Bambini
per le strade del mondo


Da beneficiari ad attori sociali


La sfida per l'operatore sociale oggi è passare da una concezione del bambino in quanto oggetto di studio e di intervento ad una più complessa "disadultizzazione" della società così da far emergere la soggettività sociale dei bambini stessi, la loro capacità organizzativa e il ruolo nuovo che essi possono giocare nella difesa dei propri diritti.

Fino a non molto tempo fa soleva dirsi che su bambini, bambine e adolescenti non avevamo molta informazione. Oggi certamente ci sono molti aspetti della loro vita che ancora non sono stati oggetto di seria indagine o che addirittura non sono stati studiati. Però la letteratura prodotta su questo argomento è abbondante. Sebbene in passato le stesse scienze sociali non gli abbiano attribuito un grande interesse, attualmente si può contare su studi, monografie, inchieste che, in qualche modo mostrano un attenzione nella formulazione di nuove categorie e orientamenti.

I bambini sono presenti nella narrativa e nella poesia nazionale anche quando la letteratura peruviana non presenta un tipico personaggio infantile, bambino o bambina. Una particolare sottolineatura merita il caso della stampa: i quotidiani e la questione del bambino. Da alcuni anni il giornalismo si avvicina alla realtà dei bambini in forma regolare ed ininterrotta.

Abbondano le cronache, i reportage, gli articoli nelle riviste specializzate di economia e di educazione che si occupano di bambini e bambine. Potremmo riconoscere che il giornalismo non lavora solo sulle situazioni più drammatiche e compassionevoli che colpiscono l'infanzia. C'è una tendenza emergente a segnalare quello che i bambini fanno nell'affrontare i loro problemi. Si comincia da un taglio di cronaca poliziesca sui bambini per fare un inventario di quello che sono, di cosa vivono. quello che fanno, ciò che si aspettano dalla società. Inoltre, ogni volta occupano più colonne le opinioni dirette degli stessi bambini e bambine.

Dai mezzi di comunicazione di massa come la televisione, abbiamo una serie di immagini dell'infanzia che meritano un bilancio più attento: un'analisi degli spot che richiamano alla pace mostrandoci bambini sorridenti che giocano, cantano.... e bambini che piangono o manifestano nei loro visi l'orrore delle violenze che scuotono il paese. Però i programmi per bambini sono i più rappresentativi di una concezione dell'infanzia nella quale l'artista adulto continua ad essere il centro intorno al quale i bambini danzano e recitano in coro. Il centro non sono i bambini: è l artista o l'attore, pagliaccio o meno.

Attraverso tutti questi programmi si va diffondendo e rafforzando un'immagine dell'infanzia che meriterebbe di essere analizzata. Tra gli aspetti di rilievo particolare, dovrebbero menzionarsi l'uso di nuove categorie nella realizzazione degli studi. Tra di esse, soggetto di diritto, soggetto sociale, fenomeno sociale, movimento sociale, protagonismo infantile, cittadino eccetera. Questi nuovi paradigmi consentono di elaborare una nuova visione dell'infanzia e diventano componenti di ciò che potremmo definire l'emergenza di una nuova cultura dell'infanzia, di un nuovo sentimento dell'infanzia. Eventi come la Convenzione, la promulgazione del Codice dei Bambini e degli Adolescenti costituiscono un inserimento formale nel corpo normativo di alcune di queste categorie.

Il salto qualitativo è dato dal nuovo ruolo sociale che i bambini sono chiamati a giocare. Non si tratta più di vedere ogni bambino come un caso a sé, che si può isolare dal fenomeno sociale dell'infanzia. Sebbene ogni bambino costituisca, da una prospettiva metodologica, un caso, una storia concreta, questa non è da confondere con la realtà dell'infanzia, intesa come fenomeno sociale. Qui risiede la possibilità concettuale e pratica di intendere i bambini come attori sociali, e forgiarli come tali.

Sebbene la storia dell'infanzia occidentale e moderna sia la storia stessa della privatizzazione del bambino, della sua sparizione sociale, la scommessa più recente è di contribuire alla sua emergenza sociale come attore, soggetto sociale; a ciò contribuiscono i diversi movimenti in favore dei diritti del bambino sorti nel paese negli ultimi otto anni. Ed è la lenta, epperò reale, emergenza dell'organizzazione infantile, in special modo quella dei bambini e bambine lavoratori, che va ad assumere un peso storico in questo processo in tutta la proposta di protagonismo infantile organizzato. In questo processo non possiamo disconoscere le difficoltà e le debolezze organizzative dei bambini e degli adolescenti.

E necessario comunque stabilire dei criteri che ci permettano di distinguere in maniera più precisa le diverse categorie di bambini, bambine e adolescenti. I mal definiti "minori", in circostanze particolarmente difficili, possiedono tra di loro caratteristiche e profili ben differenziati. Si possono distinguere dieci categorie. Tutte descrivono in qualche modo delle situazioni che, in realtà, possono rappresentarsi in forma cumulativa nello stesso bambino o adolescente. Consideriamo importante ricordare che riferendoci ad espressioni con una carica simbolica aggressiva o svalutati va del bambino, dovremmo ricercarne delle altre che riassumano meglio l'aspetto propositivo. E' il caso, per esempio, dell'espressione "bambino di strada ".

Un salto qualitativo nella concezione e nella pratica di ogni operatore sociale

La storia dell'infanzia raccoglie un'immagine del bambino come beneficiario delle politiche sociali, delle opere di filantropia e di carità. In particolare quando si tratta di bambini poveri. Questa mentalità del passato è ancora presente, quantunque con nuove espressioni e giustificazioni. In effetti, nell'ordinamento neo liberale dell'economia, della politica e della vita nazionale, i bambini dei settori popolari tendono a essere visti, insieme alle popolazioni più depresse in seguito agli aggiustamenti economici, come beneficiari degli esigui e occasionali sostegni sociali che lo Stato, nel più puro stile assistenzialista, offre.

In questo contesto si impone una riflessione sul ruolo che lo stesso Codice dei Bambini e degli Adolescenti assegna per esempio alla polizia. Lì si riafferma la funzione tutelare e di protezione della cittadinanza da parte dello Stato. Il Codice, però, non dà il potere allo Stato di sostituirsi alla società civile né agli attori sociali.

E questo principio è tanto più valido quando si tratta di bambini, e in maniera specifica di bambini dei settori popolari. E' facile far scivolare la funzione tutelare dello Stato ad un ruolo tutelare dei cittadini. La polizia ha davanti a sé una sfida storica, nel contesto creato dalla Convenzione e dal Codice dei Bambini e degli Adolescenti, per mostrarsi alla cittadinanza, e in particolare davanti alle nuove generazioni come un'autentica forza ausiliare degli sforzi che la società civile, le organizzazioni di base e le organizzazioni autonome degli stessi bambini, stanno facendo per la difesa dei propri diritti. Si tratta allora di un salto qualitativo nella concezione e nella pratica istituzionale di ogni operatore sociale. I bambini non sono semplici beneficiari del nostro impegno professionale; essi costituiscono la ragion d'essere del nostro lavoro di professionisti.

"Disadultizzare" la società

Parlare di tenerezza in un contesto violento che quotidianamente ci confronta con le conseguenze e i disastri che la violenza produce sui bambini, potrebbe suonare come ingenuità, idealismo, romanticismo e debolezza. L'esperienza con i trasgressori sociali, con i bambini reclusi negli istituti per i "delitti" sanzionati dalla legge, sembrerebbe giustificare un discorso e una pratica esigente, disciplinante in cui il rigore e la durezza rappresentano gli assi portanti dell'intera proposta di "riabilitazione". Si verifica, nella nostra esperienza, una specie di contraddizione inguaribile tra i nuovi paradigmi teorici e la realtà quotidiana di ragazzi e ragazze di strada. Le difficoltà e i numerosi insuccessi non possono giustificare né la rinuncia a questi nuovi paradigmi, né il ritorno a pratiche autoritarie.

Una pedagogia della tenerezza presume una relazione di mutua esigenza. Quella dell'adulto di fronte al bambino, anche di questo verso l'adulto. '"Disadultizzare" la società non può giustificare la cronicizzazione della tirannia del bambino. Parlare di nuova cultura dell'infanzia caratterizzata tra le altre cose dal protagonismo dei bambini, non equivale alla rinuncia di noi adulti alla responsabilità di esprimere ciò che pensiamo, di suggerire, di proporre, di dissentire e, se necessario, di opporsi.

Un falso rispetto del protagonismo dei bambini, che fa della loro voce e delle loro esigenze l'ultima parola indiscutibile, non sarebbe una cosa diversa da una violazione del diritto dei bambini ad essere anche protetti, allertati, orientati. Senza una relazione di tenerezza, tutto questo corre il rischio di essere vissuto come un'imposizione autoritaria. Se c'è qualcosa che rappresenta una verità da tenere sempre presente, è quella che non possiamo ridefinire la visione del bambino senza ridefinire la visione dell'adulto, del suo ruolo non solo davanti al bambino ma nei confronti dell'intero tessuto sociale.

La disciplina non è nemica della tenerezza: è un'esigenza della stessa; per non cadere nel ricatto, per non confondere tenerezza, buone maniere, amabilità, dolcezza, flessibilità, con debolezza.

Però, se questo può essere necessario con qualsiasi bambino o bambina in generale, con i bambini che vivono in strada o in situazione di abbandono, o di sradica mento familiare, sociale, culturale, ciò si rende indispensabile se vogliamo che la nostra azione abbia un impatto positivo sulla loro vita.

Alejandro Cussianovich
Educatore collaboratore del Manthoc

Tratto da: "Bambini per le strade tra Nord e Sud del mondo" - collana Mondialità 17 Volontari Per lo Sviluppo
Rivista trimestrale promossa da tre organismi di volontariato internazionale:
ASPEm, CCM e CISV.










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