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N.53 Novembre

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Kenya

L’acqua costa più in Africa che negli USA

Di Zachary Ochieng

Per molti paesi in via di sviluppo, Kenya incluso, assicurare alla gente acqua potabile e servizi igienici adeguati rischia di rimanere una vana speranza, come confermano diversi rapporti presentati al Summit della Terra tenutosi a Johannesburg. Nelle baraccopoli la gente paga l’acqua dalle 5 alle 20 volte più di un americano.

Duecento Paesi del mondo si sono riuniti a Johannesburg, in Sud Africa, per la Conferenza Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile. In linea di principio si sono trovati tutti d’accordo nel porsi l’obiettivo di dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non dispone ancora d’acqua sufficiente e sicura e di servizi igienici adeguati. Purtroppo, questo proponimento rischia di rimanere un sogno, un vano proposito.

Secondo il rapporto sullo Sviluppo Umano 2002 delle Nazioni Unite, oltre un miliardo di persone non è in condizione di bere acqua potabile, mentre 2,4 miliardi, oltre un terzo della popolazione del pianeta, nel 2000, non aveva accesso a servizi igienici di alcun genere. Ma, sono i poveri che vivono in aree urbane dimenticate e malsane del mondo in via di sviluppo che sopportano il peso maggiore di questa tremenda situazione.

Un’indagine condotta all’inizio di quest’anno dai consulenti di Strategy&Tattics, Research International East Africa e PriceWaterHouse&Coopers dimostra che la disponibilità di servizi essenziali è quanto mai limitata in tutte le Province del Kenya, eccetto Nairobi. La ricerca, il cui titolo è: "Kenya: Stato della Nazione, un rapporto fondato su un’indagine a tappeto", è stata condotta, come dice il titolo, in tutto il Paese. I requisiti dell’indagine prevedevano che si indagasse su tutti i Distretti del paese, così come pure su un certo numero di divisioni amministrative minori, scelte a campione. L’iniziativa ha portato a svolgere 8.000 interviste, almeno 500 per Provincia e 100 per Distretto. Nella selezione degli intervistati è stata utilizzata una metodologia a campione casuale.

Secondo la ricerca, solo un intervistato su 20, il 5%, possiede un gabinetto con acqua corrente nella sua abitazione, mentre 1 su 8, il 13%, dichiara di non disporre di alcun servizio igienico in assoluto. Il rapporto aggiunge che solo 1 intervistato su 20 riceve acqua tramite un rubinetto collegato ad una condotta che gli entra in casa, mentre il 9% dispone di un rubinetto nel cortile. Un terzo degli intervistati, il 32%, si procura l’acqua da un fiume o da un invaso prodotto da una diga. Quanto rilevato espone uno scenario estremamente preoccupante in termini di malattie legate all’insalubrità e alla disponibilità dell’acqua, come si può facilmente capire.

La ricerca fa presente, inoltre, che ulteriori gravi rischi per l’ambiente e per la salute della popolazione sono legati alla quanto mai limitata disponibilità di servizi di rimozione e smaltimento dei rifiuti. Solo l’1% degli intervistati vive in una località in cui si assicura un servizio di nettezza urbana. Il 35% della popolazione si libera dei rifiuti ammucchiandoli in spazi all’aperto, scelti casualmente.

L’indagine, infine, riferisce che la raccolta e il trasporto dell’acqua sono visti come un’incombenza prettamente femminile, con l’85% delle famiglie che identifica al suo interno una donna per questo ingrato lavoro. Un’attività che la ricerca spiega essere molto impegnativa, assorbendo gran parte del lavoro di quasi tutta la famiglia nell’arco della giornata. Oltre il 22% delle famiglie che non dispongono d’acqua corrente in casa o nel cortile risulta dedicare più di 2 ore al giorno alla raccolta e al trasporto dell’acqua per l’utilizzo di casa.

Tutto ciò si verifica nonostante la disponibilità di acqua potabile sicura e di servizi igienici adeguati siano considerati fra i diritti umani fondamentali. Secondo diverse dichiarazioni e risoluzioni delle Nazioni Unite ogni individuo ha il diritto di essere protetto dalle malattie e da qualsiasi minaccia per la sua salute causati da acqua insufficiente o malsana e da servizi igienici inadeguati.

I riscontri ed i dati disponibili dimostrano che le famiglie povere delle baraccopoli e dei quartieri degradati sono costrette a comprare acqua da venditori privati a prezzi molto alti; questi commercianti pullulano sempre più in queste aree, dove non si preoccupano minimamente di utilizzare gli stessi camion cisterna alternativamente per il trasporto di acque nere di scarico e di acqua potabile. Ne consegue ovviamente che l’acqua in commercio è spesso contaminata e fonte di gravi pericoli per la salute di coloro che la consumano. La rapida e sconsiderata crescita di certe aree urbane del Kenya e di altri paesi in via di sviluppo ha di gran lunga superato il limite di capacità di risposta delle rispettive Municipalità nel provvedere i servizi essenziali, cui consegue una forte diminuzione della qualità della vita, una produttività ridotta ed uno smisurato aumento dei bisogni sanitari e dell’inquinamento ambientale.

Una ricerca elaborata da Habitat (organismo delle Nazioni Unite) in collaborazione con il governo del Kenya, intitolata: "Nairobi: un’analisi della situazione 2001" dipinge un quadro ancora più pesante. Secondo l’indagine un milione e mezzo di abitanti di Nairobi, circa il 60% della popolazione ufficiale prefigurata in due milioni e mezzo, vive in squallidi tuguri situati in bassifondi e insediamenti spontanei. Il rapporto fa presente che le famiglie di Kibera, la baraccopoli più grande di Nairobi e di tutta l’Africa centrorientale, sono costrette a pagare un litro d’acqua dalle 5 alle 20 volte di più di un cittadino americano medio.

Il Kenya è uno dei 60 Paesi che hanno firmato la Dichiarazione Ministeriale di Bonn, che assegna la massima priorità all’acqua ed ai servizi igienici, quali elementi chiave dello sviluppo sostenibile. Il Kenya è anche firmatario della Dichiarazione di Rio de Janeiro, che riconosce nell’acqua, nei servizi igienici e nell’igiene in generale gli interventi prioritari e di massima importanza in un Continente che soffre in modo tanto acuto della loro mancanza. Tutto ciò rimane comunque, a tutt’oggi, un bel proponimento, un sogno irraggiungibile.

Secondo le statistiche ogni giorno nel mondo muoiono 6.000 bambini a causa di malattie legate alla mancanza d’acqua potabile, servizi igienici e condizioni igieniche accettabili. Nell’ormai lontano ottobre del ’95, l’UNEP, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Ambiente, riunì in conferenza i maggiori esperti d’acqua africani che si trovarono d’accordo nel considerare che soddisfare il diritto di ognuno a disporre d’una quantità ragionevolmente sufficiente di acqua potabile era la sfida più importante che politici e pianificatori si trovavano ad affrontare nei dieci anni a venire.

Per concludere, almeno una nota positiva. Un’organizzazione regionale con filiale in Kenya nella città di Homa Bay si è impegnata in un progetto per migliorare i servizi igienici. L’ECOVIC, Organizzazione delle Comunità dell’Africa Orientale per la Gestione del Lago Vittoria e delle Sue Risorse, in collaborazione con CARE-Kenya ha iniziato a costruire nel distretto di Homa Bay latrine ecologiche, denominate ECOSAN. Si prevede che il progetto possa essere esteso ad altri distretti della regione del Lago Vittoria, in particolare Busia, Bondo, Siaya, Nyando, Migori, Rachuoyno e Suba.

Le latrine ECOSAN hanno la caratteristica di poter raccogliere urine e feci da utilizzarsi come fertilizzante in agricoltura. Questi piccoli e semplici impianti costituiscono un’alternativa perfetta ai sistemi sanitari a sciacquone o a fossa biologica. Funzionano sulla base del principio del riutilizzo igienizzato delle deiezioni umane, che consiste nella ri-circolazione dei nutrienti, piuttosto che dell’acqua.

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