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Grozny bombardata

Rassegna stampa Sulla Cecenia

Le Monde Diplomatique - Marzo 2000

Cecenia, cronaca di tre anni caotici

di Isabelle Astigarraga*


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Per scopi elettorali e strategici il Cremlino ha scatenato in Cecenia una seconda guerra, ancora più crudele della prima. Ma se questo è stato possibile, lo si deve anche al caos che regnava nella piccola repubblica. Una rilettura degli anni 1996-1999.

Quando il 31 agosto 1996 Aleksandr Lebed, all'epoca capo del Consiglio di sicurezza russo, e Aslan Maskhadov, comandante in capo delle forze indipendentiste cecene, firmano la "pace" di Khasavjurt, tutti sanno bene che nulla è stato regolato. Il testo prevede cinque anni per definire lo statuto della Cecenia, ma le posizioni sembrano inconciliabili: Mosca non riconosce l'indipendenza cecena e gli indipendentisti, esaltati dalla vittoria a Grozny, non hanno l'intenzione di cedere.

Ben presto le truppe russe non sono più visibili nella piccola repubblica, ma per quattro mesi sono ancora presenti, acquartierate in una base militare. Qui l'enorme esercito russo dimentica, in pochi giorni, la cocente sconfitta subita e si convince di non aver perduto la guerra: sono gli uomini politici che gli hanno "rubato la vittoria". Sarà sufficiente riprendere i combattimenti per avere ragione di quei "banditi". Per mesi, i rinvii russi sul ritiro delle truppe e le provocazioni manterranno la Cecenia in una situazione di tregua armata.

Quei cinque mesi, che separano Khasavjurt dall'elezione di Maskhadov alla presidenza cecena, saranno cruciali. Non c'è più un potere reale: il presidente Zelimkhan Iandarbev, successore di Djokhar Dudaev (1), è visto come una figura provvisoria. Ogni fazione ne approfitta per rafforzarsi. L'esercito indipendentista ridiventa una moltitudine di piccole bande, la cui lealtà si sovrappone spesso a quella dei clan e del loro capo.

Tra i capi ci sono indipendentisti "sinceri", che spesso hanno preso le armi solo dopo l'entrata delle truppe russe in Cecenia nel 1994. Ma ben presto la frattura si allarga tra i moderati, schierati con il presidente Maskhadov, sostenitori di negoziati reali con Mosca e di uno stato laico in Cecenia, e gli intransigenti, che temono di vedere il nuovo eletto svendere l'indipendenza conquistata a così caro prezzo. Molti sono persuasi che Mosca voglia riprendere la guerra e ritengono che la priorità vada data al riarmo.

Piccole bande crescono Ma altri "capi di guerra" hanno obiettivi meno confessabili. E alcuni, che sembrano agire a favore di Mosca, sono rapidamente accusati di essere stati comprati. Altri sono semplicemente mafiosi, i rari rimasti quando la guerra è iniziata, per patriottismo o per difendere un regime indipendentista che per corruzione o per debolezza li ha lasciati prosperare o più semplicemente per continuare in tutta impunità, sotto la copertura dei combattimenti, le loro attività criminali. Così negli ultimi mesi di guerra sono cominciati i sequestri a scopo di estorsione di ricchi ceceni, operazioni puramente criminali che i responsabili cercano di dissimulare dietro motivazioni politiche: rapiscono solo ceceni filorussi (2).

Alla fine della guerra ritornano anche i capi mafiosi che erano andati via e decine di criminali comuni, di ladri, di assassini di origine cecena venuti da ogni parte della Russia, spesso liberati dalle prigioni russe, purché tornino in Cecenia.

Gli islamisti sono l'altra grande forza che impedirà ogni stabilizzazione della regione. Il loro arrivo in Cecenia è iniziato in sordina negli ultimi anni dell'Unione sovietica. Ma anche se riescono a far ricostruire le moschee distrutte dai sovietici, non godono di grande popolarità sotto il regime di Dudaev, ex generale sovietico. Del resto questa forma di islam importato dal Medioriente è esattamente l'opposto di quello cecena: nella regione infatti è radicato un islam sufi fondato prima di tutto sull'appartenenza alle confraternite e sulle relazioni personali con Dio, ed estremamente tollerante per quanto riguarda l'aspetto esteriore, come l'abbigliamento o il divieto di consumare bevande alcoliche.

La seconda ondata arriva durante la guerra, con i "volontari" addestrati in Medioriente o in Afghanistan e soprattutto, a partire dall'estate 1995, con il denaro che permette agli indipendentisti di riarmarsi e di avere una buona rete di comunicazione. A poco a poco si comincia a parlare di questo comandante saudita o giordano arrivato dall'Afghanistan, soprannominato Khattab, che dirige il suo gruppo di combattenti e le cui vittorie sono attribuite a Shamil Basaev, con il quale è alleato.

Nel corso dei mesi, la sua popolarità cresce tra i combattenti, che ammirano la sua abilità di guerrigliero professionista.

Negli ultimi mesi della guerra e subito dopo, gli islamisti tra cui Khattab è il più conosciuto ma non il più importante cominciano a reclutare su tutti i "fronti". Offrono denaro, armi e una dottrina gradita ai giovani, che vi vedono una via di fuga dalla rigida struttura della tradizione cecena e in particolare dal suo elemento fondamentale: il rispetto per i più anziani. Un rispetto che i ragazzi hanno largamente perduto nell'ultimo anno e mezzo, vedendo gli "anziani" delle città e dei villaggi negoziare la resa con i russi per far cessare i bombardamenti, mentre loro rischiavano la vita e morivano in combattimento.

Molto presto gli islamisti contano almeno uno o due uomini in ogni piccolo gruppo armato.

L'ossessione afghana Quando Maskhadov diventa presidente alla fine di gennaio 1997, la situazione è ormai ben definita. Mafiosi e islamisti sono presenti su tutto il territorio, legati ai vari capi di guerra.

Basaev in particolare diventerà il protettore ufficiale degli islamisti, giustificando questa alleanza con la necessità di riarmarsi in previsione di un ritorno dei russi. Ossessionato dalla paura di una guerra civile all'afghana, il presidente ceceno non oserà scontrarsi frontalmente contro questi gruppi: infatti ognuna di queste bande con i suoi alleati può raccogliere tanti uomini quanti quelli a disposizione delle forze governative, dove peraltro non sono rari gli infiltrati.

Del resto Maskhadov non ha molti mezzi a sua disposizione. Il paese è completamente devastato. I russi hanno bombardato tutte le fabbriche e lasciato dietro di loro greggi decimate e centinaia di mine nei campi, nei pascoli e nelle foreste di questo paese essenzialmente agricolo e montuoso. L'indipendenza che i ceceni considerano come acquisita non è riconosciuta ufficialmente da nessun governo e qualunque offerta di aiuto dall'estero passa necessariamente per Mosca. Ma il Cremlino rifiuta questi aiuti, assicurando che si sarebbe incaricato della ricostruzione della regione ma al contrario di quello che era stato ufficialmente annunciato, non verserà quasi nulla alle autorità cecene.

Un avvenimento cruciale sarà il rapimento di due giornalisti della prima rete televisiva pubblica russa Ort nel marzo 1997.

Tutte le informazioni disponibili a quell'epoca nella piccola repubblica attribuiscono l'azione allo stesso uomo: un ceceno che lavora per il servizio federale di sicurezza russo, l'Fsb, successore del Kgb per i servizi di controspionaggio e sicurezza in Russia. Quando sono rilasciati, il presidente dell'Ort afferma al telegiornale di aver pagato un riscatto di un milione di dollari. "Un milione di dollari è quello che vale oggi un giornalista in Cecenia", ripete mostrando una valigetta piena di mazzette di banconote verdi. La scena sarà diffusa in continuazione per tre giorni su tutte le televisioni russe, viste anche in Cecenia.

Mosca finanzia gli islamisti E' solo il primo di una lunga serie di rapimenti di stranieri: uomini di affari, giornalisti e lavoratori impegnati nell'assistenza umanitaria. Molti lasciano la Cecenia, che rimane completamente isolata. Ben presto i rapitori dovranno andare a cercare le loro vittime nelle repubbliche vicine, dove agiscono con la complicità dell'Fsb; diverse inchieste lo hanno dimostrato, senza tuttavia essere state in grado di stabilire se questa complicità veniva dall'alto o era l'azione di semplici dipendenti corrotti. La maggior parte dei rapimenti è organizzata da alcuni capi di guerra e soprattutto dagli islamisti.

Questi ultimi ormai sono sempre più forti. Hanno molto denaro.

Provenienti ufficialmente da organizzazioni clandestine del Medioriente, dal Pakistan o dall'Afghanistan, i soldi arrivano clandestinamente da sud, ma gran parte passa apertamente per la Russia con, anche qui, la complicità volontaria o pagata delle autorità russe. Il presidente Maskhadov accuserà diverse volte Mosca di finanziare gli islamisti allo scopo di accentuare l'isolamento e la destabilizzazione della Cecenia. Del resto anche se non c'è prova di un tale finanziamento, alcuni "islamisti" erano conosciuti prima e durante la guerra per le loro posizioni filorusse. E la propaganda "wahhabita" in lingua russa che circola in Cecenia è stampata a Mosca.

Tuttavia gli islamisti rimangono molto impopolari. Nel momento di loro massimo successo, all'inizio del 1998, e mentre si mostrano ovunque nelle loro grosse jeep americane cercando di imporre la loro legge con la forza senza mai riuscirci veramente contano solo 4.000 uomini. Non essere riusciti a reclutarne di più, in un paese di 700.000 abitanti in rovina e in cui l'80% degli uomini sono disoccupati, dimostra la loro impopolarità.

Attacco su tutti i fronti Di fronte a questa imposizione di gruppi minoritari, ma ricchi e bene armati, il presidente cercherà di compiere numerosi piccoli interventi, ma non si arrischierà mai a scatenare contro di loro una vera e propria guerra aperta, persuaso probabilmente a ragione che l'avrebbe persa. Mosca afferma di volergli dare una mano per "lottare contro la criminalità", ma non fa nulla.

Tuttavia durante l'estate 1998 una vera e propria battaglia contrappone l'esercito ufficiale ceceno e gli islamisti. E' una sconfitta per questi ultimi e il presidente Maskhadov, anche se non osa andare fino in fondo, annuncia importanti restrizioni alle loro attività. Qualche giorno dopo un attentato dinamitardo lo ferisce e uccide le sue guardie del corpo.

Politicamente il numero uno ceceno è ben presto attaccato su tutti i fronti. I moderati gli rimproverano di non averla fatta finita una volta per tutte con gli islamisti, gli intransigenti di aver abbandonato l'idea stessa di indipendenza e la popolazione di lasciare i criminali arricchirsi mentre la gente comune lotta per la sopravvivenza. Le incursioni di "combattenti" islamisti o indipendentisti in Daghestan si moltiplicano. In Russia nel luglio 1999 già si comincia a parlare apertamente di una nuova guerra cecena, anche se per affermare che non avrà mai luogo (3).

note:

* Giornalista presso l'agenzia France-Presse, corrispondente in Russia dal 1992 al 1997, autrice di Tchétchénie, un peuple sacrifié, L'Harmattan, Parigi, 2000.

(1) L'ex generale sovietico Djokhar Dudaev, che aveva proclamato l'indipendenza della Cecenia nell'autunno 1991, è stato ucciso nell'aprile 1996 in un attacco aereo russo.

(2) I ceceni sono da molto tempo divisi in parti quasi uguali tra filorussi, in genere i ceceni della pianura più russificati e integrati nel sistema, e indipendentisti, più numerosi tra i montanari più poveri e con una conoscenza approssimativa della lingua russa.

(3) Dichiarazione del 23 luglio 1999 di Sergeij Stepashin, all'epoca primo ministro russo.

(Traduzione di A.D.R.)