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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Internazionale 211, 12 dicembre 1997

Asia Centrale - Le strade del petrolio

AHMAD RAFIT, ASHARQ AL-AWSAT, GRAN BRETAGNA


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I paesi dell’Asia centrale guardano alla Turchia per creare una zona d’influenza simile, come espansione, all’Impero ottomano. E le sue principali vie di comunicazione saranno gli oleodotti

Non bisogna sottovalutare la potenzialità economica e il peso dei popoli turcofoni. Se in passato fu il commercio della seta e delle spezie a determinare la ricchezza di queste remote regioni, oggi sono le risorse naturali, come petrolio, gas naturale, uranio e oro, a contribuire alla rinascita dell’Asia centrale.

E la Turchia e i suoi vicini non possiedono soltanto ricchezze naturali, ma anche quelle che sono le arterie fondamentali per il mondo moderno, cioè una rete di oleodotti e gasdotti che passa per i loro territori. L’ultimo progetto, che fa parte di un accordo internazionale, prevede un gasdotto di 1.200 chilometri per portare il gas naturale dalla sponda orientale del Mar Caspio, in Turkmenistan, fino in Turchia e di lì a un’Europa assetata di fonti energetiche. In base al progetto un tratto della linea attraverserà le regioni settentrionali dell’Iran, ma gli Stati Uniti hanno chiuso un occhio.

Gli osservatori hanno ipotizzato che, una volta terminata la costruzione del gasdotto, è probabile che nei mercati europei giunga gas iraniano, ma sembra che l’amministrazione del presidente Clinton si sia posta come priorità la concessione, alle ex Repubbliche sovietiche ricche di materie prime, di sbocchi a Occidente per le loro risorse, scavalcando di conseguenza il tradizionale mercato della Russia. Nel frattempo tre aziende europee – l’italiana Snamprogetti, la francese Gaz de France e la anglo-olandese Royal Dutch Shell – hanno già promosso un consorzio per la costruzione del gasdotto, tranne che per il tratto iraniano che sarà realizzato da Teheran.

Una nuova potenza economica

Sulla porta fra Oriente e Occidente c’è no Stato laico abitato da musulmani, la cui popolazione raggiunge circa i 55 milioni di abitanti: è la Turchia, che può vantare un nuova forza politica, una posizione geografica strategica e una recente vitalità economica. Molti osservatori la considerano un prolungamento dell’Europa centrale e un trait d’union fra il cristianesimo e l’islam, essendo in possesso di peculiarità comuni all’Asia e all’Europa. Il governo di Ankara, che non ha affatto dimenticato la vasta espansione dell’Impero ottomano, crollato dopo la Prima guerra mondiale, intuisce benissimo il ruolo di paese-guida delle regioni dell’Asia centrale (che controllano i più grandi giacimenti di petrolio e gas naturale del mondo, al di fuori della regione del Golfo Persico) che potrebbe interpretare.

La Turchia controlla anche un’ingente riserva di acqua dolce, e questo è un fattore cruciale in quanto il Medio Oriente potrebbe stare a guardare mentre le sue acque vengono chiuse a chiave, visto che i due principali fiumi della regione, l’Eufrate e il Tigri, sgorgano dai monti della Turchia e scorrono attraverso la Siria e l’Iraq prima di riversarsi nel Golfo Persico. Nonostante queste prerogative, la Turchia è in una delle regioni più turbolente del mondo, dove molti conflitti rimangono senza soluzione: le tensioni arabo-israeliane, la questione di Cipro, il conflitto bosniaco, l’espansione dei movimenti fondamentalisti in Algeria e nella stessa Turchia.

L’influenza che ogni decisione presa da Ankara può avere sull’economia regionale e mondiale preoccupa molti governi. A Mosca, il timore per un’ascesa delle nazioni turcofone non fa dormire i dirigenti del Cremlino, poiché non riguarderebbe solo le ex Repubbliche sovietiche come l’Azerbaigian, il Turkmenistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan e il Kazakistan, ma coinvolgerebbe anche numerose regioni autonome della federazione russa abitate da musulmani, per esempio il Baskortostan e il Tatarstan, i cui abitanti guardano alla Turchia come loro patria culturale, mentre i musulmani della Cecenia, che hanno combattuto una guerriglia separatista, continuano a rifiutare la dominazione russa.

Malgrado la Turchia si sia mostrata sempre su posizioni morbide riguardo alla questione cecena, molti ribelli hanno assunto la Turchia a loro rifugio, lì hanno trovato le armi che utilizzavano e a Istanbul, recentemente, hanno organizzato un’enorme festa di beneficenza con attori e attrici famosi per raccogliere contributi a favore delle vittime del conflitto in Cecenia.

La Cecenia e il Caucaso rappresentano una porzione importantissima della nuova Via della seta: il petrolio e il gas naturale prodotti dai paesi asiatici passano infatti per i territori ceceni. Mentre il controllo dei monti del Caucaso passa attraverso centri abitati da popolazioni musulmane dove l’influenza della Turchia è considerevole. Ma la crisi economica in Russia e la ricerca di un ruolo guida non sono stati gli unici fattori che hanno spinto questi popoli verso la bandiera turca: anche la religione fa la sua parte.

I musulmani, infatti, come i cattolici, si trovano da sempre schiacciati dalla Chiesa ortodossa russa che punta costantemente a stabilire un’alleanza ortodossa con la Grecia e la Serbia, entrambe ben note per la loro avversione, passata e presente, nei confronti della Turchia.

La Turchia e i Balcani

Al tempo stesso la Turchia volge un occhio a Oriente e uno a Occidente: spera di inglobare nella sua sfera d’influenza le nazioni turcofone, ma guarda anche alla regione balcanica. Dopo la guerra di Bosnia, gli accordi di Dayton – che sanciscono la spartizione etnica della Bosnia – sono diventati una carta in più a vantaggio di Ankara: i musulmani di Bosnia infatti si allontanano sempre più dal loro passato europeo, riscoprendo le loro radici islamiche e turche e cominciando a rafforzarle.

Sentimenti di affiliazione alla Turchia sono forti anche fra le minoranze albanesi che vivono fuori dell’Albania: c’è una maggioranza albanese in Kosovo, la provincia che in precedenza costituiva la parte meridionale della Jugoslavia. E in Bulgaria il dieci per cento della popolazione è di origine turca e questa minoranza condiziona spesso, nel Parlamento di Sofia, le votazioni importanti, determinando l’indirizzo di destra o di sinistra del governo.

In questi ultimi mesi poi, la Turchia ha giocato un ruolo sempre maggiore nelle questioni mediorientali, ratificando recentemente un accordo di cooperazione militare e strategica con Israele con la benedizione della Casa Bianca. L’accordo si trasformerà progressivamente in una vera e propria coalizione militare regionale: lo scopo di questa alleanza, nei calcoli dei loro firmatari, è la regolamentazione delle risorse idriche della regione. Al momento, la Turchia ha il controllo di queste risorse grazie alle gigantesche dighe costruite nei pressi delle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate e grazie alle enormi riserve idriche del suo sottosuolo.

Se i mercanti del passato avevano l’ardire di sfidare territori impervi e mari rabbiosi per importare la seta dall’Asia in Europa, oggi sono le reti di oleodotti e gasdotti a collegare l’Oriente all’Occidente. I preziosi tessuti, che finivano dritti nei guardaroba dei ricchi, erano forse una merce più raffinata del petrolio greggio e i suoi derivati, ma le alleanze petrolchimiche che uniscono molti Stati sono un fattore fondamentale per i rapporti globali.

All’origine di molte guerre

La nuova via del commercio non passa sopra la terra, ma sotto, dove giganteschi tubi, gran parte dei quali ancora in corso di costruzione, attraversano la Turchia e le regioni che fecero parte dell’Impero ottomano. E non è strano che questi conduttori di oro nero siano all’origine di molte guerre come di trattati di pace. Il conflitto in corso fra Armenia e Azerbaigian, per non parlare del controverso caso del Nagorno Karabakh, ha infatti anche un legame con i pozzi di petrolio del Mar Caspio e i mezzi per trasportarlo; allo stesso modo, la guerra russo-cecena ha un aspetto economico, giacché uno dei gasdotti che dal Mar Caspio arrivano in Europa passa in territorio ceceno.

Perfino l’instaurazione della cosiddetta “zona libera” curda, protetta dalle sentinelle aeree degli alleati, ha un’attinenza con la presenza del petrolio e di un gasdotto nel nord del paese, e le fazioni curde si contendono il suo controllo e gli introiti che ne derivano.

Infine anche l’Afghanistan, dilaniato dalla guerra, è tornato al centro dell’attenzione internazionale quando è stato definitivamente varato un progetto per l’estensione di un oleodotto che porterà il petrolio dai campi petroliferi del Kazakistan in Europa attraverso i territori afgani.

(D.M.)