Torna alla homepage Raccolta testimonianze sulle violenze compiute a Genova dalla Polizia e dai gruppi violenti di estremisti.
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Chi, come me, nei giorni del G8 di Genova bighellonava nella zona gialla,
partecipando quasi furtivamente ai dibattiti del movimento del 'Genova
Social Forum', alle riunioni dei gruppi di affinità per una difesa popolare
nonviolenta, alle manifestazioni, e a sit-in, gesti simbolici, concerti,
rappresentazioni teatrali, corteo dei migranti, corteo antiglobalizzazione
finale, ha potuto chiarirsi le idee più che sui contenuti e le motivazioni
alla base del movimento, dalle molteplici anime, sui loro non-contenuti.
Tra questi i più rumorosi di tutti sono stati senz'altro i poliziotti e i
mass-media. Attraverso loro racconterò Genova in lotta per un mondo migliore.
I poliziotti, erano i cattivi della situazione perché si sono messi a
picchiare chiunque, anche i pacifisti, anche coloro che urlavano
'nonviolenza nonviolenza' con le mani alzate. Ma non tutti, ci sono stati
momenti in cui hanno indietreggiato e ci hanno ringraziato per avere dato
loro la possibilità di togliere le maschere antigas e poggiare i pesanti
scudi.
I poliziotti sono degli uomini, stanchi, frastornati e un po' perplessi,
annoiati e impauriti, da una situazione che non riescono a comprendere, non
avendo le misure del rischio reale. Li immagino - come li ho visti -
davanti alle frontiere della zona rossa andare al bar per un caffè o per
una birra e lì incontrare manipoli di manifestanti, guardarli ridere,
scherzare, abbracciarsi tra di loro, arrivare in massa con i pullman, a
piedi dalle stazioni. A guardarli scoppia loro dentro, soffocata nella
corazza, un sacco di nostalgia, di tenerezza, pensano alla loro estate,
alle ragazze che si incontrano quando si va in gita tutti insieme (perché a
questo assomigliano i manifestanti) e muoiono dal desiderio di togliersi
quella casacca pesante, quei caschi duri sopra le orecchie. Non vedono
l'ora di andare al mare con solo lo slip addosso e le loro bellissime radio
dentro la macchina. Accanto a queste sensazioni, più o meno esplicite,
provano paura, alcuni anche tanta, ma accantonata, un po' dal pensiero che
è meglio non pensarci, un po' perché fino all'arrivo dei black dogs o blocs
che siano- ovvero i nazi di varia nazionalità, soprattutto tedesca ed
italiana, cui era stata data voce da informatori della polizia che avevano
il via libera per spaccare tutto, rompere tutto, usare tutta la violenza
che volevano, anche contro la polizia, ed era stato indicato dove trovare
spranghe e sassi pronti dentro cassonetti collocati lì ad uopo, camion
lasciati passare mentre si sequestrava la chitarra di un manifestante,
l'obiettivo di un fotografo - il paesaggio umano, di chi a Genova
intendeva manifestare contro la globalizzazione e per una distribuzione più
equa delle risorse, era più o meno questo: giovani e meno giovani che
discutevano tra loro su cose tipo se fosse giusto timbrare il biglietto
nell'autobus oppure no, manifestare bloccando il passaggio delle auto -
tutte tranne le autombulanze - oppure no, se colloquiare coi gruppi dei
centri sociali (o al contrario con quelli pacifisti) o fare ognuno la
propria manifestazione, se tenere le mani alzate per mostrare l'assenza di
armi o abbassate per non dover sembrare troppo aggressivi, se fuggire di
fronte alle botte o lasciarsi trascinare via, se rappresentare la propria
piece antiglobalizzazione sul palco o in piazza, se far pagare i panini due
o quattro mila lire (così si rientrava anche nelle spese dei concerti) o
anche - al massimo - se usare uno scudo piuttosto che un altro, guanti,
coltellini, bastoni per difendersi, eventuali oggetti conduntenti trovati
per terra come un idrante (già un idrante.) ..
A questo tipo di scene e discussioni i poveri poliziotti, per niente
incuriositi né minimamente interessati a tutte queste inutilità, potevano
assistere mentre srollando le spalle si dicevano 'ma questi vengono in così
tanti a prendere botte.!!' e dentro morivanoi dalla voglia di baciare la
propria fidanzata in riva al mare..
I mass-media. Chi sono gli uomini e le donne dei mass-media? Bisogna fare
un bel po' di distinzioni, tra diversi livelli di volontà, di interesse e
motivazione, di potere, di ruolo e di professionalità.
La volontà dominante era sicuramente quella di fare notizia attraverso
immagini e racconti di violenza, quindi di trovarsi soprattutto nei luoghi
in cui si prevedevano scontri tra poliziotti e manifestanti. Qualcuno ha
potuto (per volontà o perché si trovava lì per caso) riprendere e
fotografare gruppetti di donne e uomini discutere ininterrottamente e
democraticamente (dando, secondo il metodo del consenso, ad ogni
interlocutore un potere di decisionalità pari) tra loro sulle migliori
modalità di attuare la Difesa Popolare Nonviolenta. Altri hanno potuto
fotografare delle mutande di fronte a Palazzo Ducale, appese
dall'europarlamentare Luisa Morgantini, come sberleffo alle attenzioni
estetiche di Berlusconi. Ci sono foto di sit-in nonviolenti di fronte ad
alcuni accessi alla zona rossa, fiori attaccati ai cancelli, un eccentrico
vestito da super-eroe televisivo che scavalcando le grate della zona rossa
ringrazia i grandi del G8 per l'occasione datagli, Franca Rame e Don Sala
che girano incatenati a due carcerati, alcuni pinocchi con la faccia degli
8 grandi, donne coi cappelli da strega che mescolano infusi magici e
cantano 'siamo siamo come le maree, cambieremo il mondo con le nostre idee'.

Ma che effetto mediatico possono mai avere scene così banali quando basta
cambiare canale per emozionarsi molto di più?. La motivazione personale di
qualcuno ha forse permesso che tali immagini esistessero, ma l' interesse
all'auditel e al guadagno, ed a una promettente carriera, ha impedito che
esse fossero diffuse.
Il potere non è un argomento facile. Quello di chi decide quale notizia
mettere in prima pagina, cosa tagliare e cosa no. Quello di chi fa
comunicati ufficiali alla nazione direttamente e viene replicato per tutto
il giorno da tutte le televisioni nazionali e quello di chi a stento
riuscirà a far pubblicare il proprio articolo sulla pagina meno letta di un
giornaletto di provincia o sulla mailing-list in cui tanto nessuno lo/la
legge. Il potere della verità che riesce a passare e di quella che fa
troppa fatica e diventa insoddisfazione, rabbia, voglia di urlare, di
rompere questi vetri scivolosi e duri cui si arrampicano le falsità di chi
vuole soltanto mantenere i propri privilegi. Una rabbia diversa, molto più
piena e intensa, rispetto a quella dei 'black blocs' gentilmente invitati a
fare tutto il casino che volevano.
C'è poi il potere, non so bene di chi, per cui è possibile dimostrare non
solo il falso ma proprio l'assurdo: la scuola media Diaz; sede del GSF e
dell'ufficio stampa, divenuto dormitorio di chi non se la sentiva, sotto la
pioggia, di dormire allo stadio, si è così trasformata nel covo dei
violenti. E per dimostrarlo la televisione ha mostrato una agenda dei
lavori di un gruppo anarchico (fuoco sulla stella nera) che invitava i
compagni a recarsi al circolo Pinelli, dove si sarebbero svolte le loro
riunioni (quindi non lì). La televisione non ha mostrato altri cartelloni
perché tutta la scuola Diaz era tappezzata esclusivamente da ordini del
giorno e comunicazioni dei gruppi che invece si riunivano lì:
ambientalisti, pacifisti, giornalisti, sindacalisti, ecc. A questa scuola,
contro questa gente, si è scatenata la rabbia dei poliziotti, arrabbiati
per dovere giocare alla guerra invece che a calcio in riva al mare. Ma
incitati da chi li comandava.Arrabbiato per cosa? Chi si sente attaccato da
un luogo in cui la gente si riunisce per organizzare manifestazioni
pacifiche, per esprimere ed elaborare liberamente le proprie idee, per
riorganizzare e diffondere le foto fatte, i fatti visti? Quale potere ha
paura del potere di chi prova a raccontare/si, esprimere/si liberamente ciò
che, a suo parere, è? A questa domanda varrebbe la pena rispondere
seriamente e con grande professionalità analitica e storica.
Sul ruolo è scontato quello che si può dire: ognuno il proprio ai diversi
livelli della scala, ma già dal gradino più basso, il fotografo, pochi sono
quelli a cui viene la fantasia di uscire dal proprio tassello, di fare cose
che non interessano a nessuno.
La professionalità, in queste occasioni potrebbe essere una buona via di
uscita. Ad esempio quella di uomini come Indro Montanelli, per casualità
morto proprio durante i giorni del G8 di Genova. Un opinionista che sapeva
usare la tenerezza nello sguardo verso il mondo accanto a un giudizio
forte, severo, ma anche passibile di cambiare, se questo gli dettava il suo
atteggiamento di pensiero e di ricerca libero.
Ma sono sicura che tra i giornalisti, come tra i politici, gli opinionisti,
gli scrittori, gli storici o chi altri si troverà a raccontare i fatti di
Genova ci saranno donne e uomini in grado di guardare alle cose con la
trasparenza e la libertà di pensiero e di ricerca necessarie per svolgere
bene il proprio mestiere. Per essere un tassello di quel mondo migliore,
rispettoso dei molteplici mondi migliori possibili, per i quali la
maggioranza di chi ha manifestato a Genova ha voluto fare questo viaggio.
G P
Maratea, 23 luglio 2001-

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