Torna alla homepage Raccolta testimonianze sulle violenze compiute a Genova dalla Polizia e dai gruppi violenti di estremisti.
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A settant’anni, inseguita da quegli orribili grilli neri....

Avevo deciso di andare a Genova da sola, nonostante i miei settant’anni,
nonostante i consigli di tutti: avevo perfino litigato con la mia migliore
amica, che non capiva la mia decisione.

Così mi sono unita ad uno dei 4 autobus partiti da Biella: non ho mai fatto
parte di nessuna organizzazione o partito, non conoscevo nessuno, ma sono
subito stata ‘adottata’ come la nonna del gruppo. L’atmosfera era quella di
una gita al mare: tutti eravamo informati dei tragici eventi del giorno
prima ma confidavamo che non si sarebbero potuti ripetere, che la forza del
nostro corteo pacifico avrebbe sovrastato tutto.

E infatti quando, arrivati a piazza Sturla, ci uniamo al corteo, non si può
immaginare una situazione più pacifica ed allegra: la chiesetta di
Boccadesse, decorata con disegni e colori vivaci, con scritte contro la
fame nel mondo, ci accoglie suonando le campane a festa; passa accanto a
noi un folto gruppo di greci, con bandiere e striscioni, che vengono
salutati con un applauso; in un furgoncino un gruppo di giovani
distribuisce cartelli contro la globalizzazione (i supporti sono fragili
strisce di legno, tipo quelle delle cassette della frutta, e non spranghe
come ho poi sentito dire); dal muro di recinzione di una casa pendono due
tubi di gomma che buttano acqua: tutti mandiamo di cuore una benedizione ai
proprietari, si riempiono le borracce già vuote, ci si rinfresca.
Il nostro principale problema fino ad ora è dove buttare i rifiuti, visto
che non ci sono cestini: tutti ci guardiamo attorno con le nostre bottiglie
vuote in mano, non sappiamo che farne.

A poco a poco, in via Italia, i primi segnali inquietanti: un gruppo di
giovani con aspetto ed atteggiamenti poco rassicuranti, uno parla dentro un
megafono in tedesco, sembra dare ordini, poi il gruppo parte di gran
carriera; sopra le nostre teste, il volteggiare incessante e minaccioso
degli elicotteri; si avanza lentissimi, il corteo si ferma continuamente,
sotto il sole cocente; siamo in vista di una grande piazza, si vede più
avanti del fumo (abbiamo saputo poi che erano le tute nere che
distruggevano auto ed altro).

Ad un tratto riprendiamo a muoverci, ci dicono di camminare svelti, un
cordone di persone che si tengono per mano ci indirizza verso una via sulla
destra, per evitare il contatto con i gruppi violenti.
Gli elicotteri volano sempre più bassi e non possono non vedere quello che
sta accadendo, ossia che quella che sta svoltando è una folla inerme e
pacifica, che nonostante la tensione non fa altro che cantare e urlare
qualche slogan (la violenza maggiore a cui ho assistito da parte del corteo).

Avanziamo tranquilli, convinti di evitare i disordini. Poi all’improvviso,
da una strada laterale alla nostra sinistra, vedo sbucare i celerini:
sembrano enormi grilli neri, quelli che fanno baccano nelle notti d’estate,
ed io mi domando perché si stiano allontanando dalla piazza, dove
servirebbe la loro presenza per contrastare i tafferugli; sono in assetto
di guerra, corrono.... ma dove vanno?

Di colpo capisco: stanno venendo verso di noi, preceduti da lacrimogeni
urticanti che ci tolgono il fiato.
E allora in un attimo capisco la voce angosciata di mia figlia che da
Genova, il venerdì sera, mi scongiurava di non partire: '‘ho visto cose
incredibili, è una trappola, non venire”. Credevo che esagerasse, non
sapevo ancora che si trovava in ospedale con una mano rotta dalle
manganellate, prese in piazza Manin, la piazza dei pacifisti.

Finalmente capisco, ma intanto intorno a me è il finimondo: il gas ci
soffoca ma non sappiamo dove scappare, non si può tornare indietro perché
il resto del corteo incalza, attaccato in più punti dalla polizia;
candelotti sembrano piovere anche dall’alto, dunque gli elicotteri aiutano
l’annientamento dell’inerme e placido corteo.

Ci schiacciamo contro un muro a mani alzate, ma poi dobbiamo abbassarle per
proteggerci il viso con fazzoletti, magliette, cappellini.... intanto ci
ammassiamo gli uni sugli altri, in un enorme blocco di gente terrorizzata.
Alcuni coraggiosi formano un’altra catena, ci spingono avanti verso i
lacrimogeni, urlandoci di correre il più possibile. Ma correre è una
parola: con tutto il carico dei miei anni, con la mia asma, senza vedere
più nulla, mi si rompe perfino una scarpa e mi schiacciano un piede, un
dito mi fa molto male, forse è rotto.... mi manca il fiato, credo di morire
ma mi rendo conto che se mi fermassi o cadessi verrei calpestata, travolta.
Dunque corro, in salita, accecata dalle lacrime e dal sudore, tenendomi il
cappellino sul naso, trascinando il piede ammaccato... non so come, ma
riesco a salire con gli altri su una ripida scala che ci porta, finalmente,
in una via tranquilla.

Guardando sotto, continuiamo a vedere quelli che mi sembrano ‘squadroni
della morte’ che lanciano lacrimogeni, caricano i manifestanti, li
inseguono. li picchiano selvaggiamente.

Oggi sento i politici dire che la polizia ‘ha difeso i cittadini’. Quali?

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