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Non e' facile parlare di Genova

La parola scritta dovrebbe essere il regno della razionalita', dei pensieri meditati, masticati, criticati e verificati prima ancora di farli arrivare sul foglio, delle analisi fatte a mente fredda, dell'onesta', della lucidita', della calma. Raccontando Genova il condizionale e' d'obbligo, perche' l'esperienza diretta vissuta per le strade e' stata talmente intensa da rendere praticamente impossibile una riflessione serena e distaccata per chi ha ancora negli occhi e nella mente l'impotenza, la rabbia, la violenza e la paura che hanno segnato per sempre chi si e' avventurato per le strade durante gli scontri.

E' per questo che non e' facile parlare di Genova senza trasformarsi improvvisamente in un giustizialista accanito o in un integralista del garantismo, sposando una delle due tesi su cui si sono polarizzati i mezzi d'informazione e la maggior parte dell'opinione pubblica, che come ai tempi di Coppi e Bartali e' chiamata a scegliere tra una fazione in cui le forze dell'ordine sono dipinte come un branco violento di fascisti e un opposto schieramento in cui i manifestanti sono descritti come dei veterocomunisti che invece di cambiare il mondo tirando sassi farebbero meglio a zappare la terra.

Guardando due ragazzi che impugnano un estintore e una pistola e' difficile rimanere calmi e impassibili senza che la nostra mente decida di condannare a morte o all'ergastolo uno dei due. Chi ha subito la violenza dei lacrimogeni, dei manganelli e delle cariche indiscriminate fara' molta fatica per continuare a distinguere tra la polizia e i singoli poliziotti, tra le istituzioni in quanto tali e le responsabilita' personali di ciascuno degli agenti. Chi ha visto i gruppi di devastatori che in nome della lotta ai simboli del capitalismo hanno messo a repentaglio la sicurezza di centinaia di migliaia di persone sara' difficilmente indulgente con i leader di un "movimento" che non ha saputo abbracciare la nonviolenza con sufficiente coraggio e fermezza, abbandonandosi a "dichiarazioni di guerra" e a "rappresentazioni mediatiche" della violenza, scegliendo di alzare la tensione in piazza per ottenere un'ottima visibilita' sui mezzi di informazione. E' per questo che raccontare Genova invocando i miti giornalistici dell'obiettivita' e della separazione dei fatti dalle opinioni e' un'impresa maledettamente difficile per chi ha vissuto certi fatti e ha maturato certe opinioni.

Tuttavia, proprio perche' la capacita' di analisi critica e' ormai diventata un bene scarsissimo, e' necessario aggrapparsi ad essa con tutte le energie che abbiamo a disposizione, per evitare che tre giorni di violenza si trasformino semplicemente nelle prove tecniche di una guerra civile che e' gia' scoppiata sui banchi del parlamento e sta continuando sulle pagine dei nostri mezzi di informazione, dove i "black bloc" della carta stampata hanno gia' dato il via, sia a destra che a sinistra, ad un fittissimo lancio di editoriali avvelenati, che cavalcano l'ondata di malcontento dei manifestanti e l'insofferenza delle forze dell'ordine per raccogliere un facile consenso. Le ferite fanno ancora troppo male, e non e' facile parlare di Genova, ma e' tremendamente necessario continuare a cercare la verita' camminando in bilico tra due estremismi, affermando con fermezza che le forze dell'ordine continuano a rappresentare una garanzia di sicurezza e tutela per i cittadini, che i movimenti di critica alla globalizzazione e i loro attivisti sono ancora una grandissima risorsa sociale e culturale a disposizione di tutti, che il mondo della politica e' ancora l'ambito privilegiato in cui costruire la societa' di domani.

E' proprio il rispetto verso i tutori della legge che deve spingere le istituzioni, gli operatori dell'informazione e i singoli cittadini a denunciare con fermezza tutte quelle circostanze in cui le forze dell'ordine hanno abbandonato il loro ruolo di rappresentanti dello stato, cedendo alla tentazione della legge di strada e scegliendo di agire in base alla legge del piu' forte imposta dai gruppi violenti, anziche' rispettare e far rispettare le leggi della Repubblica, anche grazie alla superiorita' numerica e alla forza dei mezzi militari a disposizione. E' proprio per salvare e valorizzare la bellezza e la ricchezza culturale di tantissimi movimenti e associazioni presenti nelle strade di Genova che bisogna essere pronti a schierarsi anche contro il "movimento", quando sbaglia bersaglio scegliendo di invadere la zona rossa invece di entrare nella coscienza della gente, quando le violenze verbali utilizzate per impressionare i mezzi di informazione ne evocano altre molto piu' concrete, quando e' la "piazza" a trascinare i suoi leader e a dettarne gli umori anziche' il contrario, quando ci si limita a rincorrere l'agenda dei potenti della terra per una negazione e una contrapposizione che rinunciano alla propositivita' di un'alternativa "per" che vada oltre la contestazione "contro", quando questa negazione si trasforma in nichilismo e in distruttivita' contro i simboli del "nemico".

E' proprio per l'altissimo valore dell'impegno politico che va esercitato il diritto alla critica di quelle forze politiche che cavalcano la contestazione e strumentalizzano la piazza invece di provare a interpretarla con umilta', trasformando un insieme di persone variegato ed eterogeneo in un gruppo di delinquenti o in un gruppo di martiri a seconda dei propri interessi particolari e della propria convenienza, e utilizzando strumentalmente i manifestanti come un potente ariete politico con cui sfondare il fronte opposto. In questo particolare contesto storico, con questo clima politico e con un altissimo livello di tensione nella societa' civile, mantenere un'equidistanza che non degeneri nel qualunquismo e nell'indifferenza e' un'impresa non indifferente, soprattutto quando si cerca di produrre informazione senza blandire o esacerbare la rabbia di chi ne usufruisce. Come se tutto questo non bastasse, a qualcuno e' venuta in mente l'idea geniale di mettere qualche bomba qua e la', creando ulteriori spunti di tensione e un livello di confusione tale da permettere a ciascuno di vedere dietro quelle bombe il "nemico" della sponda politica opposta.

Per questo e per molti altri motivi non e' affatto facile raccontare Genova, ma cio' nonostante dobbiamo provarci, con la consapevolezza che non possiamo piu' delegare la nostra conoscenza dei fatti al quotidiano "di fiducia" o al giornalista di riferimento, e che dobbiamo cercare in prima persona delle buone domande che ci aiutino a capire una situazione molto complessa senza sovrastrutture ideologiche, verita' preconfezionate o teoremi costruiti su misura di cio' che si vuol pensare.

Camminare da solo per le strade di Genova cercando disperatamente di evitare la guerriglia urbana con uno slalom tra posti di blocco, nuvole di lacrimogeni e macchine bruciate per me e' stata indubbiamente un'esperienza su cui riflettere. Per la prima volta in vita mia mi sono sentito braccato, totalmente insicuro, e molte certezze maturate fino a quel momento si sono sciolte come neve al sole. Sono riuscito per puro caso, e grazie ad una buona dose di sana vigliaccheria autoconservativa, ad evitare le "zone calde" degli scontri. Pur avendo limitato i danni fisici ad una brevissima esposizione ai lacrimogeni, il mio senso critico e la mia capacita' di valutazione serena sono stati messi a dura prova dai pestaggi subiti dai manifestanti (che hanno colpito anche persone a me vicine) dalle decine di racconti delle persone coinvolte loro malgrado negli scontri di piazza, dalle immagini agghiaccianti trasmesse dalla televisione e sull'internet. Per me, e per moltissimi altri che hanno vissuto esperienze simili alla mia, non e' facile parlare di Genova. Ma e' proprio per questo che dobbiamo provarci.

Carlo Gubitosa
Segretario associazione PeaceLink