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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Le Monde Diplomatique - Dicembre 1999

TRA GUERRA IN CECENIA E CATASTROFE SOCIALE

A Mosca, una confusa lotta di successione


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E' arrivato il 6 dicembre il mostruoso ultimatum di Mosca alla Cecenia: cinque giorni agli abitanti di Grozny, che contano tra loro moltissimi anziani malati e bambini, per lasciare la città e arrendersi alle forze russe. In caso contrario, saranno considerati terroristi e "annientati". Washington e l'Unione europea stavolta hanno finalmente alzato la voce ma, nel momento in cui chiudiamo questo numero, restano incerti gli esiti di quella che appare come una "soluzione finale" scelta dalla Russia per "risolvere" il problema ceceno. Tutto avviene mentre si avvicinano due importanti scadenze elettorali: le elezioni del 19 dicembre, in cui i russi eleggeranno i deputati alla Duma, e quelle del giugno 2000 per la scelta del nuovo presidente della Federazione. Un calcolo politico di tipo elettorale non può essere escluso in questo drammatico precipitare della guerra in Cecenia. Allarmata in agosto dalle incursioni delle milizie islamiste in Daghestan, l'opinione pubblica russa è stata letteralmente traumatizzata in settembre dall'ondata di attentati terroristici che attribuiti senza alcuna prova agli uomini di Shamil Basaev hanno fatto centinaia di vittime. Di conseguenza l'attuale conflitto, al contrario di quello del 1994-96, gode di grande consenso. L'esercito russo ha potuto infatti scatenare una guerra totale: finora la conquista di metà della piccola repubblica ha fatto più di 5.000 morti e 200.000 profughi. Chi ha tratto i maggiori vantaggi dall'operazione è il primo ministro Vladimir Putin che ha visto la sua popolarità passare dal 2 al 29%, superando così nei sondaggi tutti gli altri candidati. Il delfino del presidente uscente ha beneficiato finora della timidezza degli occidentali. Infatti gli Usa e i loro alleati, al di là delle proteste di facciata, continuano a sostenere politicamente e finanziariamente questo potere, responsabile del naufragio della Russia. Ma l'aiuto al Cremlino non impedisce a Washington di contrastare qualunque tentativo di rinascita della potenza russa, in particolare strappando il Caucaso e l'Asia centrale all'influenza di Mosca. Prova ne è la ufficializzazione, a metà novembre, del progetto di oleodotto e di gasdotto che collega direttamente il Mar Caspio e l'Asia centrale con il porto turco di Ceyhan, aggirando così la Russia e l'Iran.

di Boris Rakitski e Denis Paillard*

Le elezioni dei deputati della Duma, il 19 dicembre 1999, e del presidente della Federazione russa, nel giugno 2000, coincidono con il ritiro di Boris Eltsin dalla scena politica. La scomparsa di chi ha regnato dal 1991 come padrone incontrastato al Cremlino rende particolarmente pressante la questione della continuazione o meno di un potere la cui politica ha avuto conseguenze tragiche per il paese, sprofondato in una grave "crisi sistemica", per riprendere l'espressione del presidente del Consiglio della Federazione russa, Igor Stroev. In realtà dopo otto anni di riforme brutali quanto caotiche, la Russia si ritrova "senza stato né economia" (1), con una società stremata in cui la stragrande maggioranza della popolazione è ridotta a lottare per la sopravvivenza.

In questa situazione le prossime elezioni legislative rappresentano una prima verifica dell'esistenza di forze (partiti o blocchi elettorali) portatrici di un programma diverso da quello del presidente Eltsin e capaci di (ri)aggregare vasti strati della popolazione attorno ai loro obiettivi. L'importanza di questa verifica va ben al di là del risultato stesso dell'elezione, in cui con molta probabilità le forze cosiddette di opposizione (2) otterranno una schiacciante maggioranza. Ma in assenza di importanti modifiche della costituzione e dell'organizzazione del potere, la maggioranza corre il serio pericolo di essere condannata all'impotenza, come la Duma precedente. Negli ultimi quattro anni infatti questa istituzione non ha fatto che avallare la politica del Cremlino e il rapido avvicendamento di primi ministri (cinque nel corso degli ultimi diciotto mesi).

Il programma di azione annunciato dal governo di Evgenij Primakov alla fine del 1998 ha contribuito a fare chiarezza su alcuni punti essenziali. Sul piano economico Primakov affermava la necessità di rivedere le condizioni nelle quali erano state realizzate le privatizzazioni gigantesca operazione di confisca di ricchezza del paese a vantaggio di un'infima minoranza (3) e prometteva una riforma del sistema bancario, impegnato in un'attività puramente speculativa e con un ruolo fondamentale nella fuga massiccia di capitali dalla Russia. Il secondo punto di questo programma era la lotta alla criminalizzazione dell'economia (secondo le stime più prudenti il 50% dell'attività economica sfugge al controllo dello stato) e alle sue infiltrazioni ai vertici del potere. Infine Primakov dichiarava di voler ridare al suo paese indipendenza, sul piano politico ed economico, dalle istituzioni monetarie internazionali e dal G7 con un rilancio della produzione nazionale.

L'improvvisa estromissione di Primakov nella primavera 1999 ha contribuito a fare luce su un altro nodo cruciale: la necessità di una riforma radicale della costituzione. Adottata all'indomani del sanguinoso colpo di mano di Eltsin contro il parlamento nell'ottobre 1993, con un referendum che la maggioranza degli osservatori ha definito truccato, la costituzione concentra tutti i poteri nelle mani del presidente; fornisce il quadro "legale" a una confisca di stato, che torna a esclusivo vantaggio della "famiglia", secondo il termine utilizzato negli ultimi mesi dalla stampa russa per indicare il clan di Eltsin e dei suoi alleati oligarchi.

La Costituzione infatti riduce la Duma al ruolo di parlamento senza poteri, sottoposto al ricatto permanente del suo scioglimento. La stabilità del governo, nominato dal presidente, dipende direttamente dalla sua docilità : non appena un primo ministro acquisisce un prestigio che rischia di minacciare il potere assoluto del Cremlino, gli vien dato il benservito, come avvenne per Primakov, Cernomyrdin (nella primavera del 1998) e Sergej Stepashin (nell'agosto 1999). Così l'attuale primo ministro Vladimir Putin, la cui popolarità è letteralmente esplosa dopo l'inizio della guerra in Cecenia, potrebbe presto conoscere la stessa sorte; e il fatto di essere stato designato da Eltsin come suo successore alle elezioni presidenziali del giugno 2000 non può certo essere considerato una garanzia di stabilità anzi.

Aspettando l'uomo forte Come primo ministro Primakov ha beneficiato di una considerevole popolarità, che non è venuta meno dopo il suo licenziamento, sebbene il suo programma sia rimasto lettera morta, comprese le misure compensative per i salari che dopo la crisi dell'agosto 1998 avevano subito una drastica riduzione (4). Questa popolarità si spiega con il fatto che gli obiettivi del suo programma erano in profonda sintonia con i sentimenti della popolazione.

Trascinata in una catastrofe sociale da molti considerata irreversibile, la maggior parte della popolazione non attribuisce più alcuna legittimità al potere in carica, come mostrano tutti i sondaggi. Questa sfiducia riguarda la politica delle "riforme", definita per lo più come un periodo di sconvolgimenti e di inutili tragedie, la mancata applicazione delle leggi negli ambiti sociali ed economici e, inoltre, l'incapacità degli organi locali del potere, a cominciare dalla milizia, a far rispettare l'ordine e la legge. Di fronte a un potere "senza potere", che agisce nel mancato rispetto della legge, la popolazione è sempre più consapevole della propria impotenza a influire sul corso degli avvenimenti e crede sempre meno nella possibilità di impegnarsi in efficaci azioni di lotta collettiva.

E' vero che negli ultimi due anni si sono viste azioni di protesta sociale, su scala regionale o settoriale, come nel caso del movimento dei minatori o degli scioperi degli insegnanti e del personale medico che chiedevano il pagamento degli stipendi arretrati. Nella primavera 1998 la "guerra delle ferrovie", quando i minatori hanno paralizzato il traffico ferroviario in Siberia occidentale e in particolare nel Kuzbass, ha avuto la meglio sul governo. Nell'estate 1998 il movimento dei minatori ha assunto una dimensione politica con la presenza di una delegazione davanti alla "Casa bianca" che chiedeva le dimissioni del presidente Eltsin. Molto presto questa presenza è diventata un punto di aggregazione per numerosi gruppi di lavoratori (comitati di sciopero, sindacati e anche lavoratori isolati), convinti che la lotta doveva assumere un carattere politico. Ma lo scioglimento dei picchetti da parte delle forze speciali la mattina del 10 ottobre ha messo provvisoriamente fine al tentativo di dare una dimensione politica alle lotte avviate sul terreno sociale. In alcune imprese è stata creata una forma di controllo operaio diretto a impedire la liquidazione dell'impresa (come nel combinat di Vyborg o nella fabbrica di pompe di Jasnogorsk, per citare solo due esperienze durate a lungo). Ma questi tentativi vengono ignorati. Perché la stampa ne parlasse è stato necessario l'intervento della polizia contro gli operai di Vyborg.

Queste azioni di lotta sono multiformi e non si limitano all'impresa, come testimonia il moltiplicarsi di associazioni femminili in stretto collegamento tra di loro. Inoltre queste organizzazioni si sono moltiplicate al di fuori di tutte le grandi organizzazioni sindacali e politiche, e rimangono più o meno volutamente fuori dal campo della politica. La capacità di mobilitazione della società intorno ad argomenti di interesse generale, che aveva raggiunto un alto livello alla fine degli anni Ottanta, è completamente venuta meno. Un esempio assai significativo è fornito dal movimento ecologista: dopo aver svolto un ruolo essenziale nella critica del sistema burocratico durante la perestrojka, oggi è quasi completamente scomparso a eccezione di alcune delegazioni di Ong internazionali come Greenpeace (5). Non si può inoltre non rimanere colpiti dal numero estremamente ridotto di russi che denunciano la seconda guerra in Cecenia (6); mentre il primo conflitto (1994-1996) aveva suscitato un forte movimento di protesta da parte della popolazione, oggi si sono mobilitati solo il Comitato delle madri dei soldati e i superstiti del movimento per i diritti umani.

La disperazione sociale combinata alla disperazione politica non si traduce solo in apatia e in disinteresse per la cosa pubblica; contribuisce anche a rafforzare l'idea che l'arrivo al potere di un "uomo forte" sia ormai il solo mezzo per far uscire, con metodi autoritari, il paese dalla crisi. Questo mito è presente anche nelle strategie del governo e dei partiti. E non è certo un caso che i primi ministri che si sono succeduti da un anno a questa parte (Primakov, Stepashin, Putin) siano stati tutti a capo del Servizio federale di sicurezza (l'Fsb, successore del Kgb). Del resto quando ha nominato Putin primo ministro, Eltsin ha sottolineato di aver voluto scegliere come successore un uomo "dal pugno di ferro". Lo stesso Partito liberaldemocratico Jabloko ha accolto nelle sue fila Stepashin, favorendo il formarsi di una tendenza autoritaria in un partito in cui il dirigente storico, Grigorij Javlinskij, è sempre più contestato. Ma se i dirigenti dell'Fsb sono molto popolari nei partiti politici, lo stesso non vale per i militari, decisamente sottorappresentati rispetto alle precedenti elezioni.

L'assenza di sistema politico, inteso come insieme di organizzazioni (partiti, associazioni, sindacati) radicate nella società (7), incide pesantemente sulle future scadenze elettorali e sull'avvenire stesso della Russia. Questa assenza rappresenta anche uno dei principali punti di forza del potere, a cui bisogna aggiungere il rifiuto del Partito comunista, maggioritario nella Duma, di sviluppare se si esclude una certa denuncia demagogica una vera opposizione basata sulla resistenza e sul rifiuto di alcuni strati della società. Sebbene i recenti dibattiti sull'uscita dal "sistema Eltsin" abbiano ampiamente affrontato i problemi di fondo (crisi economica e sociale, criminalità, indipendenza della Russia, riforma della costituzione e ridefinizione dei rapporti tra Mosca e le regioni), non c'è nessuna garanzia che questi aspetti saranno effettivamente al centro delle prossime scadenze elettorali.

Se ci limitiamo ai blocchi elettorali in grado di superare la soglia del 5% di voti per le liste presentate su scala federale, si individuano tre coalizioni, tutte appartenenti all'opposizione.

Il Partito comunista della Federazione russa si è impegnato nella campagna con il solo obiettivo di ottenere il massimo dei seggi. Il suo programma elettorale unisce, senza alcuna originalità, la denuncia del regime eltsiniano alle tesi nazional-stataliste che ha accuratamente rodato presso il suo elettorato nel corso delle ultime elezioni.

Il blocco Patria-Tutta la Russia, costituito da Luzhkov e Primakov, è presentato come il grande vincitore delle elezioni, grazie soprattutto al prestigio personale di Primakov. Il suo programma, che insiste sulla necessità di rafforzare lo stato e l'indipendenza del paese, assume in Luzhkov, il sindaco di Mosca, uno spiccato carattere nazionalista con la richiesta di annessione della Crimea alla Russia e la denuncia degli accordi di Khasavjurt firmati nel novembre 1996 con la Cecenia. Sul piano economico l'accento è messo sul rilancio della produzione interna e dei consumi. Un altro tema importante è la riconciliazione delle regioni con Mosca: il blocco Patria-Tutta la Russia è sostenuto dai rappresentanti della élite regionale proveniente per lo più dall'ex blocco Regioni di Russia. Ma il peso delle regioni, in cui alcuni governatori sono sempre più tentati di adottare una strategia di aggiramento del "centro", in particolare sul piano dei legami economici con l'estero, può solo diventare fonte di tensioni all'interno della coalizione elettorale. Inoltre la costituzione del blocco Orso, ispirato dal Cremlino che sa sfruttare l'arma del ricatto economico sulle regioni più in difficoltà, mira a ridurre la forza regionale della coalizione (8). La lista Patria-Tutta la Russia gode dell'appoggio della Confederazione dei sindacati indipendenti (i "vecchi" sindacati) e il suo programma "realista" potrebbe attirare alcune frange di elettori che votano tradizionalmente per il Pc, ma sono ormai stanchi di un'opposizione sterile e passatista. Del resto una parte della direzione del Partito agrario e alcuni responsabili dell'Alleanza patriottica del popolo, alleati da sempre con il Pc, si sono uniti a Luzhkov e a Primakov.

Anche l'ultima forza importante sul piano elettorale, il partito Jabloko, di orientamento democratico-liberale, è turbato da manovre politiche di breve periodo. L'alleanza con Stepashin non può che compromettere l'immagine di qualità che questo partito si era costruito come unica formazione democratica impegnata in un'opposizione coerente.

L'impressione è che l'attuale potere, nonostante il suo sfaldamento o forse proprio per questo, riesca a confinare l'attività politica in uno spazio ristretto, quello degli intrighi, dei tradimenti, degli scandali, tutti aspetti caratteristici della vita politica degli ultimi anni. Le dichiarazioni che invadono la stampa accrescono l'opacità della situazione. E la guerra in Cecenia, che ha visto tutte le forze politiche accettare l'ideologia imperialistica della forza bruta, rischia di distogliere l'opinione pubblica dalle vere poste in gioco in queste elezioni.

Nella crisi che attanaglia la Russia, il potere, le forze politiche e la società nella sua eterogeneità sono alle prese con logiche estremamente contraddittorie. E queste contraddizioni, legate a fattori tanto interni che esterni, rendono difficile (salvo cedere alla tentazione di lasciarsi andare a ipotetici "scenari") qualsiasi previsione sulle possibili dinamiche di stabilizzazione, siano esse positive (legate a un programma di governo, alla ripresa del movimento sociale o a una regione) o negative, cioè tutte incentrate su un uomo della provvidenza, sul nazionalismo panrusso già forte in alcune regione meridionali della Russia o sulla guerra.

note:
* Rispettivamente professore all'università di Lomonossov (Mosca) e ricercatore al Cnrs (Parigi).

(1) Si legga Moshe Lewin, "La Russia senza stato", Le Monde diplomatique/il manifesto, novembre, 1998.

(2) Dal Partito liberaldemocratico Jabloko al blocco Patria-Tutta la Russia guidato dal sindaco di Mosca Jurij Luzhkov e dall'ex primo ministro Evgenij Primakov, fino al Pc della Federazione russa.

(3) Come ha detto lo stesso Vladimir Polevanov, ex collaboratore di Cernomyrdin, 500 tra le più grosse imprese della Russia, il cui valore era stimato in 200 miliardi di dollari, sono state cedute ai nuovi proprietari per 7,2 miliardi di dollari, cioè per il 3,6% del loro valore.

(4) Prima delle riforme lo stipendio di un lavoratore russo, a parità di lavoro e di specializzazione, rappresentava il 25% dello stipendio di un lavoratore occidentale. Nel 1995 la percentuale era scesa al 5% e dopo la svalutazione dell'agosto 1998 all'1,5%.

(5) Grigorij Pasko, militante ecologista il cui processo si è svolto a fine agosto, ha dichiarato che delle 22.000 lettere indirizzate alle autorità russe per reclamare la sua liberazione, una sola proveniva dalla Russia (cf. Libération, 11-12 settembre, 1999).

(6) Si legga Jean Radvanyi, "Perché Mosca rilancia la guerra in Cecenia", Le Monde diplomatique/il manifesto, novembre, 1999.

(7) Moshe Lewin op. cit.

(8) Questo blocco è diretto dal ministro della Protezione civile Sergej Shojgu e ha il sostegno di un gran numero di governatori delle regioni di varie tendenze ideologiche. Nei sondaggi questo blocco è accreditato di oltre il 7% dei voti.

(Traduzione di A.D.R.)