sono circa 60.000 guerriglieri armati - di cui molti minorenni e almeno 2.000 bambini-soldato, baby killers come Sayon - che da sei anni saccheggiano il paese, sotto il comando di una decina di signori della guerra; la forza di pace interafricana, l'Ecomog, e’ di fatto diventata una delle fazioni in lotta. Il silenzio della Comunita’ internazionale e’ quasi totale. Unica risposta: un po' di aiuti umanitari per metterci la coscienza a posto. Da schiavi a padroni Fino al 1800 la "Costa del pepe", come indicano le mappe portoghesi, e’ conosciuta per gli empori commerciali controllati dalle compagnie di navigazione europee. Nel 1821 la American colonization society, fondata per riscattare gli schiavi degli Stati Uniti, acquista quella terra per farne una "colonia libera". Le prime famiglie di ex-schiavi si insediano con l'accordo dei capi locali. La Liberia diventa cosi’ nel 1847 la prima Repubblica indipendente dell'Africa, anche se la tutela americana non ha mai cessato di essere onnipresente nelle vicende del paese. Il 1920 registra tensioni socio-economiche tra i discendenti degli schiavi, detti congo, e gli autoctoni a maggioranza mandingo: i primi infatti, con l'appoggio Usa, sono diventati la classe dominante, mentre i secondi vengono sfruttati nelle piantagioni e nelle miniere con metodi che ricordano lo schiavismo. La crisi mondiale del '29 aggrava la situazione: lo Stato viene salvato dalla bancarotta per l'intervento finanziario della Firestone, in cambio di migliaia di ettari da sfruttare a caucciu’ per i pneumatici. Da quel momento la Firestone diventa uno "stato nello stato", con propri soldati, ferrovia, porto, aeroporto, radio, banca. Nel 1943 il presidente William Tubman rafforza i legami economici e politici con le grandi companies statunitensi. Nel 1971 William Tolber prosegue sulla stessa linea, scatenando tra la popolazione autoctona impoverita rivolte sociali e scioperi repressi nel sangue. Il colpo di stato non si fa attendere: il 12 aprile 1980 il sergente Samuel K. Doe rovescia il governo con l'intento di favorire la popolazione locale e massacra Tobler, i suoi ministri e molti afroamericani. Il regime di Doe mostra subito la sua vera faccia: nella logica dei blocchi est-ovest gioca al rialzo con americani e russi, rimanendo poi saldamente ancorato in campo occidentale, mette nelle mani dei suoi famigliari e del clan, di etnia khran, le leve del potere: esercito, miniere, piantagioni, flotta commerciale... Da allora i suoi avversari tentano di rovesciarlo senza successo. I signori della guerra La notte di Natale 1989, con l'attacco al posto di frontiera di Loguatuo i guerriglieri del Npfl (National patriotic front of Liberia) di Charles Taylor iniziano la guerra. Taylor - afroamericano, ex-funzionario delle Dogane del regime di Doe caduto in disgrazia per ammanchi di cassa, rifugiatosi negli Usa, poi in Libia - dichiara di voler riscattare i congo, facendo leva sul malcontento contro il presidente di etnia khran e strumentalizzando il fattore tribale. In pochi mesi di scontri con le forza armate (Afl), seguiti da massacri e rappresaglie sui civili, il Nplf controlla quasi il 90% del territorio. Lungo il sentiero di sangue della guerra civile vi sono anche numerosi corpi di religiosi, in maggioranza pastori metodisti e protestanti ma anche diverse suore cattoliche. Il 5 agosto 1990 i marines Usa evacuano gli Occidentali e passano il dossier liberiano in sede Onu. Le Nazioni Unite "indigenizzano" le risposte alla crisi, delegando l'Oua che a sua volta passa la palla alla Cedeao (la Comunita’ dei paesi dell'Africa occidentale). Il 25 agosto scatta l'operazione di peace enforcement dei caschi bianchi Ecomog: 12.000 soldati in maggioranza nigeriani. Poco dopo il loro arrivo a Monrovia, i soldati Ecomog si trasformano da forza d'interposizione a parte in causa nella lotta per il potere. Da allora il paese e’ nelle mani di bande armate che hanno fatto della guerra e del saccheggio il motore di una fragile quanto spietata economia di sopravvivenza. Quasi ogni mese si crea un nuovo gruppo di fuoco, una nuova sigla di combattenti che difende un pezzo di terra, una strada, un ponte su cui accampa diritti neofeudali di sovranita’: Npfl, Inpfl, Ulimo-K, Ulimo-J, Ingu, Afl, Lpc, Ldf... Tuttavia i vari gruppi fanno riferimento ai due principali protagonisti del mattatoio liberiano, Charles Taylor (Npfl) e Alhaji Kromah (Ulimo-K), che sostengono in armi e denaro i sotto-gruppi che si battono al loro posto, per poter dire di aver rispettato gli accordi di pace con l'Onu e rifarsi cosi’ un'immagine internazionale. Il business continua Insospettisce, nel caos e nell'anarchia di questa no man's land, che i numerosi traffici commerciali non si siano mai arrestati, anche nelle fasi piu’ cruente della guerra: la "maledizione" della ricchezza. Gli impianti della Firestone continuano a trasformare il caucciu’; oro, diamanti e legname pregiato - sfruttati da compagnie straniere o dalle stesse bande armate - lasciano il paese sulle piste per la Costa d'Avorio, dai porti controllati dalle fazioni, dall'aeroporto internazionale di Zwedru, unica porta esterna per Taylor - difeso strenuamente contro l'Ulimo-K. E' con questo sistema di sfruttamento selvaggio delle risorse naturali che i gangsters liberiani finanziano le loro guerre private. I combattimenti tra Ecomog e Ulimo nella citta’ di Tubmanberg - cento i civili uccisi - pare abbiamo all'origine il controllo delle miniere di diamanti. L'unica risorsa consumata come "vuoto a perdere" e’ la popolazione. L'essere umano - uomo, donna o bambino - acquista valore solo quando imbraccia il mitra. L'impossibilita’ dell'azione umanitaria per violenze, saccheggi, raket e insicurezza del personale e’ un'aggravante alle sofferenze dei civili. Piuttosto che negoziare l'accesso alle vittime con le diverse feudalita’ di guerra, le organizzazioni umanitarie hanno scelto di stare con i profughi, fuori dal paese. Il vescovo Michael Françis parla di una generazione psicologicamente distrutta; della chiamata di Mose’ da parte di un Dio saturo del grido del suo popolo, delle bambine stuprate, dei bambini drogati e trasformati in assassini, della gente massacrata mentre invoca pieta’. Ma Mose’ risponde che fara’ di tutto per il popolo in esilio: nutrira’ i bambini affamati, cerchera’ vestiti e coperte, curera’ gli ammalati. Ma non andra’ dai Faraoni che controllano il paese, perche’ lo uccideranno prima di ascoltarlo. Intanto gli ultimi Occidentali hanno di nuovo lasciato il paese sotto la protezione dei marines americani. * Caritas Italiana