Nei bassifondi di Napoli

Il fenomeno dei ragazzi di strada non si ritrova solo nel Sud del mondo. Da quando si sono cominciati a mettere in discussione i diritti sociali e tutto è sempre più affidato al mercato, anche nelle nostre città si cominciano a vedere dei ragazzi pronti a piombarti addosso, quando ti fermi al semaforo, per venderti un pacchetto di fazzoletti o per pulirti il vetro. L'UNICEF stima che in Italia i ragazzi di strada siano 500.000 ed anche se molti di loro sono tunisini o marocchini immigrati, il fenomeno sta investendo anche i ragazzi italiani specie in città come Napoli o Palermo. Ma i ragazzi di strada sono solo la punta di un iceberg.

In Italia l'età minima per lavorare è stata fissata a 15 anni in coincidenza col termine dell'obbligo scolastico. Ma Procolo, che ha appena dieci anni, si alza tutte le mattine alle quattro, scende in strada e aspetta un vicino di casa che gli dà un passaggio fino al mercato del pesce dove scarica cassette più grandi di lui. Una mattina, una mano gli scivolò sul bancone usato per tranciare il tonno e un pesante coltello gli mozzò di netto il dito indice. Da allora il suo lavoro non è certo più facile.

Procolo abita alla periferia di Napoli, in un appartamento-garage umido e stretto. La sua famiglia, unita e solida, ma provata dalla vita, cerca di sbarcare il lunario grazie ad un'economia di sopravvivenza. Sua madre lavora stagionalmente nella raccolta della frutta, e passa il resto del tempo a tirar su la famiglia, tentando di garantire l'essenziale con quel poco che entra. Suo padre è un abile pescatore, ma riesce a ricavare poco dal mare inquinato che lambisce la costa napoletana. Parla raramente in famiglia, forse perché è abituato a passare da solo delle lunghe giornate in mare.

Nella casa di Procolo la scuola è ritenuta poco necessaria e ancora meno il gioco e gli altri svaghi. Procolo è un "adulto precoce": conosce il lavoro duro e sa cosa significa stare per ore con le mani e i piedi al freddo. Spesso si ferma all'osteria del porto a bere del vino con gli amici di suo padre. Gli stanno sfuggendo le gioie e la spensierata vivacità dell'infanzia. Ma è pur sempre un bambino .

Impiegati anche dalla malavita

Secondo uno studio condotto nel 1988 dall'Azione Cattolica, in Campania i bambini che lavorano illegalmente sono 90.000 e nella sola Napoli se ne trovano 35.000.

Il 23% di loro guadagna meno di 10.000 lire a settimana e solo il 18% supera le 20.000 lire. Dunque si tratta di una manodopera molto a buon mercato che è utilizzata in tantissimi settori. Ad esempio, la maggior parte degli aiuti meccanici del vecchio "vicolo dei carrozzieri", che si trova dietro la famosa facoltà di architettura, ha meno di 14 anni. Il caffè che viene servito nelle aule, agli studenti ed ai professori, spesso è portato da bambini che dovrebbero trovarsi nei banchi di scuola.

I bambini sono impiegati perfino nei supermercati. In una retata effettuata di recente in un grande supermercato della periferia di Napoli, gli investigatori hanno scoperto che il 40% degli occupati era costituito da ragazzi privi del permesso di lavoro.

Tuttavia la maggior parte dei minori è impiegata nei laboratori dell'imitazione, di cui Napoli è diventata specialista. A migliaia essi sono assunti a nero nei piccoli laboratori che producono perfette imitazioni delle borse di Louis Vuitton, dei jeans firmati "Fiori di Carta", di uova pasquali e di pellicce.

Purtroppo alcuni finiscono anche come "manovalanza" della malavita organizzata. Ogni tanto a Palermo, dei bambini sotto ai dieci anni sono sorpresi a vendere eroina. Solo nel quartiere di Scampìa si stima che 500 bambini siano impiegati come corrieri di attività criminali. Questi "muschilli" (moscerini), come vengono chiamati, sono piccoli, veloci e, come dice il loro stesso nome, difficili da catturare. La camorra sa che per la legge italiana, essi non sono punibili e sfrutta questa particolarità per fare svolgere a loro le fasi più esposte delle azioni criminose.

Bambini a nero per non versare i contributi

Per l'agricoltura la legge italiana fa un'eccezione ed ammette l'assunzione a 14 anni, purché si tratti di un lavoro stagionale che non compromette la frequenza della scuola. "Ma nella sola provincia di Reggio Calabria i giovani sotto i 14 anni impiegati stabilmente in agricoltura sono almeno 15.000. Si tratta di un fenomeno di enormi dimensioni, che sfugge completamente al controllo degli enti preposti e che ripropone il problema del lavoro "nero" e della tutela dei minori nella nostra regione" denuncia Demetrio Costantino, segretario della Confederazione Coltivatori di Reggio Calabria.

"E' un problema molto grave - egli prosegue - perché si tratta di ragazzi mezzi analfabeti che sono sfruttati e umiliati".

Costantino è arrivato alla cifra di 15.000 minori (che considera sottostimata) a partire da una ricerca effettuata sulle 50.000 aziende agricole del Reggiano. "Ho fondati motivi per ritenere che la metà di queste aziende impiega almeno un ragazzo minore di 14 anni - dice il dirigente dell'Associazione - Essi non sono addetti solo alla raccolta dei prodotti, ma anche alla cura degli animali e a tanti altri lavoretti affidati ai garzoni. Mi chiedo quanti di loro abbiano un regolare contratto da apprendista. Siamo in presenza di un vero e proprio sfruttamento".

Secondo Costantino questa piaga si può combattere perché una circolare dell'Inps prevede che è soggetto a tutela perfino il lavoro agricolo svolto in ambito familiare. "Questa interpretazione è stata avallata anche da una sentenza della Corte di Cassazione del 1986 -sottolinea Costantino- Essa ha ribadito il requisito dell'età minima in ogni settore lavorativo".

Il fenomeno dell'abusivismo minorile in agricoltura preoccupa anche l'Inps, che in Calabria deve già arginare il fenomeno delle invalidità fasulle e degli elenchi anagrafici gonfiati. " Le aziende ricorrono al lavoro minorile per non pagare i contributi - dice Vittorio Todaro, presidente del Comitato Regionale dell'Inps - e per stroncare questo fenomeno ci vorrebbe un'azione coordinata del nostro Istituto e dell'Ispettorato Provinciale del Lavoro. Va anche considerato che chi non paga i contributi non paga neanche le tasse e ciò è intollerabile in una regione che ha già un gettito fiscale molto basso a fronte di una spesa pubblica piuttosto elevata. Del resto non è pensabile che un settore trainante per l'intera economia calabrese, come è l'agricoltura, resti ancorato a vecchi schemi, e continui ad impiegare in massa i minorenni" .



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