AfricaLa Francia si sta allontanando dall'Africa?di James Brew
Il passaggio di poteri del regime Mobutu nell'ex Zaire e il cambiamento di governo a Parigi hanno provocato un totale ripensamento dei rapporti complessi, ambigui e spesso passionali della Francia con le sue ex colonie a sud del Sahara. Il governo socialista prefigura un impegno a favore della democrazia, la riforma del ruolo militare della Francia, e l'eventuale creazione di un'agenzia indipendente di aiuti internazionali. La capacità del governo del Primo Ministro Lionel Jospin di trasformare i suoi pensieri radicali in azioni dipenderà in maniera decisiva dalla buona volontà del Presidente Jacques Chirac, che ha oscillato tra riforma e reazione. La politica estera è una prerogativa presidenziale, ma la questione degli aiuti è controllata dal governo, e questo dà del potere a Jospin. Jospin, le cui origini protestanti sanno ai francesi di rigore puritano, potrebbe mantenere la parola. Anche prima che arrivasse al potere, c'erano segni che la politica francese in Africa stesse cambiando. Il passaggio di poteri di Mobutu - preceduto quest'anno dalla morte di Jacques Foccart, consigliere sull'Africa di diversi presidenti francesi - sembrava segnare la fine dell'epoca della diplomazia francese degli intrighi in Africa. Il nuovo governo ha già inviato una scossa attraverso l'Africa francofona con i suoi piani per il ritiro di circa tremila degli ottomilaquattrocento soldati stabilmente stanziati in sei paesi africani entro l'anno 2002. Speciali accordi di difesa e di assistenza, che hanno retto per più di trent'anni, dovranno essere riscritti. La Francia ha accordi di cooperazione militare con ventitre paesi africani, e patti per la difesa con otto. I responsabili per la Difesa hanno suggerito che si mantenga la base militare più grande di Djibuti, Africa orientale, oltre agli insediamenti strategici più piccoli in Costa d'Avorio, Gabon e Senegal. Un esperto di questioni della difesa, Malik Patel, dice che gli otto accordi bilaterali di difesa e i ventitre accordi di cooperazione tra Parigi e singoli paesi africani sarebbero sostituiti con accordi regionali con gruppi di paesi africani. La Francia è anche favorevole a una forza di pace pan-africana. La Francia ha sostenuto presidenti africani amici - comunque spesso insediati dai militari francesi - con aiuti, appoggio tecnico, addestramento militare e, in alcuni casi, con interventi militari. L'anno scorso il Presidente Jacques Chirac ha dichiarato che i giorni dell'intervento unilaterale erano finiti: la Francia non avrebbe più assunto il ruolo di 'gendarme dell'Africa'. Eppure fino ad ora Chirac non ha dato segno che la Francia si stia allontanando dall'Africa. Il nuovo uomo della Francia per l'Africa, Charles Josselin, descrive le nuove relazioni franco-africane come 'un'associazione tra adulti responsabili in un'economia aperta'. Non ha comunque smesso il condizionale - la modalità chiave che garantisce gli aiuti. Persistendo nelle aspettative della Francia nella 'marcia verso la democrazia' ha aggiunto che 'saremo più esigenti con i paesi che andranno meglio ecnomicamente.' Il suo Ministero (della cooperazione) è stato tradizionalmente il centro di una rete di contatti personali, sostenuti da nove milioni di dollari di aiuti allo sviluppo, attraverso i quali la Francia controllava le sue proprietà in Africa. Il nuovo governo lo ha ridimensionato, trasformandolo in un dipartimento del Ministero degli Esteri. L'influenza, un tempo forte, della Francia in Africa, è andata drammaticamente scemando da quando è crollato il regime Mobutu. Il passaggio in Zaire da Mobutu all'attuale Presidente Laurent Kabila completa una rete di amici e alleati che vanno dall'Angola all'Eritrea, da cui ci si aspetta che diano una nuova forma al continente attraverso una propria immagine, e che cancellino la carta coloniale dell'Africa disegnata alla conferenza di Berlino delle potenze europee nel 1884. Guidati dal Presidente dell'Uganda Yoweri Museveni, sono un gruppo ristretto di leader africani - tutti uomini con rispettabile abilità militare che, nella maggior parte dei casi, hanno combattuto per arrivare al posto che occupano. Si sono imbarcati in un'ambiziosa offensiva per mettere fine al conflitto tra civili nell'Africa centrale. Museveni guida ma non domina la potente coalizione di leader africani che stanno dietro a Laurent Kabila, un gruppo di individui dalla volontà eccezionalmente forte, istintivamente reticenti a sottostare a chiunque altro. La coalizione, oltre a Museveni e Kabila, include Paul Kagame del Rwanda, Issayas Aferworki dell'Eritrea, Meles Zenawi dell'Etiopia, il comandante delle forze militari dell'Angola, generale Joao de Matos, che rappresenta Luanda, e John Garang de Mahoir dell'Esercito di Liberazione Popolare del Sudan. Molti si sono incontrati la prima volta negli anni settanta in Tanzania, sotto gli auspici dell'allora presidente della Tanzania Julius Nyerere e della sua cerchia di politici. Alcuni, come Museveni, hanno studiato all'università di Dar es Salaam. Ma l'opprimente povertà dell'Uganda limita la possibilità di Museveni di finanziare simili imprese: è previsto che il suo Prodotto Interno Lordo cali di due punti in percentuale - per la prima volta in un decennio - fino al 6,5 per cento a causa delle barriere commerciali e dell'instabilità. Gli strateghi della politica francese in Africa lamentano che il decrescere dell'influenza del loro paese nel continente è parte di un'infame cospirazione. Circolano tre versioni: la congiura Gringo, che comprenderebbe un segreto sostegno militare di Washington a Museveni e Kabila in modo da erodere gli interessi culturali e economici francesi in Africa Centrale; la congiura les Anglo-Saxon, che si collega a un grandioso disegno americano, e la congiura Tutsi/Hima, in cui Kagame e Museveni si alleano con i loro fratelli camiti in Etiopia e in Eritrea per destabilizzare il sistema statale in Africa Centrale e Orientale. La Francia rimane di gran lunga il maggiore contribuente nell'assistenza allo sviluppo in Africa, e nel lungo periodo vorrebbe coltivare legami più stretti tra l'Africa del sud e la zona aderente alla Comunità Finanziaria Africana (CFA) dell'Africa del nord, dell'ovest e del centro, dove la sua influenza è tradizionalmente più forte. Gli aiuti della Francia - attualmente lo 0,55 per cento del suo PIL - sono comunque molto maggiori di quelli della Gran Bretagna o della Germania. Va detto che la Francia è stata più pronta a ascoltare le grida di aiuto dell'Africa della maggior parte delle nazioni europee. Nel 1995 ha ratificato la cancellazione di prestiti per lo sviluppo a paesi CFA per il valore di 4,2 miliardi di dollari (venticinque miliardi di franchi). L'importanza della zona CFA per la Francia non è economica. La somma del PIL dei quattordici membri africani (incluse le Comore) nel 1993 era il quattro per cento di quello francese. Il Tesoro francese, i cui problemi interni includono uno sforzo per tagliare il deficit del budget in un momento di massiccia disoccupazione, non produrrà più valuta per l'Africa. La Francia sta adesso consigliando ai paesi africani che tutela di accettare la svalutazione della moneta in cambio di crediti da parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, e di una sostanziale riduzione del debito. Ci sono indicazioni per l'eliminazione della Zona del Franco a favore di una moneta interamente africana. La posizione ufficiale della Francia è che i governi della zona CFA debbano perseguire con forza l'integrazione regionale economica e commerciale. I paesi della Zona tendono a produrre beni di consumo e di industria leggera analoghi, e a coltivare le stesse colture. Con mercati domestici così piccoli il potenziale per una maggiore integrazione è limitato. La Francia ha ottenuto un sostegno economico supplementare per le sue ex colonie dalla banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dall'Unione Europea. I paesi più poveri dell'Africa occidentale sembrano essersi ripresi bene dopo la svalutazione, ma la gestione economica degli stati dell'Africa centrale, compresi il Gabon e il Congo-Brazzville, ricchi in petrolio, non incontra ancora i criteri del Fondo Monetario Internazionale. Ma è nelle vaste riserve di petrolio del Gabon e del Congo che risiedono gli interessi francesi. Chirac è deciso a proteggerli. Concorda con il fatto che l'Africa francofona debba liberalizzare il commercio e aprire le sue economie a investimenti diversi da quelli francesi, ma esita di fronte a un'assunzione del controllo americana. Anche se nominalmente membro del 'club anglosassone', il Sudafrica percepisce soltanto vantaggi nell'accrescersi dell'interesse francese. Imprese francesi dell'acqua, delle telecomunicazioni e ingegneristiche hanno cominciato a riempire il vuoto lasciato dal ritiro dei tre giganti francesi dell'automobile negli anni ottanta. Hanno già spinto la Francia al sesto posto nell'elenco dei partner commerciali del Sud Africa. Attualmente la Francia importa l'uno per cento delle esportazioni Sudafricane, e i funzionari sudafricani dicono che sperano di incrementare il commercio del cinquanta per cento nell'arco dei prossimi tre anni. Gli analisti sostengono che le prospettive per gli investimenti francesi in Sud Africa e la grande Comunità di Sviluppo dell'Africa Meridionale (South African Development Community, SADC) sono buone e c'è una crescita nelle joint venture tra imprese dei due paesi.
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