Bambini
per le strade del mondo


I diritti dei bambini - al di là del mito


L'infanzia nonostante l'enfasi con cui vengono sottolineati la sua centralità e i suoi bisogni nella realtà contemporanea è ancora vittima di un atteggiamento del mondo adulto che, inchiodandola ad una profonda contraddizione, Ia mitizza da un lato e la emargina dall'altro.

La mitizzazione dell'infanzia e l'ideologia dei diritti

La mitizzazione dell'infanzia si è incarnata nell'immagine stereotipata e astratta ben reclamizzata sui mezzi di comunicazione del bambino (bianco) "familiarizzato" che vive curato, protetto e coccolato, sempre sorridente, ben nutrito e ben vestito e che, soprattutto, non fa mai arrabbiare mamma e papà, nella totale e rassicurante dipendenza dal mondo adulto.

Egli non esiste come soggetto attivo, ma solo come oggetto passivo dell'attenzione degli adulti, che programmano la sua vita fin nei minimi particolari: scuola, musica, danza, teatro, sport, computer, lingue straniere in una rete di impegni e attività che lo intrappolano e ritardano ogni sua possibile esperienza autonoma, spesso privandolo dei propri desideri e della propria identità. Si ha l'impressione, dunque, che l'unica condizione riservata al bambino, al di là del mito, sia quella di essere un "oggetto di tutela", ricettacolo passivo di una cultura elaborata e gestita dal mondo adulto e consumatore di merci e servizi, cui è negata qualunque facoltà di partecipazione costruttiva alla vita della società.

Anche nella convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia del 1989 si può ritrovare questo atteggiamento protezionistico e passivizzante dell'infanzia. Nessuno vuol negare che tale Convenzione sia la più riuscita sintesi di un lento e faticoso processo che il diritto internazionale ha percorso durante questo secolo per adeguarsi alle nuove prospettive pedagogiche e psicologiche. Nel testo, risulta con chiarezza che i diritti fondamentali del bambino sono considerati come una specificazione dei più generali diritti di un essere umano.

Ma da una lettura approfondita e criticai, non può sfuggire che i diritti, assai importanti e molto declamati, come quelli contenuti negli articoli 12, 13, 14, 15 (la libertà di pensiero, di religione, di associazione) si scontrano di fronte alla possibilità reale che i ragazzi hanno di esercitarli. Non mancano le perplessità e le riserve intomo alle concrete possibilità che la Convenzione con la sua "ideologia dei diritti del bambino", costituisca un'effettiva leva per il cambio sociale. Si ha l'impressione che per gli ideologi dei diritti, basti il fatto di averli enunciati perché automaticamente si creino le condizioni perché si possa iniziare a goderli.

Sulla loro pelle i bambini del Sud invece sperimentano come l'assurdità del "Nuovo Ordine Mondiale", solidamente basato sulla dogmaticità delle teorie economiche neo liberiste e conservatrici che disegnano l'assetto economico del mercato mondiale, e giustificato dalle varie ideologie della supremazia della razza, della cultura o chissà cos'altro, ogni giomo tolga loro la possibilità di usufruire di tali diritti, a volte per sempre.

Situazione irregolare... di chi?

I "figli del Sud" dei diritti dei minori possono forse sentirne parlare, magari a scuola, ma si dovranno poi accontentare solo di illustrarli con i disegni delle loro mani incerte. Nei loro paesi, devono inoltre fare i conti con la legislazione nazionale in cui l'effetto delle grandi novità del nostro secolo in materia d'infanzia e della stessa Convenzione è stato nullo e non ha intaccato minimamente l'ostinazione con cui ancora si continua a rinchiuderli nella pseudo dottrina giuridica della "situazione irregolare" Ia categoria in cui si fanno rientrare non solo gli abbandonati, gli orfani e i minori delinquenti, ma anche tutti i bambini appartenenti ai settori più deboli della società.

Anche nei vari "codici dei minori" non fa che ripetersi la dimostrazione dell'esistenza di due tipi d'infanzia: da una parte i pochi "fortunati", che per i codici sono "i bambini e gli adolescenti", con tutte le proprie necessità basilari soddisfatte, e anche di più; dall'altra la maggioranza definiti dai codici genericamente "minori", con le loro necessità basilari parzialmente o totalmente insoddisfatte. Così al gruppo dei "proprietari impuniti", cioè quello dei bambini e degli adolescenti, le leggi dei codici risultano indifferenti: la "discrezionalità" permette di risolvere i vari conflitti con la legge per mezzo i canali diversi da quelli previsti nei testi (difficilmente un figlio di famiglia facoltosa che abbia trasgredito la legge sperimenta il carcere minorile).

Ai sanzionati espropriati, la grande massa dei "minori", le leggi basate sulla "situazione irregolare" riservano invece condizionamenti e amare esperienze dal momento della nascita fino a quello del loro trasferimento sociale, per mezzo dell adozione, o del loro confina mento istituzionale, tramite internamento in istituti o carceri minorili. La loro situazione irregolare è da correggere e sanzionare, in nome di una non ben definita compassione che nasconde la repressione, che non disdegna l'uso di mezzi coercitivi violenti (i manganelli della polizia) o, peggio, dimostra una rassegnata arresa di fronte al dilagare del fenomeno degli squadroni della morte.

L'idea che sia invece lo Stato ad essere in una "posizione irregolare" nei confronti dei suoi cittadini minorenni, in quanto non provvede a elaborare una politica sociale che ponga fine alle profonde ingiustizie retributive, non è presa minimamente in considerazione. E anche quando le pressioni delle organizzazioni dei movimenti popolari, uniti ai settori avanzati del mondo intellettuale e giuridico, sono riuscite ad ottenere un profondo e radicale mutamento della legislazione sui minori, come è il caso del Brasile, i miglioramenti dei piccoli "paria" stentano ancora a vedersi.

Sicuramente la situazione brasiliana è sintomatica: lo Statuto del Bambino e dell'Adolescente, approvato nel 1990, è una delle legislazioni minorili più avanzate del mondo, che ha recepito e codificato novità importanti come la partecipazione della cittadinanza nella difesa dei diritti dei bambini e nella stesura delle politiche minorili. Ma è forse anche la più disattesa e combattuta del mondo: sono già state presentate numerosissime proposte di riforma da parte dei gruppi parlamentari e giuridici delle destre (come l'abbassamento dell'impunibilità a 16 anni) e nella maggioranza dei municipi è fortemente osteggiata in molti modi la realizzazione dei Consigli di difesa dei Diritti e quelli Tutelari, in cui la partecipazione popolare potrebbe finalmente iniziare a modificare la disastrosa situazione dell'infanzia brasiliana e porre fine alla corruzione endemica che non disdegna di cibarsi anche dei fondi per l'infanzia.

Una nuova cultura per una nuova politica sociale dell'infanzia

Come superare l'atteggiamento del mondo adulto di mitizzazione emarginazione dell'infanzia, per giungere finalmente ad una nuova concezione dell'infanzia capace di determinare non solo enfatiche dichiarazioni, ma soprattutto politiche sociali capaci di cogliere e soddisfare i veri bisogni dei bambini?

Pensiamo che il primo atteggiamento da modificare sia quella tendenza a fissare il rapporto adulto bambino in una asimmetricità totalmente a sfavore di quest ultimo. Dichiarazioni, leggi e politiche sociali rivelano che il mondo adulto è più preoccupato di proteggere che di promuovere e valorizzare l'infanzia. Essa è l'unica categoria sociale che non ha il potere di intervenire nella determinazione dei propri interessi, dato che sono gli adulti che si arrogano il diritto di interpretarli, forti della convinzione che il minore sia "proprietà" dell'adulto, manchi di autonomia, dignità e sia un individuo da addestrare attraverso forme di colonizzazione educativa.

Le politiche sociali sono il riflesso del livello di coscienza della società nei confronti della realtà e delle esigenze dei bambini. Le loro carenze rivelano come la conoscenza dell'infanzia sia lacunosa e pregiudiziale. Soprattutto per il fatto che spesso sia una politica diretta all'emergenza e alla cura, più che allo sviluppo e alla prevenzione.

Di ciò fanno testo non solo la stragrande maggioranza delle politiche nazionali dei paesi del Sud, con le varie campagne per il bicchiere di latte o per le vaccinazioni, ma anche il profondo mutamento occorso anche nelle politiche di cooperazione intemazionale. I progetti e gli interventi che "tirano" e che sono maggiommente reclamizzati sono proprio quelli diretti all'intervento emergenziale umanitario.

Schiere di bambini piangenti, affamati, malati, amputati sono lanciati quotidianamente sulle pagine dei giornali e sugli schemmi TV per colpire e convincere il potenziale anonimo compilatore di bollettini di versamento, per poi rientrare nel buio dopo la loro fugace apparizione. Con questo non vogliamo certo dire che la risposta immediata all emergenza sia sbagliata; è sbagliato assurgere l'emergenza come stile politico, con i suoi interventi "tampone", che non analizzano né tanto meno rimuovono le cause strutturali che hanno provocato la crisi. Quando l'emergenza diventa addirittura un risultato indotto e pilotato, che sposta l'attenzione dell'opinione pubblica intemazionale da una parte all'altra del globo, distogliendola da approfondimenti e prese di coscienza che svelino sgradevoli verità. Anche il sensazionalismo con cui vengono trattati casi di cronaca che riguardano i minori, nasconde la volontà del mondo adulto di continuare a trattare i problemi dell'infanzia come occasionali e circoscritti a fasce culturali e sociali ben precise.

Si impone perciò la necessità di sviluppare una nuova cultura dell'infanzia capace di una sincera accoglienza che porti al riconoscimento dell'esistenza dell'infanzia come categoria sociale ben definita in grado di partecipare alla definizione dei propri bisogni e dei mezzi per poterli soddisfare: ma solamente sviluppando un alto grado di collaborazione fra adulti e bambini saremo in grado di ricollocare l'infanzia all'intemo della comunità umana e non più vederla come "mondo a parte".

Tale ricollocazione può solo iniziare dal riconoscere che l'infanzia è al centro di una propria rete sociale di relazioni, legami, e significati, in cui essa opera influenze ed è influenzata. E dentro le relazioni di questa rete che nascono i problemi che colpiscono i bambini. Ed è sempre operando sulle relazioni della rete, attraverso analisi, interpretazioni e valorizzazioni che si possono trovare le soluzioni. Anche per l'infanzia vale perciò il presupposto che il singolo o il gruppo, oltre che ad essere portatore di problemi, è un grande portatore di risorse.

Come è dimostrato, specialmente nel Sud del mondo, dai numerosi gruppi di bambini e adolescenti che si sono autorganizzati per lottare insieme per il conseguimento di una vita più dignitosa per se stessi e per le proprie famiglie.

Augusto Borsi

IL COLIBRI

Tratto da: "Bambini per le strade tra Nord e Sud del mondo" - collana Mondialità 17 Volontari Per lo Sviluppo
Rivista trimestrale promossa da tre organismi di volontariato internazionale:
ASPEm, CCM e CISV.










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