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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Internazionale N. 58 - 17 DICEMBRE 1994

CECENIA - La partita a poker di Boris Eltsin

JACQUES AMALRIC, LIBÉRATION, FRANCIA


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"Per il presidente russo aumenterà ancor più la dipendenza dagli ultranazionalisti e dall’esercito", sostiene "Libération"

È UN RISCHIO GROSSO, quello che ha deciso di correre Boris Eltsin dando all’esercito russo l’ordine di entrare in Cecenia per ricondurre la repubblica autonoma ribelle in seno alla Federazione russa. Pur non essendo molto numerosi - appena più di un milione - i ceceni sono avversari tenaci, determinati: dei guerriglieri nati. Durante le guerre del Caucaso nel Diciannovesimo secolo, hanno opposto una feroce resistenza all’esercito zarista che ha registrato numerosi rovesci in quella regione montuosa, propizia ai colpi di mano e alle imboscate, che si trova fra la Russia di allora e la Georgia, da poco sottomessa. Se ne ricordò Stalin all’indomani della guerra, quando prese a pretesto la collaborazione di alcuni ceceni con i nazisti per procedere alle deportazioni di massa - assai costose in termini di vite umane - di quei musulmani di montagna verso le pianure del Kazakistan. Proprio qui è nato, cinquant’anni fa, Jokhar Dudaev, l’uomo che oggi sfida la Russia dopo aver giocato d’astuzia con il potere sovietico al punto di diventare generale dell’aviazione.

I ceceni non hanno la memoria corta, anche se in quanto popolo sono stati riabilitati all’epoca di Kruscev. Pur essendo divenuti maestri nei traffici d’ogni genere con i russi (da molto tempo sono una componente importante dell’élite mafiosa), non hanno mai accettato di sottomettersi a questi. Già nel 1989, di stanza in Estonia, il generale Dudaev si attira i fulmini di Mosca (dove regnava ancora Gorbaciov) per aver fatto issare sulla sua base la bandiera di quella repubblica baltica. Tornato a Grozny con la nomea di eroe nazionale, Dudaev si mette alla testa di un movimento indipendentista.

In un primo tempo gioca la carta di Boris Eltsin perché quest’ultimo, per meglio destabilizzare Gorbaciov che si abbarbica alla conservazione dell’Impero, si mostra comprensivo nei confronti delle proclamazioni d’indipendenza delle ex repubbliche sovietiche. In seguito, all’indomani del putsch mancato dell’agosto 1991, giunge persino ad allearsi con il nuovo presidente russo ed estromette gli ex dirigenti della repubblica che hanno patteggiato con gli autori del fallito colpo di Stato. A quel tempo, nutre la speranza di fare accettare da Mosca la proclamazione unilaterale, il 1° novembre 1991, dell’indipendenza della Cecenia. La repubblica autonoma non soltanto vuole finalmente prendersi la rivincita sui russi: vuole anche arricchirsi applicando imposte sul petrolio che transita via oleodotto per il suo territorio, dove viene raffinato.

Ma la Cecenia non è una repubblica sovietica, è parte integrante della Russia. Lasciarsela sfuggire darebbe il cattivo esempio agli abitanti della Jakuzia, che ci pensano da tempo, per non dover più dividere con altri i loro preziosi diamanti; ai tatari, che certe velleità le hanno pure loro; e ad altri popoli già sottomessi da uno zarismo di cui Stalin si era fatto erede universale. La proclamazione della secessione cecena non ha quindi tardato a provocare un primo tentativo di intervento russo. Ma l’eco si è spenta dopo qualche combattimento, quando il Parlamento russo ha preteso la fine delle ostilità. Mosca ha ritirato rapidamente le sue truppe e da allora in poi Eltsin ha giocato sulla pazienza e sulla divisione, incoraggiando l’opposizione cecena - per mezzo di aiuti finanziari e rifornendola d’armi - a incaricarsi essa stessa del compito. Il presidente russo aveva persino concluso accordi con uno dei suoi nemici di un tempo, il ceceno Ruslan Khasbulatov, ex presidente del Parlamento russo che, nell’ottobre del 1993, era stato sloggiato a cannonate dalla Casa Bianca...

Spinto dall’esercito, come nella vicenda della Georgia - dove Mosca ha giocato sulla secessione dell’Abkhazia per imporre le sue regole a Eduard Shevardnadze - Boris Eltsin stavolta appare ben deciso a usare il pugno di ferro e a non lasciarsi invischiare in quelle interminabili trattative di cui i ceceni sembrano possedere il segreto. In questo modo, il presidente russo aumenterà ancor più la sua dipendenza nei confronti dell’esercito e degli ultranazionalisti, che già lo applaudono. Parallelamente, il fossato che ormai lo separa dai democratici si farà ancor più profondo, come testimoniano le reazioni che provengono dalla Duma. A breve termine, questa prima guerra condotta sul territorio russo non dovrebbe porre grossi problemi a un esercito superarmato. E, tuttavia, l’ascesso che questo "mini Afghanistan" è destinato a rappresentare rischia di durare, perché la presa di Grozny non sarà che l’inizio dei problemi dell’occupazione. Ed esso potrebbe addirittura gravare pesantemente sull’evoluzione di un regime che non si è ancora stabilizzato e in cui le forze armate torneranno ad avere una voce in capitolo. In Occidente, queste avventure militari non gioveranno certo all’immagine di democratico di Eltsin, peraltro già incrinata dalle cannonate contro il Parlamento di Mosca e dal rifiuto di confermare che rispetterà le scadenze elettorali così come sono previste dalla Costituzione. Si può quindi pensare che egli abbia già avuto implicitamente via libera da Washington e dalla maggioranza delle capitali europee.

I partner occidentali di Eltsin si risparmieranno quindi di indirizzargli lezioni di morale. In primo luogo perché la Cecenia, ufficialmente, fa parte del territorio russo riconosciuto; poi perché gli insuccessi registrati nell’ex Jugoslavia obbligano a una certa modestia e costringono a una certa comprensione; infine, perché in questi ultimi mesi Eltsin ha scelto di mostrarsi relativamente conciliante nei confronti dell’Ucraina e delle tre repubbliche baltiche, finalmente evacuate dall’ex Armata rossa. Ha persino accettato in via di principio, alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Csce), l’invio di una forza di pace. La metà degli effettivi di quest’ultima dovrebbe essere fornita non dalla Russia, ma da altri paesi della Csce, peraltro ancora non identificati. [M. A.]