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La guerra del Kossovo, un anno dopoNoi, pacifisti da ergastolo
"Chiunque, in tempo di guerra, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico, o svolge comunque un'attivita' tale da recare nocumento agli interessi nazionali, e' punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Avete appena letto l'articolo 265 del Codice penale. Nella guerra contro la Repubblica Federale di Jugoslavia l'informazione pacifista ha compiuto un balzo in avanti per quantita', qualita' e rapidita'.
E' stata infatti la prima guerra combattuta anche su Internet. Il villaggio globale antiguerra ha compiuto cosi' la sua prima esercitazione pratica scrivendo in Italia una nuova pagina di esperienza nonviolenta collettiva col computer. "Dal basso", e mai come prima, le tecnologie telematiche hanno giocato un ruolo informativo di rilievo nella mobilitazione nonviolenta cosi' come fra i militari i sistemi di telecomunicazione hanno svolto il ruolo di "rete di coordinamento" del sistema bellico. Reti di pace contro reti di guerra si sono fronteggiate nel conflitto. In collegamento con le citta' di Nis e di Belgrado, noi pacifisti potevamo comunicare con gli oppositori di Milosevic e da loro sapevamo "in tempo reale" (dal vivo delle loro testimonianze) che venivano lanciate bombe a grappolo sui civili. Via Internet potevamo conoscere le distanze reali e apprendere che i quartieri residenziali bombardati erano lontani chilometri (e non metri) dalle caserme. La Nato mentiva. Diceva di voler bombardare i militari e invece terrorizzava i civili colpendo sempre piu' vicino le persone. La Nato parlava di errori involontari di alcuni metri. Ma tramite PeaceLink giungeva la voce libera di Djordje Vidanovic, oppositore di Milosevic, testimone dei bombardamenti. Ma piu' la Nato diceva bugie e - come il naso di Pinocchio - piu' si allungavano le comunicazioni Internet di Djordje Vidanovic, nostro corrispondente e vittima dall'inferno di Nis.
Ma la Nato e' tenuta a rispettare le Convenzioni di Ginevra? La dichiarazione di Max Johnson (1) risale al marzo '96. Ma e' sufficiente per comprendere che, in ultima analisi, la Nato non considera vincolanti per se stessa le norme contenute nelle Convenzioni di Ginevra. Seguendo il filo logico dell'argomentazione di Max Johnson, i piloti della Nato non potrebbero essere processati per violazioni di tali Convenzioni. E' quasi superfluo ricordare che le Convenzioni di Ginevra sono la massima espressione del diritto internazionale umanitario in guerra. Esse vietano di uccidere i civili, di distruggere le loro case, di effettuare bombardamenti indiscriminati contro ospedali, scuole, di colpire la Croce Rossa, ecc. Il Primo protocollo aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 specifica: "Le parti del conflitto dovranno sempre distinguere la popolazione civile dai combattenti e gli obiettivi civili da quelli militari e di conseguenza dirigeranno le loro operazioni solo contro gli obiettivi militari". Il protocollo citato vieta in tempo di guerra qualsiasi provvedimento che abbia come effetto quello di privare la popolazione civile dei mezzi indispensabili alla sopravvivenza e all'articolo 70 impone addirittura operazioni di soccorso alle popolazioni civili "non adeguatamente fornite" di mezzi di sussistenza. E nell'articolo 18 del Secondo protocollo aggiuntivo si impone l'obbligo di soccorrere le popolazioni civili "in gravi difficolta' a causa della mancanza dei mezzi necessari alla sopravvivenza, come cibo e forniture mediche". Il Primo protocollo aggiuntivo afferma esplicitamente che "le proprieta' civili non devono essere bersaglio di attacchi o rappresaglie, e proprieta' e installazioni che vengono comunemente utilizzate a uso civile devono essere considerate civili a meno che non sia appurato che non lo sono". Gli Stati Uniti, di fronte a tale chiarezza, si sono rifiutati di sottoscrivere questi protocolli aggiuntivi.
Sul sito di PeaceLink è stata conservata la memoria storica della guerra di un anno fa. Per l'Italia questa guerra ha inoltre significato la violazione dell'articolo 11 della sua Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Per la Nato e' venuto poi meno il rispetto del suo trattato costitutivo firmato a Washington il 14 aprile 1949, che all'art.1 recita: "Le nazioni aderenti alla Nato si impegnano, come e' stabilito nello Statuto dell'ONU, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale". Tale Trattato Nato autorizza guerre unicamente di autodifesa collettiva dei membri dell'Alleanza Atlantica e non e' stato modificato - come erroneamente si crede - neppure dal nuovo "Concetto Strategico" firmato dai capi di stato della Nato il 24 aprile 1999 in quanto la modifica dei trattati internazionali comporta la ratifica dei parlamenti e non solo la firma dei governi. Il Trattato Nato e' stato in quella sede "reinterpretato" per dare una parvenza di legittimita' alla guerra del Kossovo, ma il testo originario firmato nel 1949 e' rimasto immutato; in esso viene riconosciuta la preminenza dell'ONU sulla Nato. L'intervento Nato in Kossovo, non e' inutile ricordarlo, non ha ricevuto alcuna autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU ed e' quindi illegale dal punto di vista del diritto internazionale fondato sulla Carta delle Nazioni Unite.
L'illegalita' di questa guerra si evidenzia giuridicamente con chiarezza inequivocabile.
Attenzione pero', non stiamo cavillando sui dettagli formali per garantismo filo-Milosevic. Non si tratta di cavilli giuridici. Questa guerra, che ha ucciso quindi persone del tutto innocenti, costituisce - dal punto di vista della giustizia - un fatto inammissibile per qualunque ordinamento umano. E non ha prevenuto il peggio ma lo ha scatenato. Questa fu la ragione profonda per cui - dopo la tragedia della seconda guerra mondiale - fu bandita la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Le testimonianze raccolte sul sito di PeaceLink durante la guerra sono documenti di una barbarie moderna a cui hanno partecipato non solo militari ma anche ministri e capi di stato, gente che oggi ha morti sulla coscienza e tanti consigli umanitari da dispensare agli altri. Questo usare la tecnologia dell'informazione per "dar voce ai senza voce" richiama l'esempio del giornalista Webb Miller, inviato della United Press per dare informazioni sul movimento gandhiano. Miller, dopo aver assistito il 21 maggio 1931 al pestaggio a sangue dei nonviolenti nei pressi delle saline di Dharasana, uso' tutta la potenza tecnologica di allora per informare il mondo. Il giorno dopo oltre mille giornali nel mondo pubblicavano la notizia e il gesto violento si ripercuoteva su chi l'aveva compiuto come una sonora sconfitta inflitta sul piano dell'opinione pubblica mondiale. Che possibilita' di vittoria potrebbe avere la nonviolenza senza un forte sistema di diffusione dell'informazione? Nella memoria collettiva un fatto non esiste se non e' conosciuto. La telematica diventa quindi una strategia e un mezzo per far giungere al mondo il grido della nonviolenza. Buona parte di quanto ricevevamo dalla Jugoslavia via Internet non sarebbe divenuto comunicazione, e quindi vita, e quindi azione, senza Sabrina Fusari, una ragazza che ha saputo mettere la sua conoscenza delle lingue al servizio della piu' alta causa che la vita ci possa dare l'occasione di perseguire. Come si puo' globalizzare la pace e la difesa dei diritti umani senza conoscere l'inglese? L'accoppiata inglese-Internet e' la nuova rivoluzione pacifica e nonviolenta che occorrerebbe far esplodere nel mondo, parlo soprattutto del mondo delle informazioni e della menzogna che le manipola o le filtra. Abbiamo a portata di mano una "bomba" nonviolenta di cui tutti possiamo diventare gli artefici e gli... artificieri. Spetta a noi oggi sperimentare come l'inglese, la telematica, la cultura della pace e dei diritti umani possano realizzare il sogno (o la saggezza?) cosi' espressa dall'antico filosofo cinese Meng-Tzu:
"Quanti non godono nell'uccidere gli uominiAlessandro Marescottipresidente di PeaceLink a.marescotti@peacelink.it http://www.peacelink.it (1) La dichiarazione di Max Johnson e' riportata a pagina 235 di "Crimini di guerra", edito da Internazionale, un libro che si avvale della consulenza legale del generale britannico A.P.V.Rogers e che e' recentemente uscito in Italia con il sostegno dell'associazione "Amani" (e-mail: amani@iol.it). (2) Le Monde Diplomatique, marzo 2000.
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