From: Bruno Giacomazzo

NIGERIA: LA GUERRA DEL PETROLIO
Collettivo Senza Frontiere di Parma


shell nigeria Il petrolio, di cui la Nigeria è tra i primi sette produttori mondiali e primo produttore dell’Africa Subsahariana, dovrebbe costituire la principale fonte di arricchimento per la popolazione nigeriana, oltre 100 milioni di abitanti, circa un sesto dell’intera popolazione africana.
In realtà gli unici a trarre vantaggio dalle estrazioni dai pozzi sulla terraferma e off-shore sono da una parte le grandi multinazionali degli idrocarburi, a cominciare dal colosso Shell che controlla circa la metà del greggio complessivo, passando per le varie Total, Mobil, Elf , Texaco, Chevron e la nostrana Agip: gli altri beneficiari degli introiti da esportazione petrolifera sono la cricca di governanti ultra-corrotti pescati regolarmente all’interno dell’elite di etnia hausa-fulani che nel periodo coloniale ha fornito agli inglesi le basi per il governo indiretto, mentre oggi costituisce la garanzia dello status quo (e il dominio economico delle multinazionali) sotto forma di governo militare.

Chi dai giacimenti petroliferi non guadagna proprio nulla sono gli appartenenti alle oltre 250 diverse etnie che compongono la popolazione nigeriana, in particolare i popoli che si trovano a risiedere nelle zone di estrazione del petrolio, nell’area del delta del fiume Niger che corrisponde grosso modo agli stati di Rivers, Bendel, Cross River (la Nigeria è uno stato federale) ,nel sud-est del paese già teatro della guerra del Biafra tra il 1967 e il 1970.

In questa zona, dove non esiste un’etnia dominante, le cosiddette minoranze etniche, estremamente frammentate sono costrette a subire tutte le nocività dell’attività di estrazione senza poter godere, neanche indirettamente, delle ricchezze estratte nei loro territori dalla fine degli anni ’50.

Si tratta di popoli di pescatori-agricoltori che hanno da sempre mantenuto un buon equilibrio con un ambiente estremamente delicato, costituito da un intreccio di corsi d’acqua a forte salinità data la vicinanza del litorale, in cui si sviluppano foreste di mangrovia. Il delicato ecosistema è stato distrutto dall’attività estrattiva, un inquinamento da crimine provocato da centinaia di perdite di greggio dai pozzi e dalla rete di condutture in superficie, completamente arrugginite e usurate, (la logica richiederebbe per lo meno l’interramento dei tubi degli oleodotti, ma evidentemente tutto ciò potrebbe essere troppo dispendioso per le compagnie petrolifere) dalle fughe di gas (prodotto secondario dell’estrazione di petrolio) che viene lasciato bruciare così da illuminare sinistramente la notte nel mentre si liberano miasmi asfissianti: tutto ciò ha provocato la morte di tutte le specie ittiche della zona, di buona parte della fauna e l’inquinamento del suolo coltivabile, distruggendo il sistema produttivo alla base della sopravvivenza di questi popoli che non si vedono restituito il maltolto né sotto forma di risarcimento, né sotto forma di vantaggi indiretti: nei villaggi del delta non c’è luce, nonostante da qui parta energia per tutto il pianeta, le vie di comunicazione con il resto del paese sono quasi inesistenti, non ci sono sufficienti infrastrutture sociali come scuole o ospedali, la mancanza di acqua potabile causa una disastrosa diffusione della gastroenterite. Ironia della sorte, qui come in tutta la Nigeria, a fasi alterne viene a mancare la possibilità di disporre di carburante.

Occorre considerare che, grazie alla compiacente e corrotta concessione del governo nigeriano, potenzialmente tutto il territorio dell’area del delta è soggetto a diritti di esplorazione e di estrazione che possono autorizzare le compagnie petrolifere ad invadere le terre e le zone di pesca dei villaggi: le concessioni sono state fatte dal governo centrale senza neanche consultare le popolazioni interessate.

L’esproprio delle terre ha raggiunto proporzioni massicce: ogni pozzo viene circondato per un’area di circa due ettari da un recinto per impedire l’ accesso agli abitanti del luogo ( i pozzi in questa zona sono centinaia), altri espropri vengono effettuati per far passare gli oleodotti con il loro carico di potenziale inquinamento.

Il “rimborso” per gli espropri, quando viene pagato, si riduce a cifre ridicole; la legislazione anti-inquinamento, già ampiamente lacunosa viene ignorata dalle compagnie petrolifere.
Il cosiddetto sviluppo, arrivato sotto forma di industria di estrazione e lavorazione del petrolio, ha portato alle popolazioni del Delta miseria e sottosviluppo: le operazioni industriali nell’area hanno fatto sì che i produttori locali siano passati dalla produzione per l’esterno di beni agricoli di consumo (olio di palma in primo luogo) alla esportazione della loro mano d’opera, verso le megalopoli nigeriane o verso altri paesi africani o occidentali, Italia compresa.

L’industria petrolifera, altamente automatizzata e richiedente personale specializzato, è assolutamente incapace di assorbire questo surplus di forza lavoro, eccetto che per i lavori più umili e duri. I tecnici, i direttori, gli amministratori, i lavoratori specializzati sono per lo più stranieri: sia nelle città che in prossimità dei pozzi si sono così sviluppate le colonie di questi privilegiati che risiedono in costruzioni dotate di elettricità, acqua potabile, con accesso a una rete di strade private, scuole, centri medici, clubs, protetti da guardie private e dalla polizia federale. L’alto livello di vita e il forte potere d’acquisto del personale delle compagnie contrasta duramente con la miseria della popolazione.

A fronte di questa situazione le lotte delle etnie locali per l’affermazione dei propri diritti, contro gli espropri della terra e contro l’inquinamento, per la redistribuzione verso il basso della ricchezza rapinata si sono manifestate con forza non appena ci si è reso conto che l’oro nero portava solo disgrazie e che i petrodollari andavano a rafforzare il regime dittatoriale e il dominio delle multinazionali.

E’ difficile reperire documentazione su episodi volutamente nascosti dai media occidentali ma, grazie ad oppositori del regime qualcosa negli anni è trapelato: si tratta di avvenimenti che fanno la storia dell’umanità, sono parte del conflitto che oppone le classi subalterne al dominio imperialista del capitale, allo “sviluppo” costruito solo nell’interesse del profitto, conflitto tanto più importante e drammatico perché avviene nel cuore di una delle zone dove l’interesse delle multinazionali è più forte.

La rivolta e le proteste della comunità Uzere tra la fine degli anni ’70 e l ’inizio degli anni ’80 era stata scatenata dall’esproprio della quasi totalità del loro territorio coltivabile, del quale si era impossessata la Shell per installare 39 pozzi di petrolio ed effettuare altre ricerche.
Contro le installazioni petrolifere si sono nel tempo andati moltiplicando sia gli atti di sabotaggio che gli attacchi armati e le invasione delle proprietà delle compagnie petrolifere : nel luglio 81 avvengono episodi di un certo rilievo: oltre 10.000 abitanti di Rukpokwu, nell’area di Port Harcourt bloccarono l’accesso a 50 pozzi di petrolio nell’installazione Shell di Agbada 1, mentre gli abitanti di tre villaggi Egbema occupavano la seconda, per grandezza e importanza, installazione petrolifera a Ebocha, espellendo i lavoratori dell’Agip e fermando la produzione per tre giorni.
Gli Egbema protestavano contro la mancata assunzione di indigeni, la mancata elettrificazione e fornitura d’acqua nei villaggi e perché fosse garantita la scolarizzazione ai bambini. Il management dell’Agip da parte sua si era contraddistinto per leggerezza e menefreghismo: la rivolta fu interrotta dalla polizia antisommossa. Il governo nigeriano aveva emanato nel 1975 il cosiddetto decreto antisabotaggio con il quale venivano puniti, fino alla pena capitale, tutti gli atti volti a ostacolare l’estrazione e la distribuzione di prodotti petroliferi, ma questo non si è rivelato un deterrente sufficiente.

La rivolta degli Ogoni nella zona di Port Harcourt repressa nel sangue fino all’assassinio di Ken Saro Wiwa e di altri 8 membri del Mosop (Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni), aveva raggiunto un livello di radicalità e determinazione tali da costringere la Anglo-Dutch Shell ad abbandonare temporaneamente l’Ogoniland dal 1993, con perdite, calcolate alla fine dello scorso anno, pari a 315 milioni di dollari (500 miliardi di lire), essenzialmente a causa delle interruzioni provocate dagli atti di sabotaggio delle sue installazioni nell’Ogoniland.

Contro questa rivolta, politicamente matura e potenzialmente molto pericolosa per il mantenimento complessivo degli interessi occidentali in Nigeria, si era ricorsi da una parte al sostegno del conflitto interetnico, dall’altra alla repressione diretta dell’esercito e della polizia. Riguardo al primo aspetto, gli Ogoni sostengono che membri di villaggi o etnie vicine siano stati armati e pagati per effettuare scorrerie e assalti contro gli Ogoni in lotta: per il secondo aspetto, è utile ricordare che esistono le prove di finanziamenti della Shell alle forze dell’ordine nigeriane per l’ acquisto degli armamenti antisommossa più all’avanguardia, mentre in più occasioni si è verificato che elicotteri delle compagnie petrolifere abbiano trasportato le truppe governative nelle zone del delta dove la popolazioni si stavano mobilitando, al fine di difendere l’estrazione del petrolio, ad ogni costo.

COSA SUCCEDE A WARRI?

Nella zona di Warri si sta proponendo uno scenario sotto molti aspetti simile: Warri così come il territorio intorno alla città di Port Harcourt, è un punto nevralgico dell’industria petrolifera in quanto terminale di stoccaggio e imbarco del greggio estratto nella zona. A Warri è situata una delle quattro raffinerie del paese (gran parte del greggio è però raffinato all’estero).

I problemi per gli abitanti originari del posto, sono gli stessi descritti per tutti i villaggi e le comunità dell’area del delta del Niger interessate all’estrazione.
Qui la rivalità tra gruppi etnici è forte e a incentivarla contribuiscono sicuramente la povertà e la disperazione causate dall’intervento delle compagnie petrolifere.. Ultimamente la crisi si è inasprita a causa di una nuova suddivisione, decisa dal governo federale nigeriano, delle aree in cui è ripartito il governo locale e degli uffici corrispondenti: questi sono stati trasferiti da una zona popolata dagli Ijaw a un insediamento di Itshekerri. Gli Ijaw, un’etnia numerosa, con oltre 3 milioni di appartenenti, si è sentita danneggiata dalla nuova ripartizione, mentre il conflitto con le etnie Urhobo, Itshekerri e Ilajes si è riacceso con violenza, un conflitto fatto di scontri armati e assalti ai villaggi con distruzione delle abitazioni.

Le proteste dei giovani Ijaw armati si è però rivolta anche massicciamente contro l’entità che a tutti gli effetti detiene il potere politico ed economico dell’area: la Royal Dutch Shell. Le rivendicazioni poste sono quelle di un nuovo governo locale, la costruzione di ospedali strade e scuole, la realizzazione di infrastrutture per acqua ed elettricità, e per ottenere dei risultati i giovani armati hanno, fin dal 22 marzo 1998 imposto la chiusura di 5 pozzi per una capacità di 110.000 barili al giorno. Poco dopo, in seguito al rapimento di un centinaio di dipendenti nigeriani, venivano chiusi 11 pozzi per un totale di 200.000 barili al giorno. All’ inizio di ottobre venivano occupati una quindicina di pozzi che riforniscono i terminali della Shell di Forcados e Bonny, mentre altri attaccavano gli oleodotti diretti al terminale dell’Agip di Brass River, portando alla chiusura degli impianti. In seguito a questi attacchi la produzione di petrolio ha subito una riduzione anche fino al 40-50%. E’ chiaro che, con intelligenza, i ribelli sfruttano l’importanza strategica degli impianti per ottenere degli immediati risultati.

Purtroppo la cronaca degli ultimi giorni riporta la notizia di un grave disastro che ha portato alla distruzione dei villaggi di Jesse, Mossogar e Oghara , sempre nella zona di Warri. I media si sono subito scandalizzati per il fatto che l’incendio alla base della distruzione dei villaggi fosse stato causato da una perdita in un oleodotto provocata dolosamente al fine di poter rubare carburante: tutti i media di regime hanno taciuto la situazione di degrado ambientale causata dalle installazioni petrolifere e la povertà estrema della popolazione; altrettanto omertoso è stato il silenzio mantenuto sul fatto che in Nigeria, nazione fondata sul petrolio, manca il carburante e che per avere un po’ di benzina occorre mettersi in fila ed attendere più giorni prima di potersi approvvigionare. In questa situazione la perforazione di una tubatura diventa un fatto che per quanto folle risulta normale.

Il Generale Abdusalam Abubakar, nuovo militare postosi a capo dello stato africano e nel quale gli occidentali ripongono le speranze di democratizzazione del paese, ha dichiarato che nulla farà per le famiglie coinvolte nel disastro, in quanto gli abitanti dei villaggi si sono resi colpevoli di furto: è una chiara indicazione del fatto che, anche se si avrà in Nigeria un passaggio democratico (il che è per lo meno dubbio), questo non sarà che una evoluzione di facciata, che lascerà le contraddizioni economiche al punto in cui sono, mantenendo la Nigeria alla mercè dei voleri e degli interessi delle grandi multinazionali.

Sta al movimento internazionalista e ambientalista europeo il compito di portare solidarietà attiva ai popoli nigeriani, con il boicottaggio, nelle sue diverse forme, delle compagnie petrolifere, Shell in testa, e con una controinformazione puntuale del genocidio che sta avvenendo in questa parte dimenticata del mondo.

Fonti:
Eboe Hutchful : Oil companies and environmental pollution in Nigeria: in Political Economy Of Nigeria. Ed by Claude Ake London-Lagos 1985.
Osita Nwajah : Nigeria: the Oil War: pubbl. in The News-Nigeria tradotto su Internazionale n°256.
Vari quotidiani nazionali ed esteri.


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Si ringrazia per la realizzazione di queste pagine Tactical Media Crew

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