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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Le Monde Diplomatique - Dicembre 1999

TRA GUERRA IN CECENIA E CATASTROFE SOCIALE

Gli errori dell'Occidente in Russia


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Complotto o caos? Quel che tuttavia non lascia adito al dubbio è sicuramente il bilancio negativo di otto anni di "aiuto" occidentale alla Russia e di impegno a fianco dei liberali vicini al presidente Boris Eltsin.

di Jacques Sapir *

Una tesi molto diffusa in Russia sostiene che l'atteggiamento occidentale dopo il 1991, che si tratti di governi o di organizzazioni internazionali, sia consapevolmente e deliberatamente volto all'indebolimento del paese. Questa teoria del complotto si è rafforzata grazie ai risultati ottenuti dalle strategie politiche consigliate ai dirigenti russi a partire dall'inverno 1991 dagli esperti stranieri, ufficiali o meno.

Questa ipotesi è diventata estremamente popolare dopo la crisi finanziaria dell'agosto 1998, in particolare quando nel bel mezzo del disastro finanziario i governi occidentali hanno moltiplicato i richiami alla "continuazione delle riforme".

L'intervento della Nato in Kosovo ha acuito l'impressione di essere stati vittime di un complotto. In realtà la nuova "dottrina militare" russa, resa pubblica nell'ottobre 1999, traduce una visione apertamente antioccidentale (1).

Questa interpretazione rivela una società i cui i protagonisti sono privati di una qualunque forma di controllo sul loro futuro.

La popolarità della visione cospiratrice della storia è favorita anche da un potere estremamente indipendente nei confronti della società. Tuttavia questa teoria è ben lontana dal riflettere la realtà.

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) creato per aiutare le economie capitalistiche sviluppate a superare le difficoltà transitorie nella bilancia dei pagamenti, ma diventato primo esponente della politica liberista su scala mondiale si è visto affidare alla fine del 1991 una sorta di direzione dell'aiuto alla Russia, pur non possedendo alcuna conoscenza delle società in "transizione" né alcuna competenza per gestire la loro crisi. Tuttavia la certezza di essere detentore di una scienza infallibile e di portata universale lo ha spinto a trattare l'aiuto alla Russia nel quadro dei suoi abituali strumenti materiali e intellettuali.

"Eltsin come Lincoln" La priorità è stata data, come altrove, alla lotta all'inflazione e a una drastica riduzione del disavanzo di bilancio attraverso l'adozione di politiche monetarie e fiscali che ignorano le relazioni sociali e monetarie delle imprese ereditate dall'economia sovietica. La disinflazione ha avuto successo, ma con la conseguenza di smonetizzare l'economia, di far crollare le risorse fiscali e di favorire un'apertura del sistema finanziario che ha facilitato la fuga di capitali, la criminalizzazione di una parte dell'economia e lo sviluppo di un mercato finanziario speculativo sui buoni del tesoro russi, i Gko. Questa politica monetaria ha anche provocato una valutazione eccessiva del rublo, la cui parità reale si è quadruplicata tra il gennaio 1993 e il dicembre 1996, con conseguenze disastrose per l'industria.

Il risveglio, con la crisi asiatica del 1997 e poi con quella russa del 1998, è stato un duro colpo, ma probabilmente non è finita qui. E vedendo la violenza degli scontri tra economisti dell'Fmi e della Banca mondiale nel settembre-ottobre 1998, ci si può chiedere se l'autismo scientifico del Fondo monetario non sia ormai irreversibile. Di fronte a queste crisi il direttore dell'Fmi si è lasciato andare a una dichiarazione significativa: ha riconosciuto che la politica della sua organizzazione aveva contribuito a creare in Russia un "deserto istituzionale in un mare di bugie" (2), prima di annunciare le sue dimissioni lo scorso 9 novembre. Ma se i rimorsi e la confessione possono avere un qualche valore in confessionale, hanno poco interesse in politica economica.

In molti casi Washington ha influito in maniera determinante sulle scelte dell'Fmi e del G7. La strategia di queste istituzioni è stata una miscela di obiettivi relativamente fissi e di iniziative spesso disordinate, frutto del progressivo frazionamento del processo decisionale negli stessi Stati uniti. Nella prima categoria si possono inserire la non proliferazione tanto nucleare che chimica e biologica, e l'integrazione dell'Urss e poi della Russia nell'economia mondiale. E' in nome della lotta contro la proliferazione che Washington, tra il 1990 e il 1993, ha aiutato Mosca contro le aspirazioni all'indipendenza delle altre repubbliche sovietiche, in particolare dell'Ucraina. Un'altra costante è rappresentata dagli sforzi per evitare la fuga di cervelli verso paesi come l'Iran o l'Iraq. Per questo motivo gli Stati uniti, in cooperazione con l'Unione europea, hanno finanziato in Russia parte degli istituti di ricerca interessati alle applicazioni militari.

La miopia della classe politica americana sui cambiamenti in Russia dipende in gran parte dai paraocchi di una cultura che ignora le condizioni istituzionali e materiali che, in un determinato paese, danno a uno stato di diritto e alle relazioni commerciali la loro relativa stabilità.

Questa miopia è stata peraltro aggravata dal timore, in gran parte illusorio ma comunque determinante, di una ricostituzione dell'Urss. La preoccupazione di impedire ogni possibile "ritorno dei comunisti" ha spinto la diplomazia americana a impegnarsi a fianco del gruppo dei liberali di Eltsin e a fare della loro influenza il solo metro di giudizio del successo o meno della transizione. Così gli Stati uniti hanno sostenuto alcuni uomini e non un processo sociale. In compenso hanno dedicato molte energie a cercare di indebolire alcuni politici russi che consideravano pericolosi per i loro amici: come fu per la campagna condotta contro Arkadij Volskij (3) nel 1992-93 e per quella contro Evgenij Primakov, primo ministro tra settembre 1998 e maggio 1999.

Questa strategia ha portato la Casa bianca a intervenire in numerose occasioni direttamente o indirettamente nella vita politica russa. Così il presidente Eltsin ha ricevuto un esplicito aiuto politico e finanziario in occasione dello scontro con il parlamento russo nel 1993. Durante la prima guerra in Cecenia il presidente Clinton non ha esitato a paragonare il leader russo a Lincoln. I sussidi e i consigli americani sono stati decisivi in occasione della preparazione dell'elezione presidenziale del 1996. Del resto il credo liberale di Washington ha impedito qualunque critica o semplice revisione delle privatizzazioni e della deregolamentazione.

Ma non si possono comprendere queste scelte senza un'analisi della frammentazione del processo decisionale a Washington. Il conflitto tra il Pentagono, che avrebbe desiderato una transizione più graduale, e il Dipartimento di stato ha avuto un ruolo determinante all'inizio degli anni Novanta. I militari americani erano molto più interessati alla stabilità sociale ed economica della Russia di Strobe Talbott, vicesegretario di stato incaricato delle relazioni con Mosca. La vittoria del Dipartimento di stato a partire dal 1993 e l'alleanza con il dipartimento del Tesoro si sono tradotte nell'adozione di miopi programmi di privatizzazione e di rigore finanziario.

Le informazioni fornite dai vari servizi segreti sullo stato reale della società russa e sul livello di corruzione e di criminalizzazione degli "amici" degli Stati uniti sono state sistematicamente rifiutate o non prese in considerazione. Il caso più spettacolare è stato quello di un rapporto della Central Intelligence Agency (Cia) indirizzato al vicepresidente Al Gore e rispedito al mittente con osservazioni tutt'altro che benevole.

Questa frammentazione si è anche tradotta nell'incapacità di considerare il problema russo nella sua globalità. La pressione degli interessi petroliferi americani ha portato il governo ad adottare, nel bacino del Mar Caspio, una politica offensiva che ha indebolito gli alleati politici di Mosca. La presenza americana in Azerbaigian si è fatta sempre più forte, sia direttamente sia attraverso la Turchia. In Ucraina, per paura di una rinascita dell'Urss, l'unico obiettivo è quello di evitare ogni rapporto con la Russia.

L'allargamento della Nato, infine, ha offerto un altro esempio di tale incoerenza. Mentre il Pentagono aveva delle riserve, il Dipartimento di stato ha spinto molto in direzione dell'allargamento, sotto le pressioni delle lobby dell'Europa orientale presenti negli Stati uniti e nella speranza di indebolire l'Unione europea.

Dobbiamo constatare che gli Stati uniti hanno adottato nei confronti della Russia non una politica, bensì più politiche.

Ostilità e ristrettezza di vedute si sono mescolate. La crisi finanziaria del 1998 e le rivelazioni sulla corruzione del 1999 hanno reso manifesta questa incoerenza, che ha alimentato l'attuale dibattito in corso a Washington su "Chi ha perduto la Russia?".

La politica dell'Europa, o piuttosto la sua assenza, rappresenta un altro aspetto della vicenda. Questa politica, soprattutto in Francia e in Gran Bretagna, è stata caratterizzata "dall'Fmi pensiero", che riduceva a poche e semplici ricette la soluzione dei problemi legati alle trasformazioni sociali, politiche ed economiche.

Nei suoi rapporti con la Russia l'Unione europea è stata incapace di assumere una visione chiara e originale. Ci si deve anzi chiedere se esiste una tale visione comune tra i membri dell'Unione, tanto le loro culture politiche e i loro interessi sono divergenti. La crisi finanziaria del 1998 ha messo in evidenza un avvicinamento tra la Francia e la Germania, che si sono allontanate dagli Stati uniti e raccomandano un maggiore intervento dello stato.

Così Primakov era considerato con più diffidenza a Washington che a Parigi o a Bonn. In compenso l'intesa tra la Gran Bretagna e gli Stati uniti si è rafforzata e rende molto improbabile una coerente politica europea comune nei confronti della Russia.

Degli "esperti" interessati A questa impotenza politica si deve aggiungere un'impotenza economica. Sebbene il bilancio europeo avesse previsto programmi di assistenza di grande portata (ad esempio i programmi Phare per i paesi dell'Europa centrale e Tacis per la Russia), la loro organizzazione si è tradotta in uno scandalo più volte denunciato. Il denaro è andato ai consulenti occidentali, anziché alle esigenze della società e dell'economia russa. La principale responsabilità ricade sulle procedure burocratiche della Commissione. Del resto i dirigenti europei sono stati spesso attratti da obiettivi di breve periodo, come ad esempio la liquidazione delle eccedenze agricole dell'Unione sotto la copertura di un aiuto alimentare raramente necessario e sempre disastroso per l'agricoltura russa.

Non si può però fare un bilancio della politica occidentale senza menzionare il ruolo estremamente negativo della personalizzazione di alcune relazioni, che hanno favorito la collusione e lo sviluppo della corruzione. Così Robert Rubin, segretario al Tesoro americano dal 1996 all'inizio del 1999, era stato responsabile per la Russia della Goldman Sachs, una banca molto impegnata nell'apertura dei mercati finanziari russi. Il suo vice, Lawrence Summers, che lo ha sostituito nel 1999, è un ex allievo di uno dei vicepresidenti dell'Fmi, Stanley Fisher.

Questi ultimi anni le cene di gala newyorchesi sono state frequentate da numerosi "nuovi russi" (come sono chiamati i nuovi ricchi) implicati nello scandalo della Bank of New York.

Inoltre molti economisti, che in qualità di esperti consigliano il governo americano, sono al tempo stesso amici dei "liberali" russi e in particolare di Anatolij Chubais e consulenti dei fondi speculativi di Wall Street. Un ex alto responsabile della Cia, in passato membro del Consiglio nazionale di sicurezza, Fritz Ermarth, ha messo apertamente in discussione l'influenza del mondo della finanza che aveva fortemente investito nei buoni del Tesoro emessi dal governo russo sul governo americano (4).

Gli Stati uniti purtroppo non sono gli unici a far ricorso a queste pratiche. Per limitarci al caso della Francia ricordiamo la consanguineità tra la direzione del Tesoro e l'Fmi, nonché i molteplici tentativi di alcuni oligarchi russi di penetrare finanziariamente nel mondo dei media.

La personalizzazione delle relazioni e la loro influenza sono in gran parte frutto dell'incapacità di formulare una visione coerente e progressista del processo di transizione; un'incapacità che ha molto influito su queste collusioni e sulla loro principale conseguenza: la corruzione. Spesso l'ideologia liberale, per quanto perversa, è stata solo lo strumento di legittimazione di chiare ambizioni finanziarie, che hanno sfruttato il caos che quella stessa ideologia aveva contribuito a creare.

note:

* Direttore di ricerca presso l'âcole des hautes études en sciences sociales, autore fra l'altro di Krach Russe, La Découverte, Parigi, 1998.

(1) Si veda Krasnaja Zvezda, Mosca, 9 ottobre 1999.

(2) Libération, 31 agosto 1999.

(3) Ex consigliere di Mikhail Gorbaciov e punto di riferimento di una transizione pragmatica e graduale nel 1992-93. Nel 1999 si è schierato con l'opposizione, dopo l'accordo tra Evgenij Primakov e Jurij Luzhkov.

(4) Si legga "Testimony of Fritz W. Ermarth on Russian organized crime and money laundering before the House Committee on Banking and Finance", Congresso degli Stati uniti, 21 settembre 1999, Washington DC.

(Traduzione di A.D.R.)