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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Internazionale N. 58 - 17 DICEMBRE 1994

CECENIA - Eltsin sale sul carro armato

D. KAMYSHEV, G. PENKNOVICH, KOMMERSANT, RUSSIA


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Guerra in Cecenia. Il presidente russo ha deciso per la linea dura contro i secessionisti ceceni. La questione viene trattata come un affare interno. Ma come reagiranno gli altri popoli della regione? E quali saranno le conseguenze politiche a Mosca?

GROZNY. LA VITA SI È COME spaccata in due parti distinte, una civile e l’altra militare. La prima è contraddistinta dai tumultuosi traffici al mercato centrale, dai negozi di video e audiocassette, dai trasporti urbani parzialmente funzionanti. La seconda, molto più estesa, dalle finestre sbarrate con pannelli di compensato o assi di legno incrociati, dai magazzini saccheggiati durante l’assalto di novembre, dai mezzi corazzati e dalle postazioni antiaeree dislocate nei pressi del palazzo presidenziale. Un altro segno della guerra sono gli uomini in armi che si aggirano numerosi nel centro urbano e la fitta schiera di giornalisti che hanno improvvisamente affollato tutti gli alberghi. La popolazione evidentemente è ormai abituata a tutto questo, così come alle quotidiane incursioni degli apparecchi russi, che i ceceni accolgono subito con le raffiche della contraerea e delle mitragliatrici. Nelle strade e al mercato si parla della guerra, si comunicano le ultime voci, si ragiona su come comportarsi durante i bombardamenti. La gente, tuttavia, non mostra alcuna voglia di imbracciare compatta le armi, sembra interessata più a sapere se domani troverà il pane, o avrà i soldi per comprarlo, mostra scarsa attenzione alla lotta per il potere che accompagna il conflitto. Comunque le autorità di Grozny si stanno preparando seriamente alla guerra. La forza principale in grado di infliggere gravi danni alle truppe russe non sono i volontari con i loro vecchi fucili mitragliatori, bensì la guardia del presidente, il "battaglione abcaso" di Shamil Basaev e gli uomini della sicurezza nazionale. Queste formazioni possono opporre ai soldati di Mosca non solo la loro notevole capacità di combattimento, ma anche un equipaggiamento modernissimo, che comprende tra l’altro le batterie di razzi Grad (Grandine). Dudaev ne avrebbe una decina, forse venti, servite da artiglieri di professione. I ceceni, poi, contano anche sull’aiuto dei loro vicini caucasici, e non senza fondamento. I fatti delle ultime quarantotto ore dimostrano in effetti che le truppe russe potrebbero rimanere a lungo impantanate ai confini della minuscola repubblica. Gli incidenti in Inguscezia e Daghestan vengono presentati dalle fonti ufficiali di Grozny come scontri fra l’esercito russo e i volontari, ma alcuni testimoni disegnano uno scenario in molti casi diverso: una colonna corazzata viene bloccata dai civili, i soldati spaventati sparano in aria, la folla non si disperde, ma al contrario comincia ad agire con crescente impeto. Posti di fronte a un tragico dilemma: passare coi cingoli sui corpi di donne e vecchi o ignorare l’ordine ricevuto, i militari russi scelgono la seconda soluzione e in pratica non fanno resistenza ai volontari ceceni, che li disarmano e danno fuoco ai mezzi. Nel pomeriggio del 12 dicembre, presso il villaggio Dolinskij, le forze armate di Dudaev sono scese in campo e dalle batterie di razzi Grad è partita una raffica di fuoco contro una colonna corazzata russa. A Grozny si racconta che, in questa azione, Mosca avrebbe perduto 70 militari e 15 carri armati.

Qualora la notizia fosse vera, dobbiamo aspettarci una risposta russa: l’assalto a Grozny o un bombardamento massiccio della città. Per ora è difficile dire se Mosca deciderà di entrare nella capitale o attenderà ancora. In ogni caso dovrà scegliere tra due mali: la sua avanzata minaccia di produrre infatti altre vittime (non solo in territorio ceceno), mentre l’attesa può intaccare la capacità di combattimento delle sue truppe e avere altre imprevedibili conseguenze.

Mentre a Dolinskij si svolgevano gli scontri, a Vladikavkaz iniziavano le trattative. È improbabile che queste producano risultati concreti. I rappresentanti di Grozny si sono rifiutati d’incontrare l’opposizione, e così la delegazione di Mosca è stata costretta a lavorare su due fronti. Una parte ha negoziato con i seguaci di Dudaev, capeggiati dal ministro dell’Economia Tajmaz Abubakirov, l’altra con gli oppositori rappresentati dal procuratore Bek Baskhanov e dal comandante Beskan Gantimirov. I risultati della trattativa, del tutto prevedibili, sono stati i seguenti: l’opposizione ha promesso di disarmarsi e le autorità di Grozny hanno per l’ennesima volta confermato le loro intenzioni pacifiche. Tuttavia, secondo testimonianze di varia provenienza, né l’una né l’altra parte ha cessato i preparativi di guerra.

Se l’aspetto politico dell’operazione Cecenia ha diviso la società russa, quello militare ha dimostrato l’incapacità dei comandi: i fautori della soluzione di forza non hanno ottenuto né il blocco della repubblica, né la conquista della sua capitale.

Evidentemente, nel programmare l’operazione i responsabili dei tre ministeri della forza nel Caucaso settentrionale hanno commesso gravi errori. Le truppe non erano preparate ad affrontare una situazione già verificatasi più volte nei "punti caldi" dell’ex Unione Sovietica, quando civili disarmati sbarravano il passo ai carri armati. Le affermazioni dei comandanti militari, che attribuiscono alla nebbia la colpa di aver fermato la loro avanzata, sono solo un tentativo di far buon viso a cattivo gioco. Gli errori e gli indugi aggravano sempre di più la situazione in Cecenia e dintorni. Aumenta la probabilità che le truppe russe, rispondendo al fuoco nemico e per impedire nuove perdite tra gli effettivi, intraprendano massicci bombardamenti o, al contrario, sotto la pressione della popolazione locale, rinuncino di fatto all’uso della forza. In entrambi i casi la "campagna di Cecenia" è destinata a screditarsi persino agli occhi dei suoi iniziali sostenitori. [S. T.]