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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Internazionale n.185 - 13 giugno 1997

Diritti umani


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Un ex ufficiale della marina russa, in passato di stanza nelle basi della flotta del Nord, è stato arrestato per tradimento. L’inchiesta di Le Monde

Il caso Nikitin

JEAN-BAPTISTE NAUDET, LE MONDE, FRANCIA

Dopo quattro mesi di interrogatori, il 6 febbraio 1996 gli uomini del Servizio federale di sicurezza (l’ex Kgb) hanno arrestato Aleksandr Nikitin per aver rivelato all’organizzazione ecologista norvegese Bellona dei "segreti di Stato" sulle fonti di contaminazione nucleare dei vecchi sottomarini atomici russi. Il 14 dicembre, grazie alle pressioni internazionali, l’ex militare di origine ucraina è stato liberato. Ma è ancora in attesa di un processo.

SAN PIETROBURGO, 29 MARZO 1997

Quando hanno suonato alla sua porta, Aleksandr Kostantinovic Nikitin non pensava neanche lontanamente che, come dicono oggi i suoi difensori, fosse in gioco "la sorte della democrazia in Russia". Erano le nove di sera. L’ex ufficiale della marina sovietica non aspettava nessuno, soprattutto non un appuntamento col destino. Non sapeva che presto si sarebbe parlato dell’"affaire Nikitin" così come si parla dell’"affaire Dreyfus". Sua moglie, Tatjana Cernova, figlia dell’ammiraglio Cernov (questo particolare avrebbe avuto la sua importanza), era occupata in faccende domestiche. Sua figlia Iulia, diciotto anni, leggeva in camera sua.

Fino a quel momento Aleksandr, quarantaquattro anni, non aveva notato nulla di strano. Quello che si definisce "un uomo ordinario coinvolto in avvenimenti straordinari" non aveva visto che alcune macchine lo seguivano. Non aveva notato gli strani rumori della sua linea telefonica. "Come ogni uomo normale, non vi prestavo attenzione", spiega quest’uomo dagli occhi azzurri, dallo sguardo dolce, dai baffi curati. Oggi in libertà vigilata (non ha il permesso di lasciare San Pietroburgo), in attesa di un processo o di un’archiviazione, Aleksandr Nikitin si accorge che il suo appartamento viene perquisito, sa di essere seguito e ascoltato. Sua moglie è soggetta a continue molestie. Anche se lo dichiareranno innocente, "non mi lasceranno mai più in pace", dice lui.

Storia di un ufficiale di marina

Nell’ottobre 1992, Aleksandr Nikitin aveva dato le dimissioni dal suo posto di responsabile della sicurezza delle istallazioni nucleari presso il ministero della Difesa. Questo tecnico, che aveva servito per undici anni nella flotta di sottomarini atomici del Nor d, riteneva che il suo compito fosse divenuto impossibile, per mancanza di finanziamenti. E in quanto cittadino russo, ma ucraino di origine, temeva che le tensioni fra la Russia e un’Ucraina ridivenuta indipendente portassero a una guerra fra il suo paese di origine e il suo paese di adozione. "Ieri hanno fatto la guerra per la Cecenia, domani potrebbero battersi per la Crimea", si lascia sfuggire.

All’inizio del 1995, Aleksandr aveva accettato di lavorare come esperto per l’associazione ecologista norvegese Bellona sulla "flotta russa del Nord e le fonti di contaminazione nucleare", un argomento che conosceva bene. Anche se non era particolarmente remunerativo, quel lavoro appassionava Aleksandr. E le autorità russe, civili o militari, sembravano ben contente all’idea che quegli studi avrebbero sicuramente attirato i crediti internazionali necessari per eliminare i sottomarini nucleari fuori servizio che si stavano accumulando, minacciando il nord della Russia e la Norvegia di una catastrofe che avrebbe potuto essere più grave di quella di Cernobyl. Aleksandr Nikitin aveva sottoposto i suoi lavori al vicecomandante della flotta del Nord e persino al vicecomandante della marina russa, ammiraglio Viktor Topilin.

Un ordine di perquisizione

Ma quando, quel 6 ottobre, Aleksandr ha aperto la porta del suo appartamento, situato in un quartiere industriale della periferia di San Pietroburgo, c’era molta gente sul pianerottolo. Sei uomini che non aveva mai visto prima. Gli hanno teso i loro documenti: Federalni Slujba Bezopasnosti (Fsb). Cioè Servizio federale di sicurezza, il nuovo nome della polizia politica, un tempo conosciuta sotto il nome di Kgb. Gli uomini degli "organi" gli hanno mostrato un foglio. "Era un ordine di perquisizione. Ero talmente scioccato che non l’ho letto fino in fondo", racconta Aleksandr. Ha chiesto loro che cosa cercavano. "Droga, armi, denaro", hanno risposto laconicamente.

Gli uomini dell’Fsb hanno preso i risparmi che Nikitin, come la maggior parte dei russi, conservava in casa e in valuta straniera: duemila dollari (circa tre milioni di lire). Poi hanno sequestrato i documenti relativi al rapporto di Bellona, hanno redatto un verbale e infine gli hanno "proposto" di "accompagnarli" alla sede locale dell’Fsb. Erano le 23.30. Affiancato da tre uomini in grigio, è andato via sul sedile posteriore di una Lada. Alla sede dell’Fsb, l’hanno interrogato fino alle cinque del mattino. "Era come in un film", ricorda Aleksandr. "Era notte. Nell’ufficio, c’era, su una parete, il ritratto di Lenin e, su un’altra, quello di Zerijnskij", il fondatore della polizia politica sovietica. "Il mobilio era di epoca staliniana. L’inquisitore dell’Fsb, un certo Maksimenko, aveva la faccia tipica di chi fa quel mestiere", continua Aleksandr.

"Allora, in che lingua parliamo: russo o ucraino?", gli ha chiesto l’inquisitore dell’Fsb. Poi l’interrogatorio ha riguardato la sua vita privata, le sue attività per Bellona. Nikitin ha spiegato tutto. L’Fsb era al corrente fin dall’inizio del suo lavoro. A Murmansk, la base della flotta del Nord, aveva parlato con la gente del "servizio". Era persino contento di quei contatti. "Mi dicevo che se mi fossi imbattuto in qualcosa che pensavano dovesse restare segreto, ci avrebbero avvertito", dice.

Aleksandr pensava che si trattasse di un malinteso. "Credevo di potergli spiegare ciò che non era chiaro per loro", ricorda. L’Fsb riteneva che il rapporto di Bellona contenesse dei "segreti di Stato" e gli chiedeva da dove venissero le sue informazioni. Nikitin rispondeva tranquillamente, paragrafo per paragrafo. Tutto era pubblico, disponibile su Internet, il rapporto era stato redatto sulla base di "fonti accessibili a tutti", un articolo del quotidiano moscovita Nezavisimaja Gazeta, libri pubblicati in Russia, talvolta in decine di migliaia di copie, sugli incidenti nei sottomarini nucleari.

In quattro mesi, dal 6 ottobre 1995 alla data fatidica del 6 febbraio 1996, Aleksandr si è recato sei volte, in qualità di testimone, alla sede dell’Fsb di San Pietroburgo. Adesso si accorgeva di essere seguito per la strada, notava che il suo telefono funzionava male. L’Fsb gli aveva confiscato il passaporto. La trappola stava per scattare.

Quando, per la seconda volta, il campanello ha squillato a un’ora insolita (erano le sette del mattino del 6 febbraio 1996), Aleksandr ha "capito subito che stava accadendo qualcosa di anormale". Ha riconosciuto immediatamente uno degli uomini del 6 ottobre. Gli agenti dell’Fsb hanno insistito per "accompagnarlo" a una convocazione senza preavviso, alle otto del mattino. Quando sua moglie ha cercato di avvertire i parenti, "ci siamo accorti che il telefono era stato tagliato e ho capito che la cosa era grave", racconta Nikitin. Ma gli uomini dell’Fsb hanno tentato di calmare sua moglie: "Non si preoccupi, sarà di ritorno fra un’ora". Un’ora che sarebbe durata dieci mesi e otto giorni. Aleksandr è partito sul sedile posteriore di una Volga ed è stato accompagnato al numero 4 di via Litieni, la sede dell’Fsb. Nel solito ufficio, "mi hanno mostrato una carta. Era incredibile. Leggevo e non riuscivo a capire", dice Aleksandr Nikitin. In base all’articolo 64 del codice penale sovietico allora in vigore, l’ex ufficiale era accusato di "tradimento", per aver rivelato dei segreti di Stato a una potenza straniera. E la pena massima prevista era la morte.

In isolamento

Quattro ore dopo, l’inquisitore dell’Fsb è tornato con un mandato d’arresto. Le guardie l’hanno trasferito in una cella dove c’era un altro prigioniero, nel carcere del Kgb, situato nello stesso edificio e conosciuto sotto il nome di "isolatore". Il pavimento era di cemento. Dal rubinetto veniva acqua gelata. Dalla piccola finestra si poteva vedere soltanto un lembo di cielo. Faceva freddo, "forse dieci gradi", ricorda Aleksandr. Aveva fame. Il suo compagno ha diviso con lui un pezzo di pane nero. Aleksandr si è messo a riflettere. Aveva fatto, scritto qualcosa che non doveva? Aveva commesso un errore? Per quanto rigirasse tutto nella sua testa, non arrivava a capire. "Forse", si diceva, "ho violato una legge senza rendermene conto? Ma come e quale?".

Per ore, giorni, settimane e mesi, scanditi dai magri pasti, non è riuscito a dormire, pensando continuamente alla sua misteriosa colpa. Poi, racconta, "ho capito che dovevo smetterla, altrimenti sarei impazzito". Dormiva completamente vestito tenendo addosso due paia di pantaloni. Aveva freddo e fame. Il pasto di mezzogiorno, acqua calda dove galleggiava un po’ di barbabietola, era stato battezzato dai detenuti "sangue di poliziotto". Quello della sera, patate con piccoli pezzi di aringa, si chiamava "la tomba".

Un giorno il suo compagno ha avuto un attacco di gelosia: Catherine Deneuve chiedeva la liberazione di Nikitin. Aleksandr è stato colpito dalla reazione dell’opinione pubblica internazionale, soprattutto in Francia. "Ho perfino ricevuto una lettera di Jacques Chirac", rammenta. "Quelle reazioni mi hanno molto aiutato moralmente, mi sono servite a capire che non ero colpevole, che l’Fsb stava perdendo la partita".

Il perché di tutta la storia

Il 27 marzo 1996 la Corte costituzionale russa ha riconosciuto il diritto di Nikitin di scegliersi un avvocato, mentre l’Fsb voleva imporgli il proprio. In giugno, la Corte suprema di Russia decideva che doveva essere giudicato da una corte civile, e non militare come volevano l’Fsb e la procura. Eppure, malgrado i reiterati appelli, Aleksandr restava in prigione. In agosto diventava il primo prigioniero per reati di opinione riconosciuto da Amnesty International, che in quel paese non aveva adottato nessuno dopo il premio Nobel sovietico Andrej Sakharov. In settembre, Aleksandr apprendeva una triste notizia: suo cognato Dmitrij Cernov, ex comandante in seconda su un sottomarino nucleare sovietico, era morto a trentotto anni di leucemia. Irradiato dal motore nucleare difettoso del sommergibile. Il 14 dicembre 1996, quando è stato liberato, Aleksandr non se l’aspettava: era la prima volta in tutta la storia della Russia che un prigioniero accusato di tradimento veniva rimesso in libertà prima del processo.

Perché il caso Nikitin? Perché chi ha messo in moto il procedimento, l’attuale comandante della flotta del Nord e cantore della Nato, ammiraglio Ierofiev, è accusato in tribunale dal suo predecessore, ammiraglio Cernov, di essere responsabile del naufragio, avvenuto nel 1989, del sottomarino Komsomolets. E l’ammiraglio Cernov altri non è che il suocero di Nikitin. Perché, a San Pietroburgo, i dirigenti dell’Fsb sono ex membri del Kgb specializzati nella repressione della dissidenza. Perché, a livello nazionale, l’ex Kgb, a cui Boris Eltsin ha restituito i suoi poteri d’inchiesta, di arresto e di detenzione, ha voluto dimostrare la propria utilità dopo il disastro ceceno e cerca di recuperare il potere che aveva prima. Perché Aleksandr Nikitin ha molti dei difetti che attirano l’odio di quanti costruiscono le loro fortune sul nazionalismo, sulla xenofobia e sull’antisemitismo: è un ucraino che lavorava per degli occidentali ed è difeso da un avvocato ebreo. Anche se oggi Nikitin è libero, la sua lotta non è terminata. L’Fsb vuole un processo e una condanna, se non altro per giustificare i dieci mesi di prigione. Jurij Schmidt, l’avvocato di Aleksandr Nikitin pensa che "il governo cercherà una soluzione di compromesso" per salvare la faccia. Aleksandr sarebbe riconosciuto colpevole di aver rivelato, inavvertitamente, segreti di Stato, ma non di tradimento. Sarebbe condannato alla pena che ha già scontato, allo scopo di giustificare il caso e insieme mettere fine allo scandalo internazionale.

Ma, si preoccupa Jurij Schmidt, Aleksandr Nikitin potrebbe anche fare le spese della lotta fra tendenze "dure" e "liberali" in seno al governo russo. O di "un ritorno di tensione nelle relazioni internazionali", in particolare in occasione dell’allargamento della Nato a Est, che costituisce lo sfondo di tutto il caso. "Il destino dei diritti umani e della democrazia in Russia dipende dal modo in cui sarà risolto il caso Nikitin", ritiene l’avvocato.

Boris Pustintsev, ex dissidente sovietico, presidente del comitato di sostegno di Nikitin, è preoccupato. Come prima, la popolazione russa, intimorita e disinformata dalla televisione, non ha reagito. "Come avveniva nell’epoca sovietica, Nikitin è stato liberato solo grazie alle pressioni internazionali", dice quest’uomo di sessant’anni, che ne ha passati cinque in un campo per aver manifestato nel 1956 contro la repressione sovietica a Budapest. "Non pensavo che ci fosse tanta paura nella nostra società", si stupisce Aleksandr Nikitin. I suoi amici non osano più telefonargli. La vicina del piano di sotto, con cui intratteneva relazioni amichevoli da trentacinque anni, fa finta di non vederlo quando lo incrocia. Eppure, Aleksandr Nikitin non ha paura. Non accetterà neppure una condanna "di principio". E' pronto a "combattere fino in fondo". "Prima", dice, "non credevo che si potesse morire per un’idea. Pensavo che fosse una cosa che accadeva nei film, un trucco della propaganda. Ma, oggi, sarei pronto". La notte della sua liberazione, per la prima volta dopo molto tempo, Aleksandr Nikitin ha sognato.

"Era strano", dice, con gli occhi incupiti, "ho sognato sottomarini nucleari e orsi polari".

(C.P.)

Questo articolo
- E' apparso su Le Monde il 29 marzo 1997, a pagina 13. Il titolo originale era: L’affaire Nikitine.

- Le Monde è un quotidiano francese di centrosinistra. Rigoroso e sobrio, è uno dei giornali europei di riferimento. Vende 368mila copie (1996).

- In Italia può essere acquistato nelle edicole che vendono stampa straniera. Costa 2.900 lire.

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DIRITTI UMANI IN RUSSIA

Secondo l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw), la Russia (ultimo membro, in ordine cronologico, del Consiglio d’Europa) ha ignorato i suoi obblighi riguardo ai diritti umani. Nonostante avessero sottoscritto l’impegno a eliminare la pena di morte dal momento dell’entrata nel Consiglio, nel 1996 le autorità russe hanno giustiziato 52 persone; sono aumentate le vittime di "incidenti" nei centri di detenzione moscoviti; le autorità carcerarie continuano a torturare i prigionieri. Anche se il Consiglio d’Europa ha dedicato ampie risorse per sostenere il miglioramento della situazione in Russia, non è però riuscito a imporsi sulle ripetute violazioni dei diritti umani. L’Hrw ha ricordato al Consiglio che il suo fallimento nel cambiare la posizione di Mosca potrà indebolire la sua reputazione di organizzazione i cui membri rispettano le leggi internazionali. La situazione della libertà di stampa è migliorata negli ultimi anni, ma la Russia rimane un paese molto pericoloso per i professionisti dell’informazione. Nel 1996 sono stati uccisi quattro giornalisti nell’esercizio della loro professione. Si tratta di Viktor Pimenov, Nadezhda Ciajkova, Nina Efimova e Ramzan Khadzhev, tutti morti in Cecenia. Altri quattro sono ancora dispersi e tre reporter sono stati arrestati. Aggressioni, minacce, maltrattamenti sono all’ordine del giorno. I poteri locali, inoltre, esercitano frequentemente pressioni indebite contro i mezzi di comunicazione.

HUMAN RIGHTS WATCH, REPORTERS SANS FRONTIERES

Internet.

L’associazione ambientalista Bellona è nata nel 1986 dopo l’incidente alla centrale nucleare di Cernobyl. Da allora ha condotto numerose battaglie in difesa dell’ambiente. Nella sua pagina web sono presenti il rapporto "incriminato" sulla flotta del Mare del Nord e un aggiornamento del caso Nikitin. L’indirizzo è: www.ngo.grida.no/ngo/bellona/ehome/index.htm