50 ANNI FA MORIVA GANDHI
Guido' l'India verso l'indipendenza
senza guidare alcun esercito
Noi di PeaceLink lo vogliamo ricordare cosi'...
"Il mio obiettivo e' l'amicizia con il mondo intero, e io posso
conciliare il massimo amore con la piu' severa opposizione
all'ingiustizia. La mia opera sara' compiuta se riusciro' a
convincere l'umanita' che ogni uomo e ogni donna, per quanto
fisicamente debole, e' difensore della propria liberta'."
Gandhi moriva 50 anni fa, il 30 gennaio 1948 e noi di PeaceLink
vogliamo ricordarlo con queste sue parole.
Gandhi guido' l'India verso l'indipendenza dalla Gran Bretagna
senza guidare alcun esercito. La sua strategia fu quella della
nonviolenza. C'e' chi scrive "non-violenza", chi "non violenza"
mentre gli esperti della materia ritengono preferibile scrivere
"nonviolenza". Ma al di la' delle sfumature verbali, c'e' la
sostanza: cos'e' la nonviolenza?
UNA VOLONTA' INDOMABILE
"La nonviolenza - spiegava Gandhi - non significa docile
sottomissione alla volonta' del malvagio, ma significa
l'impiego di tutte le forze dell'anima contro la volonta' del
tiranno". Ed aggiungeva: "La forza non deriva dalla capacita'
fisica. Essa deriva da una volonta' indomabile."
Il rifiuto della violenza non e' in Gandhi un rifiuto della
lotta, una rinuncia alla ribellione; ebbe modo di dire che fra un
ribelle violento e un imbelle nonviolento avrebbe preferito il
primo: "Credo che nel caso in cui l'unica scelta possibile fosse
fra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza."
Aggiungendo subito dopo: "Tuttavia sono convinto che la
nonviolenza e' infinitamente superiore alla violenza, che il
perdono e' cosa piu' virile della punizione."
"I mezzi - precisa Gandhi - possono essere paragonati al seme e
il fine all'albero; tra i mezzi e il fine vi e' lo stesso
inviolabile rapporto che esiste tra il seme e l'albero."
DISOBBEDIRE PER VINCERE
Mette in pratica la nonviolenza in modo graduale, finalizzato non
a vincere e umiliare l'avversario ma a "con-vincere". E tuttavia
e' un metodo che puo' giungere alla sua massima intensita' quando
un intero popolo sceglie la strada della pacifica disobbedienza
civile. La campagna del 1930 per disobbedire alla legge che
imponeva agli indiani di acquistare solo il sale (di cui la Gran
Bretagna aveva il monopolio), ne e' un esempio. Infatti una delle
entrate piu' importanti per l'amministrazione coloniale degli
inglesi derivava dalla tassa sul sale ed era essenziale per
sostenere le spese militari che inghiottivano il 28% delle spese
di bilancio, quattro volte e mezza quelle destinate
all'istruzione. Gandhi invito' a disobbedire a questa legge che
proibiva di provvedersi direttamente di un elemento alla portata
di tutti: il sale. La gente incomincio' a bollire l'acqua del
mare, a trarne il sale e a non acquistare piu' il sale inglese. A
cio' si associo' il non acquisto delle stoffe inglesi (ossia il
pacifico boicottaggio). Da Londra partirono gli ordini per la
repressione. Ma Gandhi non aspettava altro.
IN PRIGIONE FRA GLI APPLAUSI
E' difficile per molti immaginare come mai la nonviolenza sia
stata cosi' efficace in India. Lo possiamo capire leggendo questa
descrizione delle azioni di disobbedienza civile del 1930: "La
prigione - scrive padre Ernesto Balducci - non era piu' un
deterrente per nessuno, era un'attrattiva. Se la polizia intimava
ai dimostranti di disperdersi, essi si buttavano a terra e si
lasciavano caricare sui furgoni, senza opporre resistenza, e
subito un'onda di volontari prendeva il loro posto, condannando
la polizia all'impotenza. Il 23 aprile, un camion, strapieno di
arrestati, viaggiva verso la prigione. Scoppio' una gomma e ilo
camion si fermo'. Gli arrestati tranquillizzarono la polizia e,
sulla loro parola, si avviarono di corsa, in schiera compatta,
verso la prigione, tra l'ovazione di due ali di folla. La
nonviolenza era diventata un gioco di massa. Uno scolaro, lungo
la spiaggia, siede su un sacco di sale e si rifiuta di alzarsi.
La polizia lo ricopre di botte fino a farlo sanguinare ma egli se
ne sta fermo, con le braccia incrociate. L'ufficiale ordina ai
suoi di fermarsi e va a stringergli la mano: "Tu sei un vero
eroe. Non ho mai visto fare la guerra cosi'." Le prigioni
rigurgitavano (secondo le stime del congresso, i volontari in
carcere salirono a 90.000), il vicere' emanava ordinanze su
ordinanze, facendo violenza su se' stesso (era notoriamente un
galantuomo), ma agli occhi di tutto il mondo, anche di gran parte
dell'opinione pubblica inglese, la vittoria era, per la prima
volta nella storia, dalla parte dei vinti."
Viene da pensare ad una frase di R.Jungk: "Quelli che vogliono
apparire forti in realta' non lo sono, mentre quelli che credono
di essere condannati all'impotenza sono piu' forti di quanto
sospettino".
VINCE CHI PERDE
La stategia della noviolenza - e' un aspetto su cui riflettere -
ha potuto rimettere in gioco quei soggetti che le strategie
rivoluzionarie classiche avevano scartato in quanto soggetti
deboli. Ad esempio i bambini, le donne, gli anziani. Ce lo spiega
il nonviolento Martin Luter King: "I bambini hanno una parte
importantissima nella nostra lotta. Cio' stabilisce una
differenza netta fra i metodi della violenza e della nonviolenza.
I primi ricorrono agli uomini nerboruti, ai pugni saldi, ai
bastoni. I secondi si affidano ad una qualita' universale di cui
fanno parte anche i ciechi, i monchi e i bambini".
Sotto gli occhi dei giornalisti accorsi da ogni parte del mondo
Gandhi ha saputo rendere esplicito e chiaro chi aveva ragione e
chi aveva torto, non lasciando alcun alibi ("la violenza dei
rivoltosi") a chi aveva torto ed era a corto di argomenti che
giustificassero la sua volonta' di dominio.
Diceva: "La nonviolenza non e' "una rinuncia ad ogni lotta
concreta contro l'ingiustizia". Al contrario, nella mia
concezione la nonviolenza e' una lotta piu' attiva contro
l'ingiustizia e piu' concreta della ritorsione (il cui effetto e'
solo quello di aumentare l'ingiustizia). Io sostengo
un'opposizione mentale, e dunque morale, all'ingiustizia. Cerco
con tutte le mie forze di ottundere l'affilatura della spada del
tiranno, ma non contrapponendo ad essa un'arma piu' affilata,
bensi' deludendo la sua aspettativa di resistenza fisica da parte
mia. La resistenza morale che io opporro' servira' a
disorientarlo. Dapprima lo frastornera', e alla fine lo
costringera' al riconoscimento dell'ingiustizia, riconoscimento
che non lo umiliera', anzi lo nobilitera'."
PER TRASFORMARE LA SOCIETA'
In Italia Gandhi fu introdotto dal filosofo e pedagogista
nonviolento Aldo Capitini (e quest'anno ricorre il trentennale
della morte). Capitini scriveva: "Ogni societa' fino ad oggi e'
stata oligarchica, cioe' governata da pochi, anche se
"rappresentanti" di molti; oggi, malgrado la diffusione di certi
metodi detti democratici, il potere (un potere enorme) e' in mano
a pochi, in ogni Paese. Bisogna arrivare invece ad una societa'
di tutti, alla "omnicrazia". Ma non ci si potra' arrivare se i
cittadini non conosceranno le varie tecniche (sono molte e
complesse) del metodo nonviolento, per poter avere una parte di
potere manovrando efficacemente il consenso e il dissenso,
cooperando e non cooperando, arrivando talvolta perfino alle
tecniche della disobbedienza civile (e cercando continuamente
altri per allearsi, affinche' tali tecniche siano piu' efficaci:
la nonviolenza porta a cercare gli altri, a collaborare). In
tutte le scuole per gli adolescenti, nei centri sociali e in
tutte le forme di educazione degli adulti, la conoscenza delle
tecniche nonviolente dovrebbe essere coltivata, appunto per
effettuare questa trasformazione della societa'".
C'e' di che riflettere per chi ha voglia di cambiare
profondamente questa societa'.
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