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Versione italiana

N.1 - Marzo 1998

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Recensioni

"Out of America", di Keith Richburg, New York 1996

di Fr. Joseph Caramazza

Richburg è un giornalista, da tre anni a Nairobi come corrispondente del Washington Post. L'autore è stato molto deluso dall'Africa; la sua non è stata un'esperienza piacevole, soprattutto per un uomo che considerava l'Africa la "terra madre". Richmond è un autore di colore, fattore che, con sua grande sorpresa, nella terra dei suoi avi ha giocato a suo sfavore.

La permanenza dell'autore in Africa ha coinciso con alcune tra le peggiori tragedie del continente: Rwanda, Zaire, Somalia. Il libro inizia proprio con il resoconto di una di queste situazioni. In piedi sul fragile ponte sul fiume Kagera, insieme ad altri corrispondenti stranieri, Keith conta i cadaveri trasportati dalla corrente. E il conto sembra non fermarsi mai. Le sue osservazioni lo portano a pensare l'impensabile: "Grazie a Dio, i miei antenati sono stati portati in America". "Sì", afferma, "non posso essere d'accordo sulla schiavitù, ma è stata la schiavitù a dare a me e ad altri milioni di persone la possibilità di vivere in America."

Capitolo dopo capitolo, queste pagine comunque coinvolgenti inducono il lettore a un'amara analisi. Praticamente in nessuna pagina del libro è possibile trovare una nota positiva sull'Africa o sugli africani.

Certo, l'esperienza di un reporter, così spesso chiamato a occuparsi di guerre e disastri, non può essere paragonata a quella di una persona normale che vive in un ambiente normale, partecipando alle gioie e ai dolori della vita della gente comune. Della gente comune, tutto quello che Richburg ha da osservare è che "hanno sostituito la Regina con l'Uomo Forte... per l'africano comune, in difficoltà ma onesto e rispettoso della legge, poco o nulla è cambiato. " L'Uomo Forte, qualsiasi sia il paese che governa, è un uomo pieno di "scuse per i fallimenti e le ipocrisie". Richburg cerca di capire perché l'Africa si trovi in questa situazione; giunge a tre conclusioni e avanza una proposta.

Agli africani manca la disciplina, per questo anche i progetti migliori non vengono realizzati. Disciplina significa pianificare e valutare, significa lavorare fuori orario per il bene del progetto, significa albergare un'onestà innata nei confronti del bene comune.

Gli africani devono ammettere che il loro nemico è all'interno. Stanco di ascoltare le interminabili lamentele contro i "colonialisti", che si considerano la causa di tutti i mali africani, Richburg si chiede perché altre nazioni, come la Corea, la Tailandia, le Filippine, che hanno sofferto la dominazione coloniale, abbiano un'attività fiorente e siano tanto avanzati tecnologicamente, ormai sul punto di raggiungere il "Primo Mondo.

La cospirazione del silenzio. Molte volte, spiega Richburg, ha sentito accusare l'Uomo Bianco di cospirare contro l'Africa. E in effetti esiste una cospirazione, dichiara, ma è quella degli africani che rimangono in silenzio davanti alla corruzione, alle cause e ai perpetuatori delle loro tragedie.

In fin dei conti il libro di Richburg è gradevole, ma non sorprende che la maggior parte delle pubblicazioni africane lo abbiano tacciato di razzismo e superficialità. A me sembra più che altro il frutto di una promessa infranta. L'analisi è chiara e, per la maggior parte, corretta. Ma il discorso cambia quando Richburg avanza le sue proposte.

Richburg vede la soluzione dei problemi dell'Africa nella ridefinizione dei confini. Afferma che un'Africa federata, separata lungo le linee tribali, certamente risponderebbe meglio alle aspettative della gente, e consentirebbe lo sviluppo di una nuova forma di democrazia.

Secondo me si tratta di un sogno fasullo. Con quali popolazioni dovremmo identificarci oggi? Certamente non possiamo risalire alle origini ancestrali delle diverse tribù africane. Il Kenya, ad esempio, come potrebbe trovare la pace, visto che le varie popolazioni si sono sovrapposte nel corso dei secoli? La proposta di Richburg è il risultato di una totale mancanza di speranza che permea tutto il libro: dato che non possono vivere insieme in pace, lasciateli tornare alle loro riserve!

Sebbene concordi in molti punti con "Out of America", non posso accettare un giudizio sull'Africa totalmente negativo. Richburg sembra trascurare le molte persone che si adoperano per il cambiamento, la gente onesta che lavora duro. Non riesce a vedere il seme di speranza nel viaggio che molti gruppi, soprattutto ecclesiastici, stanno compiendo. Forse è chiedergli troppo.

Considero questo libro un buon strumento per noi missionari all'estero. Può aiutarci a focalizzare meglio la nostra esperienza. Tuttavia dobbiamo distaccarci dall'analisi di Richburg, offrendo qualcosa che ci è più consono: la speranza che l'Africa possa cominciare una nuova vita; la speranza che il cambiamento sia possibile.

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