CAPITOLO 5:LA CACCIA PRATICATA NEL DELTA DEL PO VENETO

Le fonti normative che regolamentano l'attività di caccia nel Delta del Po Veneto sono: la legge nazionale sulla caccia (la L. 157/'92), la legge regionale veneta sulla caccia (la L.R. 50/'93), la legge nazionale sui parchi (la L. 394/'91), la legge regionale che ha istituito il Parco Naturale Regionale del Delta del Po Veneto (la L. R. 36/'97), il piano faunistico venatorio regionale 1996-2001 (la L.R. 17/'96), lo statuto dell'A.T.C. 4A3, il regolamento che disciplina la caccia valliva nell'A.T.C. 4A3, il regolamento che disciplina la caccia terriera nell'A.T.C. 4A3 e le disposizioni particolari relative allo svolgimento dell'attività venatoria nell' A.T.C. 4A3 emanate dal dirigente del servizio caccia e pesca della Provincia di Rovigo.

Non è scopo di questa trattazione fare una disamina di quali sono gli aspetti salienti di tali leggi e disposizioni, ma solo di descrivere le abitudini venatorie dei seguaci di Diana della zona del Delta del Po Veneto, in relazione sia al rispetto delle suddette leggi, sia alla loro violazione.

La maggior parte dei cacciatori che praticano l'esercizio venatorio nell'A.T.C. 4A3 cacciano da appostamenti fissi ubicati in territorio lagunare e vallivo.

Vi sono, ovviamente, come nel resto d'Italia, i patiti della caccia in forma vagante e con il cane che vanno pazzi per lepri e fagiani, ma trattasi questa di una pratica venatoria che di solito ha il suo acme durante i primi giorni dopo l'inizio dell'apertura dell'attività venatoria, quando tali animali, la maggior parte di allevamento , sono facili prede delle doppiette e dei cani dei seguaci di Diana. E' scontato il dispiacere che causa la fine di quelle povere bestiole (anche se non è lo scopo di questo lavoro fare disquisizioni ideologiche sulla caccia), ma il loro abbattimento non è certo un danno per il patrimonio faunistico nazionale, in quanto di "selvatico" hanno ben poco.

La vera tradizione di venatoria nel Delta del Po Veneto consiste nel praticare la caccia dalle botti o dai palchetti, (questi ultimi detti localmente coeie) ubicati nelle sacche, nelle lagune e nelle valli. Le prede più ambite sono Anatidi e limicoli.

Le botti (di solito in ogni singolo sito di caccia ve ne sono due) sono manufatti, normalmente in cemento, ancorati sul fondo delle paludi, che poggiano su un basamento fatto usualmente con gli stessi massi che costituiscono "la difesa in roccia" (dalle piene) degli argini interni del Po (è facile vedere, nelle giornate che precedono l'apertura della caccia, un via vai di cacciatori che "prelevano" tali pietre e le utilizzano per sistemarsi l'appostamento; qualcuno, per questo,è stato anche denunciato e condannato per furto ai danni del demanio dello Stato). Per nascondere la postazione ed il natante che ormeggiano nei pressi, i cacciatori solitamente mimetizzano le botti con canne di palude, giunchi, ramaglie ed altra vegetazione utile a tale scopo. Quando cacciano, utilizzano un confortevole sgabello che permette loro di stare comodamente seduti all'interno della botte.

I palchetti hanno la stessa base in roccia delle botti, ma sono costituiti da una serie di assi sopraelevate dall'acqua. Sono notevolmente più grandi delle botti, dispongono infatti anche di ripiani dove poggiare le armi, di sedili e di un alloggiamento per la barca. Anche i palchetti vengono opportunamente mimetizzati con materiali idonei.

All'interno di ciascun appostamento non vi possono stare più di tre cacciatori, inoltre è fatto divieto di occupare l'appostamento ad estranei non iscritti all'ambito e di farne un uso diverso da quello della pratica dell'attività venatoria.

Di tali tipi di appostamenti ve ne sono sia in territorio demaniale, libero, sia nelle aziende faunistico venatorie (in queste ultime vi sono soprattutto botti).

Entrambi i tipi di postazioni di caccia sono censiti dall'Amministrazione Provinciale, trattandosi infatti di veri e propri manufatti (scarso è l'uso degli appostamenti temporanei, che non richiedono autorizzazione e devono essere rimossi a fine giornata) che necessitano di autorizzazioni ai sensi della legge Galasso e concessioni dalla Capitaneria di Porto (in questo caso di Chioggia, competente per territorio) ed ammontano a 351.

Essi, nel territorio libero (per territorio libero si intende quello che non è di proprietà di privati), non sono intestati ai singoli cacciatori, in quanto chi per primo ne occupa uno, ha il diritto, per quella giornata, di esercitarvi l'attività venatoria. Gli appostamenti sono della Provincia (che li gestisce unitamente al Comitato Direttivo dell'Ambito), che paga anche un canone al demanio marittimo. I singoli cacciatori, a loro spese, si preoccupano di effettuare la manutenzione dei vari manufatti. In realtà, capita sovente che i singoli cacciatori rivendichino il diritto di proprietà sugli appostamenti, con la scusa di essere stati loro ad approntarlo, e guai se uno occupa "l'appostamento di un altro"...sono capacissimi di arrivare alle mani, di bruciarseli a vicenda, di denunciarsi o di tagliarsi i pneumatici delle auto!(1)

Che non risponda al vero il fatto che gli appostamenti in territorio libero non siano di proprietà, è comprovato da casi accertati di cacciatori che hanno letteralmente "venduto" il "proprio appostamento" (capita per esempio, a volte, che un anziano cacciatore decida di attaccare la doppietta al chiodo e che magari non abbia figli che l'abbiano seguito nella sua passione) ad altri cacciatori per molti milioni (come se si trattasse della vendita di una licenza commerciale! Ma, in fondo, la caccia nel Delta è proprio una sorta di forma di lucro e può essere paragonata ad una specie di attività lavorativa!) (2)

Il cacciatore parte di solito di notte (le ore migliori per la caccia sono infatti le prime ore dell'alba), con una barca che riempie di tutta l'attrezzatura necessaria: documenti venatori (licenza di caccia, tesserino regionale sul quale annotare il giorno dell'uscita, la provincia nella quale si è fatta l'uscita ed eventualmente anche i capi abbattuti, il tesserino lagunare e vallivo sul quale vanno fatte le stesse annotazioni di quello regionale ed inoltre va annotata anche la località ove si è praticata l'attività venatoria, la ricevuta attestante il pagamento delle tasse di concessione governativa ed il pagamento dell'assicurazione prevista per la pratica venatoria), fucili (nell'appostamento non si possono portare più di due fucili, che devono essere con canna ad anima liscia e di calibro non superiore al 12, di cui uno deve rimanere scarico e nel fodero), cartucce, stampi (di solito attorno al centinaio per ogni appostamento), richiami vivi, fischi e richiami a bocca o manuali, il cane (che gli serve per recuperare la fauna abbattuta e finita in mezzo ai canneti o nelle secche della palude), e generi di conforto (utili soprattutto durante i freddi mesi invernali, in cui il termometro scende abbondantemente sotto lo zero).Raggiunge l'appostamento, lo occupa con la barca, in maniera che nessuno gli "rubi il posto", poi, due ore prima della levata del sole, inizia l'attività preparatoria per la caccia, posa gli stampi ed i richiami vivi, effettua le prescritte annotazioni sui tesserini venatori in suo possesso, carica il fucile e rimane in attesa della fauna selvatica per abbatterla.

Ogni tanto si sposta con la barca per ricercare gli animali che sono andati a morire troppo lontani dal suo appostamento, a volte si sposta a remi perché, a causa delle escursioni delle maree, il motore fuoribordo non ha sufficiente pescaggio per poter funzionare.

Al termine della giornata di caccia, ritira tutto il materiale, stampi e richiami entro un'ora dopo l'orario stabilito dal calendario venatorio (il calendario venatorio è quel documento emanato dalla regione e che può essere integrato dalla provincia, nel quale sono riportate le specie cacciabili, i periodi in cui possono essere abbattute, il numero massimo di specie cacciabili, l'orario di inizio e di chiusura dell'attività venatoria ed altre prescrizioni che devono essere rispettate da chi esercita l'attività venatoria) ed abbandona l'appostamento.

Durante il periodo di apertura della caccia (di solito dalla terza domenica di settembre al 31 di gennaio), esclusi i giorni di martedì e venerdì (giorni di silenzio venatorio anche se ricompresi durante il periodo in cui si può cacciare), al cacciatore è consentito andare a caccia tre volte alla settimana, con l'estensione a ben cinque giorni su sette (iniziando a contare dal lunedì) per la caccia alla selvaggina migratoria nei mesi di ottobre e novembre.

La caccia praticata nelle aziende faunistico venatorie (territori di grande pregio faunistico, in possesso di privati, dove un terzo del territorio deve essere destinato a zona protetta e dove i concessionari rilasciano l'autorizzazione di caccia agli ospiti, che non hanno l'obbligo di essere iscritti all' A.T.C.) , che per l'A.T.C. 4A3 sono per la stragrande maggioranza anche valli da pesca (poche e di scarsa importanza sono quelle non ubicate nelle valli), è analoga a quella che abbiamo appena descritto. Le differenze sono le seguenti: si caccia solo il sabato, gli appostamenti sono di proprietà (l'affitto di una botte di caccia per una stagione venatoria può costare dai 30 ai 60 milioni, ma anche di più per le aziende più prestigiose)(3), e tutta la fatica per il raggiungimento degli appostamenti con i natanti, il loro allestimento, la posa degli stampi e dei richiami, il recupero della fauna selvatica, ecc.,viene fatta dal capocaccia (dipendente dell'azienda, pagato dal proprietario proprio per curare tutti gli aspetti tecnici relativi alla pratica dell'esercizio venatorio, compresa l'alimentazione degli uccelli selvatici, importante richiamo per la sosta degli stessi nei confini della valle) o da qualche suo subalterno. Il "signore", il "riccone" che usufruisce della botte e che materialmente abbatte gli uccelli ("senza sporcarsi le mani" e "senza sudare"), di solito arriva il venerdì sera nella valle ed è ospite del concessionario nel casone di valle, dove cena e dorme. All'alba, accompagnato dal capocaccia, pratica il suo "sport" preferito, ed a metà mattina lascia l'azienda con il suo ricco bottino di Anatidi abbattuti.

Grande è la diatriba tra i "facoltosi" concessionari delle aziende faunistico-venatorie ubicate nel territorio lagunare e vallivo ed i cacciatori che frequentano il territorio libero. Gli uni accusano gli altri di fare stragi di uccelli. I proprietari delle valli incolpano i rimanenti cacciatori di "rubare" loro gli uccelli (nelle valli, grazie agli apprestamenti fatti dai proprietari e dai loro capicaccia, i "registi della caccia", vi è la maggiore quantità di uccelli del Delta) facendoli uscire dalle valli con i richiami elettroacustici vietati (di cui parleremo meglio in seguito) o spaventandoli con il doloso lancio di petardi e razzi, con lo scopo di fare fuoriuscire gli uccelli dal territorio recintato della valle e farli andare nel territorio libero, dove vi sono i bracconieri che li stanno aspettando.

Dal canto loro i cacciatori non vallicoltori incolpano i "rivali" di "drogare" gli uccelli con cibo capace di renderli meno efficaci nel volo e, quindi, essere più facilmente preda dei frequentatori delle botti in valle.

Inoltre, poiché le aziende faunistico-venatorie sono completamente recintate da filo spinato, vigilate da guardie giurate ed accessibili solo dal cancello d'ingresso, rigorosamente chiuso a chiave e sorvegliato, sostengono che risulta praticamente inefficace (a ragione, per la verità) il controllo delle guardie venatorie.

Infatti, qualora queste decidessero di verificare le irregolarità di un'azienda (anche in esse, purtroppo, si fa spesso uso di richiami elettroacustici o di fucili vietati)(4), il tempo che si perde perché venga aperto loro il cancello e vengano condotti dai dipendenti del concessionario sulle postazioni occupate (secondo il regolamento provinciale che disciplina la caccia nelle aziende faunistico venatorie ubicate in territorio vallivo, infatti, durante i controlli di tiro, il proprietario della valle deve mettere a disposizione del personale di vigilanza venatoria propri natanti e dipendenti), fa si che eventuali reati finiscano per non essere scoperti (anche perché o con le radio-ricetrasmittenti o con i cellulari, verrebbe comunicato ad ogni modo il sopraggiungere del controllo agli occupanti le postazioni!)(5)

Per spezzare una lancia in favore dei vallicoltori, però, occorre dire che essi vanno a caccia una sola volta alla settimana, mentre, come detto,il resto dei cacciatori può andarvi tre volte e nei mesi di ottobre e novembre addirittura cinque su sette ed i barcaioli abusivi, di cui parleremo tra poco, non si fanno certo sfuggire questa opportunità. Maggiore, quindi, dovrebbe essere l'abbattimento di fauna selvatica effettuato da questi ultimi.

Comunque, le due categorie di contendenti in una cosa sono senz'altro accomunate: nel cacciare  sfruttando le condizioni atmosferiche inclementi e sfavorevoli per gli uccelli ma molto propizie per i cacciatori. Quando si sono le giornate invernali di vento freddo, durante le quali soffiano le forti raffiche di bora (nel Delta detta "buora"), gli Anatidi fanno fatica a volare e tendono a rifugiarsi ed a raggrupparsi nelle zone riparate dal vento. Ecco, proprio in tali occasioni, entrambe le fazioni fanno i migliori carnieri ed incuranti del freddo che taglia la pelle come un coltello, rimangono a caccia sino a quando fa buio (6) compiendo vere e proprie "stragi" (7) e superando le quote giornaliere stabilite dal calendario venatorio! I vecchi cacciatori raccontano di celebri stragi di anatre, i cui corpi insanguinati hanno colorato di rosso, per giorni, le acque delle valli.

Meno frequente di un tempo, perché tipica soprattutto dei foranei (in modo particolare dei padovani, vicentini, forlivesi e ravennati), quando nel Delta del Po Veneto era diffuso il nomadismo venatorio (prima, cioè, dell'istituzione degli ambiti) è la caccia dal capanno.

I capannisti, cioè i patiti di questo tipo di caccia, allestiscono appostamenti temporanei (di solito formati da tubi metallici telescopici e da tela mimetica) su campi di erba medica, oppure in mezzo a fossati prosciugati; intorno agli appostamenti collocano stampi delle specie che hanno intenzione di abbattere (di solito pavoncelle, allodole, cesene, tordi e, quando erano ancora cacciabili, passeri e storni) e gabbiette contenenti i richiami vivi.

Nella caccia ad alcune specie, per esempio nella caccia alle allodole, vengono usati anche altri "strani marchingegni", detti "giostre" o, localmente, "macachi", costituiti da un motore elettrico, azionato da una batteria da automobile, che fa ruotare stampi di allodole, oppure specchietti o fa alzare lo stampo della civetta. Come noto, l'allodola è curiosa e si fa trarre in inganno da tutto quell'armamentario. Ora questo tipo di caccia è praticato per lo più dagli ospiti dell'ambito o da coloro i quali, provenienti da altre Province del Veneto o da altre Regioni (dove tale tipo di pratica è più radicata), risultano iscritti all'A.T.C. 4A3 in qualità di proprietari o conduttori di fondi presenti nel Delta.

NOTE:

(1)"danni reciproci tra cacciatori"

Ho visto di persona e mi sono stati riferiti da diversi cacciatori tali tipi di ritorsioni reciproche

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(2)"forme di lucro legate alla caccia: botti e barcaioli"

A pagina 275 del libro di Antonella Tomasin “L’ipotesi di Parco del Delta del Po – Materiali di Analisi – Quaderni della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo” , alla nota nr. 58), è scritto, ibidem,: <<In un articolo apparso sul Resto del Carlino di due anni fa (il libro della Tomasin è del 1990, n.d.r.), il presidente provinciale della Federcaccia, parlando di “scandalo delle valli”, afferma che “i proprietari ospitano facoltosi cacciatori chiedendo, a quanto si dice, 70-80 milioni all’anno per ogni posto in botte. Se si considera che in una valle di botti ce ne sono da 8 a 10, i conti sono presto fatti…>>.

Alle pagine 11 e 12 del periodico “Polesine Oggi”, nr. 7, Ottobre/Novembre 1992, dal titolo “Parco del Po interregionale: si o no?”c'è un'intervista al senatore del P.C.I. (ora esponente dei D.S. ed ex senatore,  membro dell’Ente Parco), Elios Andreini, sul problema: “parco si o parco no”. A proposito dei “barcaioli” egli sostiene, ibidem,: <<…(in relazione al problema della caccia, n.d.r.)...La verità è però (ed è amaro dirlo) che ci sono da difendere gli interessi dei vallicoltori che affittano le botti a professionisti di altre province per centinaia di milioni, mentre i paesani, “danneggiati” ed esentasse, sono spesso quei barcaioli che trasportano lontani principi…>>.

A pagina 484 del periodico “L’Universo”, Geografia, cartografia studi urbani, territoriali e ambientali, nr. 4, Luglio/Agosto 2000, speciale “Il parco del delta del Po: realtà, prospettive”, di Pierfrancesco Bellinello, è scritto, ibidem,: <<…il divieto …della caccia…comprometterebbe, poi, l’economia di altre numerose famiglie: molti cacciatori, infatti, si trasformano in barcaioli ed accompagnano  alle <<botti>> i seguaci di <<Diana>, che dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia Romagna e anche dal lontano Piemonte calano in Bassopolesine…per riempire i loro carnieri>>.

A pagina 167 del libro di Antonella Tomasin “L’ipotesi di Parco del Delta del Po – Materiali di Analisi – Quaderni della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo” , è scritto, ibidem,: <<…La caccia in valle e in laguna presuppone un servizio di accompagnamento del cacciatore nel suo appostamento, che viene generalmente garantito dai cosiddetti “barcaioli”, figure tipiche della sola area deltizia. Si tratta di un centinaio di persone, residenti in gran parte a Pila e Boccasette (comune di Porto Tolle), disposti ad accompagnare i cacciatori ai loro appostamenti fissi, dietro un compenso stimato sulle 50.000-100.000 lire per ogni uscita. Considerato che possono essere trasportati anche più cacciatori per volta e che ogni cacciatore può richiedere il servizio per un massimo di 55 giornate di caccia complessive, si può quantificare la rilevanza economica potenziale di tale attività…>>. A pagina 168, sostiene, ibidem,: <<…l’esercizio venatorio…è anche e soprattutto una notevole risorsa economica, che andrebbe annoverata a pieno titolo tra le attività produttive dell’area…>>.

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(3)"costo di affitto delle botti in valle"

A pagina 275 del libro di Antonella Tomasin “L’ipotesi di Parco del Delta del Po – Materiali di Analisi – Quaderni della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo” , alla nota nr. 58), è scritto, ibidem,: <<In un articolo apparso sul Resto del Carlino di due anni fa (il libro della Tomasin è del 1990, n.d.r.), il presidente provinciale della Federcaccia, parlando di “scandalo delle valli”, afferma che “i proprietari ospitano facoltosi cacciatori chiedendo, a quanto si dice, 70-80 milioni all’anno per ogni posto in botte. Se si considera che in una valle di botti ce ne sono da 8 a 10, i conti sono presto fatti…>>.

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(4)"uso di richiami e fucili illegali nelle valli"

Da “Il Gazzettino-cronache di Rovigo” del 14.1.1994: <<Caccia e pesca. Uso di richiami fuorilegge. Stop all’attività venatoria>>. <<…la Giunta provinciale delibera di sospendere, ai sensi dell’articolo 13 del disciplinare di concessione per le aziende faunistico venatorie vallive, l’attività venatoria nella valle Cà Pasta, facente parte dell’azienda faunistico-venatoria consorziale “Valli Cà Pisani-Cà Pasta”…I fatti riportati in delibera risalgono al 6 novembre scorso allorché i Vigili provinciali, dopo un appostamento di controllo sull’argine perimetrale della valle accertavano l’utilizzo di richiami acustici a funzionamento elettromeccanico, categoricamente vietati dalla legge 157/’92. I Vigili, inoltre, nel corso dell’intervento, provvedevano anche al sequestro di quattro richiami acustici, cinque fucili e cinquanta animali abbattuti, inoltrando verbale all’autorità giudiziaria…>>.

Da “Il Gazzettino-cronache di Rovigo” del 7.2.1997, lo stesso presidente della Federcaccia, Pisetti, a denunciare l’uso di richiami e fucili vietati anche in valle: <<Caccia e pesca. Arnaldo Pisetti, riconfermato alla presidenza della Fidc, punta il dito sull’assessorato di palazzo Celio. “I funzionari sono poco disponibili”>>. <<…Poi il presidente dei federcacciatori ha scagliato i suoi strali contro chi non rispetta le regole: “Coloro che usano richiami acustici (vallicoltori o semplici cacciatori), fucili a più di tre colpi…ebbene, questi signori non sono cacciatori, ma bracconieri ai quali deve essere tolta per sempre la licenza di caccia”…>>.

Anche il Questore di Rovigo parla del problema “richiami acustici vietati" (usati anche nelle valli): da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 16.9.2000: <<Caccia. Domani apre la stagione venatoria. Richiami acustici nel Delta, scatta la tolleranza zero. Controlli severi delle forze dell'ordine>>. <<Tolleranza zero contro i richiami elettroacustici utilizzati da quei cacciatori senza scrupoli per portare a tiro di pallini la selvaggina migratoria. L'ha annunciato il questore Franco Misiano…Uno schieramento di tutori dell'ordine che, secondo quanto affermato dal questore Misiano,…avrà lo scopo di porre fine al clima di violazioni venatorie - l'uso di richiami non consentiti è solo uno dei reati di caccia e neppure il più frequente - che negli ultimi anni si era fatto davvero preoccupante…Va precisato anche che, in caso di allarme per uso di richiami proibiti in valli private, entreremo senza bisogno di autorizzazioni">>.

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(5)"uso dei CB"

Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 23.1.1993: <<La Polizia provinciale blocca cacciatori di frodo. Utilizzavano dei registratori con segnali acustici - Sequestrati anche sei fucili>>.Colpaccio della Polizia Provinciale ai danni dei cacciatori di frodo. Sei persone sono state sorprese mentre usavano dei richiami acustici a funzionamento elettromagnetico, vietati dalla legge. Da tempo gli agenti provinciali erano a conoscenza di episodi del genere, ma tutti i loro precedenti interventi erano sfumati per il sistema di avvistamento dei cacciatori che utilizzano apparecchiature Cb per avvisarsi uno con l'altro. Sono stati così letteralmente sorpresi sei cacciatori in tre postazioni, tutti con i registratori funzionanti. In base alla violazione dell'articolo 21 della legge 157 che regolamenta la caccia, e prevede un'ammenda sino a tre milioni, i sei cacciatori sono stati segnalati alla Procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale. Gli agenti provinciali hanno sequestrato sei fucili da caccia calibro 12; sei registratori con richiami acustici a funzionamento elettromagnetico; un centinaio di stampi.

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(6)"caccia con il buio"

Da "Il Gazzettino-cronache di Rovigo" del 27 Gennaio 2001: <<Sentenza. Sparavano in una zona vietata. Cacciavano di notte due condannati>>.Due cacciatori sono stati condannati perché sorpresi a sparare di notte di una zona di ripopolamento. Sono le due del 16 novembre del 1997 quando l'appuntato in servizio al centralino della caserma dei carabinieri di Adria sente due colpi di fucile. Il militare invia sul posto immediatamente una pattuglia che si trova in servizio di controllo del territorio in quella zona. E quando la Radiomobile arriva in località Amolara si trova davanti A.M., cinquantatreenne, e F.P., cinquantenne, entrambi di Rovigo ed entrambi difesi dall'avvocato Enrico Cappato. I due cacciatori sono a bordo di un'auto dentro la quale ci sono anche dei fucili da caccia.Per entrambi, è scattata la denuncia a piede libero in quanto i militari dell'Arma avevano accertato che i due uomini stavano cacciando in una zona vietata. I due erano stati anche indagati per aver sparato da un'auto ed aver detenuto delle armi da fuoco senza la necessaria custodia. La vicenda si è conclusa con la condanna, come aveva chiesto il pubblico ministero D'Angelo.

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(7)"stragi"

Ho parlato con vecchi  “servitori di valle” che mi hanno raccontato cose incredibili, che io mi sono limitato a riferire. Del resto, in diversi bar di Porto Tolle vi sono delle foto che attestano l’abbattimento di  “montagne” di anatre nelle giornate particolarmente favorevoli  per la caccia!

Antonella Tomasin, nel libro “L’ipotesi di Parco del Delta del Po – Materiali di Analisi – Quaderni della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo” , parla, a pagina 168 della grande quantità di abbattimenti che si effettuano in valle. Ibidem: <<…il problema principale delle aziende faunistico venatorie (vallive del Delta, n.d.r.) è rappresentato dal numero eccessivo di capi abbattuti, data la possibilità di eludere sistematicamente il controllo dei carniere massimo individuale… (Regione Veneto, 1985, p. 304)…>>.