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N.34 - Febbraio 2001

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Kenya

Musulmani e cristiani uniti contro Moi

Di Kathy Majtenyi

Esponenti religiosi e difensori dei diritti umani stanno mettendo sotto accusa il governo del Kenya ed alcuni leader politici che ricorrono alla vecchia strategia del "divide et impera", per fomentare divisioni religiose e politiche e quindi, in ultima analisi, rallentare o addirittura fermare necessari cambiamenti costituzionali atti a garantire i diritti civili di tutti i kenyoti.

Scena 1: il 26 novembre una folla si raduna nella citta di Kisumu per far sapere a quelli del comitato consultivo PCK (Commissione Popolare del Kenya), che fa capo all'iniziativa Ufungamano, quali cambiamenti desiderano che vengano portati alla Costituzione del Kenya. Il terzo oratore si avvicina al podio e con un urlo tremendo fa a pezzi una sedia, richiamando l'attenzione su un gruppo di giovani armati di panga, bastoni ed asce, pronti ad attaccare i convenuti. Questi giovani, che si ritiene appartengano al National Development Party di Raila Odinga, Partito che si oppone all'iniziativa, attaccano, ferendo la gente e distruggendo tutto ciò che si trovano davanti.

Scena 2: il 30 novembre si alzano alte le fiamme da un incendio alla moschea di Nairobi Sud B, mentre la stessa cosa si verifica in una chiesa cattolica il giorno dopo. Mentre i due luoghi di culto sono divorati dalle fiamme, da tutt'e due le parti, gruppi di giovani scalmanati lanciano pietre, picchiano la gente, rubano, saccheggiano negozi ed, in generale, creano intorno a se un panico indescrivibile. Esponenti religiosi di Ufungamano arrivano sul posto per cercare di ristabilire la calma e vengono travolti; l'Arcivescovo Anglicano David Gitari viene colpito malamente alla testa da una pietra e si salva per miracolo grazie all'intervento di esponenti musulmani che con dei fedeli lo sottraggono ai facinorosi.

Ma, allora, viene da domandarsi, queste due scene sono da porre in relazione, oppure sono due manifestazioni senza alcun nesso che le accomuni? Il commissario di Ufungamano e portavoce del PCK, Zein Abubakar e Anthony Njui, segretario nazionale della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Cattolica keniota concordano nel ritenere che questi eventi sono il risultato dello stesso disegno di dividere per comandare.

Scene come quelle descritte in precedenza stanno diventando sempre più comuni in Kenya dove la gente si sta muovendo ed organizzando perché vengano finalmente portati dei cambiamenti alla Costituzione del paese. Il movimento Ufungamano è un'iniziativa cui partecipano più di cinquanta organizzazioni laiche e religiose avviata in dicembre dello scorso anno con l'intento di rilanciare un precedente tentativo di riforma andato a vuoto. Si tratta del tentativo dal più alto profilo e dalla base di consenso più ampia messo in atto per presentare, con un adeguato supporto popolare, una proposta di riforma costituzionale.

Abubakar spiega che, all'interno di Ufungamano, il PCK è l'organizzazione che si occupa di raccogliere opinioni della gente nei villaggi e nelle città ricorrendo ad incontri comunitari aperti a tutti ed in altri modi. La comunità religiosa, costituita da cristiani, musulmani ed indu, fa da moderatrice per scongiurare attriti nelle discussioni e assicurare una guida adeguata per dirigere il processo verso una logica conclusione. Sempre secondo il portavoce la ragione per cui alla comunità religiosa è stato affidato questo compito risiede nel fatto che i Kenyoti hanno ancora fiducia nelle istituzioni religiose, mentre nel contempo egli si preoccupa di sottolineare che si tratta della prima collaborazione multi-confessionale fra cristiani e musulmani nella storia del Kenya.

Ed è proprio questo che rende l'iniziativa Ufungamano particolarmente vulnerabile. Infatti, secondo i suoi membri, rappresentanti religiosi e attivisti dei diritti umani, l'incidente di Kisumu è abbastanza sintomatico del modo in cui il sistema, dalla polizia al governo del partito al potere (il KANU, Kenya African National Union) affronta le sfide alla sua autorità; la violenza a Sud B rivela infatti il tentativo diretto a scatenare una guerra religiosa mettendo cristiani e musulmani gli uni contro gli altri. Oumo Akoth, funzionario della commissione kenyota dei diritti umani, aggiunge che gli atti di violenza di cui si è detto erano destinati a distogliere l'opinione pubblica dalla questione costituzionale e nel contempo associare all'anarchia l'iniziativa Ufungamano. Non ci si deve dimenticare infatti che quegli atti di violenza hanno avuto luogo pochi giorni dopo che i membri di Ufungamano erano stati attaccati a Kisumu e ci sono le prove che questo episodio è avvenuto con il pieno appoggio del governo. Infatti, anche se si stanno ancora cercando le prove del fatto, sembra assodato che alcuni dei picchiatori di Kisumu erano poliziotti, e non teppisti o seguaci di Raila, come era stato detto.

Il conflitto a Nairobi Sud B ha avuto inizio quando organizzatori e giovani musulmani hanno cercato di recintare un terreno di loro proprietà vicino alla moschea chiedendo ai commercianti della vicina baraccopoli, che avevano costruito i loro chioschi abusivi nella zona, di sloggiare. Questi ultimi, a loro volta, avevano protestato affermando che il governo aveva concesso loro il terreno. Un folto gruppo di commercianti ed abitanti della baraccopoli si era allora raccolto circondando i musulmani e minacciando di dar fuoco alla moschea. La polizia, intervenuta, aveva bloccato i giovani musulmani che cercavano di difendere la moschea, mentre i commercianti vi facevano ingresso appiccando il fuoco. La polizia si era limitata ad osservare sghignazzando e quando l'autista della macchina di Gitari era accorso dalla polizia che stazionava lì intorno per informarla che la folla stava per uccidere l'Arcivescovo Anglicano, questi si era sentito chiedere da un ispettore cosa ci fosse venuto a fare lì l'Arcivescovo e che si poteva tranquillamente lasciare che lo uccidessero.

Tutto questo viene riferito da Abubakar che è rimasto a sua volta leggermente ferito negli scontri e che aggiunge che la sua organizzazione ritiene che fosse presente una terza forza, a suo parere organizzata dai servizi segreti kenyoti. Egli stesso del resto ha riconosciuto in uno di quelli che maggiormente incitavano alla violenza da parte musulmana un poliziotto, travestito da musulmano. All'inizio il governo ed i leaders dei partiti politici avevano fatto richiami alla calma e chiesto alla gente di non interpretare il conflitto come una guerra religiosa , ma poi il ministro Shariff Nassir, come riportato dal Daily Nation del 4 dicembre scorso, mutando atteggiamento, ha incitato i giovani musulmani invitandoli con parole di questo tenore a " ...rispondere alle provocazioni con ancora più forza, perché io sono un capo pronto a sacrificarsi per la sua gente a cui non piacciono i codardi...".

Secondo Akoth ed i leaders religiosi di Ufungamano che si sono espressi con una dichiarazione congiunta ad una conferenza stampa tenutasi alla presenza della Conferenza Episcopale kenyota, del Consiglio Nazionale delle Chiese del Kenya e del Consiglio Supremo dei Musulmani kenyoti, questa non è la prima volta che il governo kenyota utilizza a proprio vantaggio lo scontro fra gruppi e categorie diverse del paese. In questa dichiarazione si esprime il forte sospetto che la violenza sia istigata o per lo meno consentita per distogliere l'attenzione della gente dai gravi problemi reali che li affliggono e dall'urgente bisogno di rivedere la Costituzione. C'è inoltre il sospetto che possa esistere ora un piano per fomentare, con lo scopo di causare divisioni nel paese, devastanti scontri religiosi dopo averlo fatto provocando i dolorosissimi scontri etnici che, come tutti ricordano, si sono verificati in Kenya nel recente passato.

Il governo del Kenya ha comunque negato, per bocca del Ministro della Sicurezza Marsden Madoka, ogni coinvolgimento negli scontri a Sud B, affermando anche che non c'è ombra di prova e che ...il suo governo non è tanto ingenuo (da commettere azioni del genere). Del resto, il Presidente Daniel Arap Moi ha affermato che non ci pensa neanche a lasciare il potere, mentre si da un gran da fare a dipingere tutti gli altri leaders del paese come dei provincialotti tribali, per far emergere se stesso come l'unico leader nazionale che può fare il bello e brutto tempo incitando la gente alla rivolta per poi fermarla e disponendo in generale dell'ordine e del disordine a suo piacimento.

Ibrahim Lethome, avvocato di Nairobi e consulente legale del consiglio supremo dei musulmani kenyoti sottolinea che gli scontri di Sud B hanno sortito un risultato opposto a quello previsto. Invece di spezzare la coalizione interconfessionale hanno di fatto ravvicinato i leaders religiosi ed i fedeli molto più di prima ed a questo proposito cita la dichiarazione congiunta ed il salvataggio da parte dei musulmani dell'Arcivescovo Gitari. Ma fa riferimento anche alla preparazione in atto di incontri di preghiera interconfessionali ed altri eventi utili ad evidenziare che il legame fra le diverse fedi si è rafforzato. L'avvocato aggiunge infine che musulmani e cristiani condividono l'interesse fondamentale di assicurare un cambiamento della Costituzione kenyota, in quanto gran parte dei problemi in cui si dibatte il paese afferisce all'ambito della moralità, ambito nel quale le Chiese e le Moschee hanno un grosso ruolo da giocare nello sforzo di correggere i mali che affliggono la società di questi tempi.

Specialmente negli ultimi dieci anni la riforma costituzionale è stato un argomento di primo piano nel Paese. Dopo la prima elezione multipartitica del 1992 si è verificato un consenso nazionale sulla necessità che la Costituzione venisse emendata per affrontare meglio gli squilibri di potere che producono abusi dei diritti umani, corruzione, cattiva gestione ed altro genere di malgoverno. Un'operazione di riforma destinata anche a tener conto dei cambiamenti intervenuti dall'indipendenza del paese nel 1964 ad oggi. Si tenga infatti nel dovuto conto che la Costituzione vigente è quella originale redatta a Lancaster House nel Regno Unito nel 1963.

Alla vigilia delle elezioni del 1997 il governo aveva proposto una legge che avrebbe dovuto costituire una commissione per sentire il parere dei kenyoti sulla riforma costituzionale, con lo scopo finale di avere gli elementi per emendare la Costituzione: Ma l'opposizione aveva respinto la legge affermando che la commissione così come veniva proposta non era abbastanza rappresentativa e indipendente. Dopo le elezioni un gruppo di parlamentari di tutti i partiti si era accordato di avviare degli incontri per modificare la legge originale. Rappresentanti della comunità religiosa, partiti politici, organizzazioni non governative, gruppi femminili, avevano elaborato un disegno di legge che era stato poi firmato dal Presidente e divenuto legge lo scorso ottobre. Ma quando si è trattato di nominare i membri della nuova commissione, nonostante i migliori sforzi di riconciliazione della Chiesa, i partiti politici non sono stati in grado di decidere chi nominare e diversi mesi dopo i rappresentanti religiosi hanno cercato una riconciliazione generale ad un incontro alla Ufungamano House a Nairobi, dove l'iniziativa stessa aveva visto la luce.

Nei prossimi mesi il PCK si darà da fare per raccogliere il punto di vista dei kenyoti riguardo la riforma costituzionale per poi preparare un rapporto ed una bozza di Costituzione che sarà presentata ad una conferenza nazionale il prossimo luglio. I cambiamenti alla Costituzione che vengono particolarmente caldeggiati dai vari gruppi riguardano fra l'altro la separazione dei poteri, esecutivo e giudiziario e l'indipendenza del Parlamento; la detenzione senza processo, l'eliminazione della pena di morte e, dulcis in fundo, il potere del Parlamento di incriminare e, se occorre, imporre le dimissioni del Presidente.

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