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Rassegna stampa Sulla CeceniaInternazionale N. 97 - 22 SETTEMBRE 1995RUSSIA - In Cecenia, sul treno dimenticatoVLADIMIR EMELIANENKO, MOSKOVSKIE NOVOSTI, RUSSIA
Torna alla rassegna stampa Un tempo erano molti i ceceni che facevano la spola sul treno tra Grozny e Mosca per vendere i loro prodotti. Oggi gli uomini non possono più entrare in Russia. Ma alle donne è ancora consentito circolare liberamente. Moskovskie Novosti le ha incontrate sul rapido 88
MOSCA, 20 AGOSTO 1995Ancora due o tre anni fa, il rapido 88, da Mosca a Grozny, veniva sistematicamente attaccato e depredato. E questa linea ad alto rischio era disertata. Oggi è impossibile trovare un biglietto e il treno lascia la capitale pieno zeppo, anche se si dirige verso regioni dove la guerra è tutt’altro che conclusa.La provodnitsa [incaricata del controllo dei vagoni] mi propone una cuccetta in alto. "Non ci sono lenzuola, ma ci passerò sopra uno straccio umido", mi dice, come se fossi suo figlio. Negli altri vagoni, mi hanno offerto la stessa cosa, ma solo dopo Voronej o Rostov. Sono dovuto tornare nel primo, dove la signora mi ha sorriso. "Bene, tu mi piaci, figliolo. Sono Azman Ansarova, di Samashinsk [a ovest di Grozny], sai dov’è?". Il vagone ricorda uno di quei locali dove si riuniscono le operaie di un’industria tessile: pentole e teiere da cui esce rumorosamente del vapore, marmaglia urlante. "Ehi, Azman, portacelo un po’ che vediamo da che parte va a combattere", gridano delle voci all’altra estremità del vagone. "I nostri uomini sono costretti a rimanere a casa, come dei bambini. Voi non lasciate entrare in Russia quelli che hanno la pelle ‘scura’ [la gente dell’Asia centrale e del Caucaso] e tanto meno i ceceni, ma noi donne, almeno per il momento, possiamo circolare liberamente. Pensiamo noi a mantenere la famiglia". È quello che mi dice, a mo’ di saluto, l’occupante della cuccetta in basso, una signora anziana. "Perché te ne resti lì in piedi? Leva quei pacchi dalla tua cuccetta, bisognerà pure che tu possa dormire", ordina. Ma non c’è modo di trovar loro un posto. Le donne non sono affatto contente che si spostino le loro cose. Cominciano a brontolare in ceceno, poi si arrabbiano e passano al russo. Quanto torna la calma, la mia vicina mi dice: "Sono tre notti che si trascinano nelle stazioni, dopo aver passato le giornate in giro per i mercati per comprare al prezzo più conveniente". Così vive la metà dei viaggiatori del rapido 88. A Mosca, la maggior parte di queste donne cecene non ha un posto dove andare a dormire. Il treno viaggia un giorno sì e uno no, e le "commercianti" hanno trovato una soluzione vantaggiosa. Non comprano il biglietto agli sportelli, ma direttamente dalle responsabili dei vagoni, e si sistemano sul treno quando è ancora al deposito. Queste donne che fanno la spola sono abituate a tutto. Su una semplice tavola sospesa stanno come a casa propria (per quelle che hanno ancora una casa in piedi).
Quelli che nessuno vuoleDifficile non notare, in mezzo alle passeggere, una giovane russa con due bambini, stretti in una cuccetta inferiore. "Siamo profughi. All’inizio, abbiamo dovuto lasciare la Cecenia, adesso andiamo via dalla Russia", sospira Irina Nalguieva. "Mio marito è inguscio. Prima, siamo stati scacciati da Grozny a causa mia, perché sono russa. I nostri vicini erano venuti a chiederci di vendergli il nostro appartamento, perché gli uomini di Dudaev ci avrebbero comunque espulso. Io sono scappata con mia figlia e mio figlio. Mio marito è rimasto. Allora, gli hanno preso l’appartamento, ma almeno non l’hanno ucciso.Poi siamo andati dalle parti di Jaroslavl, non eravamo sistemati troppo male: avevo potuto portare con me un po’ di roba. I bambini hanno cominciato ad andare a scuola, io a lavorare in un asilo d’infanzia e mio marito in un cantiere di costruzioni. Ma appena è scoppiata la guerra [11 dicembre 1994], le cose sono cambiate. I nostri bambini venivano chiamati ‘ceceni’ e ‘corvi’. Un giorno, mio figlio di dieci anni ha dovuto essere portato all’ospedale: i ragazzi delle classi superiori l’avevano picchiato. Quando ne ho parlato con la maestra, mi ha risposto: ‘Voi caucasici credete che tutto vi sia permesso. A causa dei vostri prezzi, non possiamo più comprare le patate al mercato’. Quando sembrava che la guerra stesse per finire, ho mandato mio marito a Grozny per vedere che cosa restava dell’appartamento. Io l’ho accompagnato a Mosca per fargli da guardia del corpo. Lì, non avevamo ancora fatto due passi che alcuni poliziotti ci hanno chiesto i documenti. Erano in regola, ma ci hanno ugualmente portato al commissariato. Ormai ho esperienza e tengo io tutto il denaro. Hanno trattenuto mio marito per ventiquattr’ore, poi, quando hanno visto che non aveva un soldo, l’hanno rilasciato. Al ritorno [da Grozny], sono andata ad aspettarlo alla stazione. Era raggiante: ‘La porta è stata sfondata, i vetri sono rotti, ma tutto il resto è intatto, c’è solo odore di bruciato’. Ha dato le dimissioni dal cantiere ed è partito per sistemare l’appartamento. Sto andando a raggiungerlo. Ma, prima, lascerò i bambini dai miei genitori, a Naursk. Lei per caso non sa se quella regione verrà separata dalla Cecenia? Purché la guerra non cominci anche laggiù!...". La sera, la responsabile del vagone mi invita: "Su ragazzo, vieni a prendere una tazza di tè! Ti racconterò com’è andata che per poco non parlavo col presidente Eltsin". Allegra e vivace, non ha l’aria di una che abiti a Samashinsk, il primo paese ad aver imparato cos’era un’operazione punitiva degli Omon [forze speciali russe]. "Io ero in treno, non ne so niente", mi dice, anticipando le mie domande. Mentre mi offre tè e dolci, si anima. "Arrivo a Samashinsk finito il lavoro e non c’era nessuno... Solo gli Omon e i vecchi del villaggio. Sono stati loro a dirmi che i miei figli erano al ‘centro di controllo’ [campo d’internamento], a Mozdok [Ossezia del Nord]. Una volta sul posto, non figuravano sulle liste. Sono andata a Nazran [Inguscezia] da Sergej Kovalev [l’inviato di Eltsin per i diritti dell’uomo]. Kovalev mi ha accompagnato a Mosca".
"Eltsin non ha risposto"Dice tutto questo con orgoglio infantile. La cosa che più l’ha colpita è stato il suo incontro, al Cremlino, con "un pezzo grosso alto in abito blu scuro". Era stato Kovalev a portarcela e, dopo aver ascoltato la donna, il "pezzo grosso", che desiderava aiutarla, ha immediatamente deciso di chiamare Boris Eltsin. Ha alzato il telefono con l’emblema dell’Urss. "Il mio cuore ha smesso di battere. Che cosa gli avrei detto? Avrei dovuto parlargli di tutti i ceceni, non solo di me. Ho pensato che gli avrei chiesto di fermare la guerra". Ma il Presidente non ha risposto...Tira fuori dei dolci ripieni, delle mele e un melone giallo. Sempre badando alle sue occupazioni, mi racconta come finalmente abbia ritrovato i suoi figli nel campo di Mezdok, dopo aver ottenuto un lasciapassare per il centro di controllo. Quanto alle figlie e al marito, si erano nascosti - con il bestiame - nella cantina di certi vicini. Verso mezzogiorno, le donne si svegliano. Una nonna di dimensioni rispettabili si agita. "Non è per caso Georgievsk?", chiede ansiosamente, non ancora del tutto sveglia. "Devo andarci a ritirare la mia pensione. Da quando Mosca ha ricominciato a pagarle, mio figlio mi ci porta tutti i mesi". Le sue vicine di scompartimento le spiegano che il treno non passa più di là a causa del pericolo rappresentato dai terroristi: i cosacchi hanno minacciato di vendicarsi per gli ostaggi catturati a Budennovsk (1). Lei non demorde. "Il mese scorso, ho preso laggiù il mio denaro e nessuno mi ha torto un capello. Dite ad Azman che faccia fermare il treno, così potrò scendere". Le donne ridono, la vecchia grida che i ceceni hanno sempre rispettato gli anziani e che, per colpa di questa maledetta guerra, non si può neanche più fermare un treno per rispetto verso una persona di età avanzata. Una sua vicina, anche lei cecena, le racconta come sia stata cacciata da Budennovsk, sua città natale, dove ha lasciato il marito e i genitori. "È vero che Eltsin vuole deportare tutti i ceceni nel Kamciatka [Siberia], dove ci sono continui terremoti?", mi chiede una giovane signora. Torna dall’aver fatto visita a suo marito e a suo figlio a Celjabinsk [in Russia, negli Urali], dove li ha sistemati al riparo dalla guerra. Sono stati i loro vicini, dei russi, a dirglielo. Le donne si mettono a discutere dell’ultimo terremoto e arrivano tutte alla conclusione che è stata una punizione dell’Altissimo per i peccati dei politici russi e ceceni contro i loro popoli. A Gudermes, il treno si ferma bruscamente. Non proseguirà, perché il giorno prima è saltato il ponte sulla Djalka. Sul marciapiede, moltissimi privati offrono le loro macchine come taxi: altri hanno degli autobus e persino dei trattori. Le "commercianti" sono oggetto di tutte le attenzioni, gli uomini s’incaricano di portare i loro fardelli e propongono di essere pagati in merci anziché in denaro. Alcuni passeggeri cercano di farsi rimborsare una parte del biglietto, dal momento che il treno non è arrivato fino a Grozny. Attraverso un altoparlante che eccheggia per tutta la stazione, il capostazione, un vecchio signore grassoccio, suggerisce loro di andare a farsi ridare il denaro a Mosca. (C. P.)
NOTE(1) Azione terroristica orchestrata da Chamil Bassaev dal 14 al 20 giugno scorso, che fece decine di morti nell’ospedale e in giro per la città.
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