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Ho deciso di andare a Genova qualche settimana fa. Avevo voglia di
partecipare ad una grande manifestazione di piazza dove tante persone da
tutto il mondo si sarebbero ritrovate per esprimere idee politiche e non
solo, per dire 'non sono daccordo' rispetto alle decisioni che pochi
potenti prendono nei confronti del mondo intero e al modo in cui lo fanno.
Mi piaceva soprattutto l'idea di esserci realmente, di vedere le persone e
i loro visi. Ho deciso di andare insieme ad altri amici, aderendo all'Arci
di Firenze che organizzava alcuni pullman: ho pensato che andare con un
grande gruppo (l'Arci da sola ha portato circa 500 persone) sarebbe stato
meglio, visto che si prevedeva una situazione a rischio per la sicurezza.
Tutto era pronto: biglietti acquistati, orari stabiliti, appuntamenti fissati.
Venerdì nel tardo pomeriggio ho appreso che un ragazzo durante degli
scontri era rimasto ucciso, ho seguito dai tg immagini di violenze
terribili, scene di devastazione incontrollata che poco avevano a che fare
con ciò che mi aspettavo di vivere il giorno seguente a Genova. E ho avuto
paura. Avevo deciso di rinunciare, spinta anche dalla preoccupazione di
alcuni amici e dalle incertezze sulla partenza dei pullman.
Ma poi al mattino seguente i 9 pullman dell'Arci nel luogo
dell'appuntamento c'erano, e con loro le quasi 500 persone fra cui me:
nessuna esitazione, allora, la manifestazione si farà, tutti a Genova, si
parte. Il clima non è sereno, durante il viaggio si leggono i quotidiani
con le cronache, si parla dei fatti avvenuti il giorno prima, ci si
organizza per stare tutti insieme durante il corteo non senza una certa
apprensione.
Scendo a Genova Nervi insieme agli altri munita solo del mio zainetto coi
viveri, telefonino, occhiali da sole, una bandana in testa e una buona dose
di tensione che mi porterò addosso per tutta la giornata. Ci uniamo ad una
parte del corteo che, sempre più numeroso, deve percorrere gli almeno 5 o 6
Km che separano Genova Nervi dal luogo di partenza vero e proprio della
manifestazione; ad essere sincera non so nemmeno dove sia il vero punto di
partenza, quasi nessuno di noi ha delle cartine della città. Da subito
siamo già moltissimi tanto che fatichiamo a rimanere tutti insieme: con gli
amici più stretti prendiamo come riferimento lo striscione degli studenti
di sinistra, venuti con noi da Firenze. E' fondamentale non perdersi,
soprattutto perchè le comunicazioni coi cellulari potrebbero essere
impraticabili, cosa che poi accade.
Puntini in mezzo alla fiumana di gente con bandiere e striscioni, avanziamo
tranquilli per un buon tratto finchè non vediamo scritte minatorie sui muri
dirette alla polizia, e vetrine spaccate di una banca: le voci corrono e si
dice che poco prima ci sia stata un'incursione dei black block, prima
minaccia per noi ingenui e pacifici manifestanti.
Cerco di contenere l'ansia, e le secchiate d'acqua che alcuni genovesi ci
tirano allegramente dalla finestra placano un pò le preoccupazioni oltre
che l'arsura delle una. Il clima è più tranquillo ma non ci distraiamo
troppo anche perchè il suono cupo degli elicotteri delle 'forze
dell'ordine' (e mi viene da ridere a dirlo col senno di poi)
che vanno e vengono è un'inquietante costante che ci fa stare all'erta.
La marcia prosegue su un ampio viale che costeggia il mare: sembrerebbe
quasi di essere in vacanza se non fosse per i soliti elicotteri e per le
cortine di fumo che vediamo alzarsi in lontananza, in direzione centro di
Genova, esattamente dove ci stiamo dirigendo: come si dice, guai
all'orizzonte. In gruppo però il morale migliora e si cerca di non pensare
troppo a cosa ci immaginiamo stia succedendo laggiù, complici i filmati che
molti di noi hanno visto in tv il giorno prima. Il corteo ora va avanti più
lentamente e a singhiozzo, si avverte che più avanti ci sono difficoltà,
forse degli scontri. Sono già più di due ore che marciamo senza sederci e
la la stanchezza, col sole che batte dritto sulla testa, si fa sentire: la
fame invece non la sento, strano, sono quasi le tre, sarà che ho lo stomaco
chiuso. Poi all'improvviso piomba il panico: il brusio e i cori della folla
sono rotti da grida che provengono dal davanti e il corteo antistante fa
marcia indietro bruscamente con un vero e proprio effetto a valanga che ci
travolge costringendoci ad un fuggi fuggi all'impazzata. Per fortuna è solo
un attimo, qualcuno grida 'calmi! tutti fermi! non muovetevi, calma!!', e
funziona da tranquillante perchè presto il gruppo si ricostituisce e la
situazione si stabilizza. Capiamo subito che la testa del nostro corteo ha
appena subito una carica della polizia, scudi e manganelli a bloccare,
respingere, impaurire. Ma perchè dovrebbero caricare il corteo? sono i
soliti block che si materializzano all'improvviso davanti alla folla in
marcia e provocano con la loro violenza le 'forze dell'ordine' devastando
tutto quello che gli capita sotto tiro e prendendo a bersaglio i poliziotti
con sassaiole. Di noi non gliene potrebbe fregare di meno, anzi ci usano,
tanto che per sfuggire alle cariche di risposta della polizia si rifugiano
sparpagliandosi veloci esattamente dentro al corteo: te li vedi passare
accanto con le spranghe ancora in mano, chi si è tirato su il passamontagna
e ha gli occhi rossi per il fumo acre dei lacrimogeni, chi biascica parole
che non capisci (sono stranieri o parlano in codice fra loro?); hanno il
passo deciso di chi si muove in branco e ancora addosso l'elettricità della
violenza appena sfogata e l'eccitazione per quella cui sono scampati
attirando le cariche dei celerini su di noi, sul corteo, su migliaia e
migliaia di persone pacifiche che camminano 'armati' solo di bottiglie
d'acqua per il caldo e della voglia di manifestare contro 'sto cacchio di
G8: loro maledette, vigliacche decine e noi impotenti, impaurite migliaia.
Questo è il loro gioco, miciadiale, perfetto: come agire da criminali
teppisti godendosi poi pure lo spettacolo delle conseguenze su noi poveri
coglioni. Ma no, proprio non gliene può fregare di meno di noi, ripeto.
Forse perchè siamo talmente paralizzati, fra i lacrimogeni che bruciano
nella gola, la paura di nuove cariche con effetti 'a valanga' e il timore
di disperderci che anche solo l'idea di respingerli o affrontarli è
impensabile, e loro lo sanno bene. E poi non puoi esser sicuro che non gli
salti in testa di sprangare anche te solo perchè l'hai minacciato o spinto
via: questa è la cosa peggiore: siamo in balia del caso, di un caso
violento, o almeno è la mia impressione. Non c'è molta differenza, la paura
è paura. E lì in mezzo, in trappola fra tutta quella gente, le cose si
ingrandiscono, si fa presto a dire panico.
La marcia continua ma ora niente è più come prima, il cammino è esitante e
in altre due occasioni c'è il fuggi fuggi a effetto valanga di prima, altre
cariche, solo che stavolta siamo più pronti e cerchiamo di fare muro, di
non indietreggiare, di mantenerci saldi cordonandoci, tenendoci tutti per
mano in cerchio a chiudere il nostro gruppo. Per trovarci gridiamo a più
riprese 'Arci Firenze!! mani su!! cordone!!', ed è utile davvero, per me lo
è, mi rassicura constatare che nonostante la calca che ci disperde siamo
tutti in zona; e poi gridare mi fa mantenere la lucidità, devo tenermi
occupata, vedo volti impauriti, c'è gente con gli occhi gonfi per i
fumogeni e altri che cercano inquieti i compagni, alcuni che si attrezzano
con degli occhialetti tipo da saldatore e si mettono fazzoletti a coprire
la bocca, altri con mezzi limoni in mano che se li spalmano sotto gli occhi
(dice plachi l'effetto dei fumogeni, non lo sapevo): una ragazza accanto a
me comincia a piangere per la tensione. Non sono cose belle da vedere, non
era questo che volevamo da Genova, non ce lo aspettavamo, non io. In quei
momenti penso: 'chi diavolo me l'ha fatto fare?!', e vorrei essere a
chilometri, altrove, tranquilla, non imprigionata in questa trappola fatta
di ragazzi come me, persone più anziane, uomini e donne, c'è persino
qualcuno in carrozzella. Vorrei essere altrove mentre continua a dominare
il solito caso: la sensazione, tremenda, è che potremmo rimanere qui per
chissà quanto, nessuna via di fuga, nessuna possibiltà di essere accorsi se
qualcuno si sente male. Forse sono io che esagero, forse è l'inesperienza,
ma oggi qui sta succedendo qualcosa di strano, è nell'aria. Lontane corrono
due, tre ambulanze, si fanno largo fra la folla, vanno e vengono dalla zona
antistante dei tafferugli, suppongo, una è un semplice furgone bianco con
una croce rossa dipinta alla meno peggio sulla fiancata, un mezzo
improvvisato di emergenza, mi passa abbbastanza vicino perchè veda il vetro
di dietro spaccato e dentro una donna con mascherina e camice bianco che
guarda fuori allarmata. E a noi è andata bene, non abbiamo vissuto nè visto
il peggio. I racconti che ci arrivano più tardi coincidono con quelli
riportati il giorno dopo da alcuni giornali e radio, mentre solo poche
immagini di questo tipo passano in tv e spesso non commentate a dovere. E
sono racconti e immagini terribili. Fra i manifestanti che stanno a capo
del nostro troncone di corteo, e in ogni punto in cui i block lo hanno
interrotto, molti sono stati picchiati brutalmente dai celerini,
manganellate a pioggia, senza ragione, senza motivo alcuno,a gente che si
bloccava impaurita alzando le mani vuote, basita da questa furia cieca che
gli piomba addosso da una forza che si chiama 'dell'ordine', appunto. Qui
invece ogni ordine sembra esattamente invertito: chi sei abituato a pensare
sia il tutore della tua sicurezza diventa il nemico numero uno, quello da
fuggire come la peste. E non solo picchiano (donne, ragazzini,..) ma pure
minacciano a parole, irridono; è la loro occasione per sfogarsi della
tensione accumulata in questi giorni: la colpa è nostra, siamo noi i rompi
coglioni venuti in 200 mila a manifestare, a creare le premesse per questo
dispiegamento mastodontico di polizia e carabinieri, siamo noi i
provocatori, altro che black block, anzi li proteggiamo questi. 'Forze del
disordine', ecco cosa. Di aver paura di fronte a dei teppisti criminali
vestiti di nero venuti qui SOLO per mettere a ferro e fuoco la città e
menare la polizia me lo aspetto; di averne anche di fronte a un pubblico
ufficiale in divisa da perfetto protettore che invece di scacciare loro si
accanisce su di me inerme e mi sfotte pure mentre sto in ginocchio con le
mani alzate incapace di ogni minima reazione me lo aspetto un pochino meno.
Fortuna che tutto questo lo abbiamo solo vissuto attraverso i racconti e le
immagini. C'è chi dice di essersi trovato proprio nel momento di guerriglia
(con le auto in fiamme, i cassonetti rovesciati, le sassaiole, le cariche e
i lanci di fumogeni ad altezza uomo) in Piazza Kennedy, di essersi
rifugiato nel portone di un palazzo con altri pochi fra cui un giornalista,
di aver chiamato la polizia per essere scortati via e di ricevere dagli
stessi botte a gratis una volta che il giornalista si è allontanato, con
tanto di perquisizione e maglietta rossa trovata nello zaino sbattuta in
faccia dal celerino che gli grida contro 'ti piace il rosso, eh!'. Ci sono
foto di ragazzi terrorizzati con le braccia alzate circondati da
poliziotti. E ancora racconti di manifestanti minacciati a morte dagli
stessi ('ti sparo!') quando colti in piccoli gruppi isolati, o malmenati
anche se palesemente inoffensivi (donne di ogni età, addirittura suore!).
Il resto della cronaca non aggiunge molto a quanto detto, se non che
lentamente la nostra parte di corteo inverte la rotta sul lungomare e se ne
torna da dove è venuto coi fumogeni che si allontanano pian piano. Il
cammino fino agli agognati pullman dura almeno un altro paio d'ore in
tutto, con altre soste e relativa tensione, con l'ansia per i compagni di
gruppo cha abbiamo perso per strada e solo dopo un bel pò riusciamo a
contattare (non c'è segnale per i cellulari), con la delusione e la rabbia
per una manifestazione che, vista l'affluenza, mi sembra mortificata negli
esiti: se era una partita, come dice un amico, l'hanno vinta i black block.
Esausti, segnati dalla stanchezza, dalla tensione e dall'incredulità per
come sono andate le cose torniamo a casa dove al mattino seguente ci
aspettano nuove inquietanti notizie e immagini: la scuola Diaz sede del
Genova Social Forum, con i suoi uffici legali e stampa, le sofisticate
attrezzature (computer e apparecchi radio) e gli stanzoni di accoglienza
per molti manifestanti viene presa d'assalto da un blitz notturno delle
forze dell'ordine che ha l'esito di arrestare decine di persone, molte
delle quali escono dall'edificio in barella, riportando evidenti ferite. I
filmati che vediamo in tv mostrano che la sede è stata completamente
devastata, tutte le apparecchiature suddette sono distrutte, gli oggetti
personali (zaini, sacchi a pelo,ecc..) sparpagliati in disordine e ci sono
tracce di sangue dappertutto. Paura. E' la stessa che ho provato il giorno
prima. Non ci vuole molto a capire che gli autori di questo macello sono le
stesse 'forze del disordine': si sono introdotti senza un mandato,
impedendo l'accesso ai cameramen o fotografi durante l'incursione,
ostacolando i giornalisti, malmenando di nuovo soggetti istituzionali come
parlamentari e avvocati che erano lì, senza fare distinzioni: tutti
potenziali nemici, tutti teppisti, tutti criminali. E' bene che non ci
siano documenti, perciò si distruggono le prove, si mettono fuori uso i
mezzi radio (radio Gap trasmetteva proprio la notte in diretta dalla sede
GSF), si impedisce che i giornalisti siano testimoni e possano raccontare
come sono andate le cose.
Certo che il G8 ha giocato brutti scherzi a molti, specie alla democrazia.
Non voglio addentrarmi in temi politici, non ne ho la capacità, nè è questo
il punto. Il punto è che credo siano state violate delle libertà
fondamentali in questi due, tre giorni di Genova e temo ne vengano violate
altre se si legittimerà una interpretazione distorta degli eventi. Se non
la penso come altri (gente comune o partiti politici che siano) vorrei
poterlo dire secondo i modi che mi sono legalmente concessi di diritto. E
nulla come la negazione di un diritto vi fa sentire l'urgenza dello stesso:
è come una sete che aumenta sapendo che non c'è niente da bere. La mia
responsabilità, grave, è di non essermi resa conto prima dell'importanza di
certi 'bisogni' che vanno tutelati.
Ripeto, il mio vuol essere solo un invito che faccio a titolo personale e
perciò spero vi arrivi con più forza. Un invito, adesso più che mai dopo
questi fatti, a non fermarsi alle apparenze che si ricavano dalla
maggioranza dei mezzi di informazione. Un invito a fare dei sacrifici per
conoscere il più possibile la verità sulle cose; dei sacrifici perchè la
verità in momenti controversi come questi è un puzzle con sempre più
pezzetti, che vanno cercati, pesati e messi insieme, e li troveremo tutti
solo se sfruttiamo canali relativamente 'liberi', siti Internet (da lì che
fuggivo, e qui che ritorno!), alcuni giornali, alcune radio indipendenti,
forse qualcosa in tv.
E non solo. Vi invito anche a partecipare in modo attivo, con la presenza
fisica nelle piazze, laddove vi è possibile e dove condividiate i motivi
per cui si manifesta, perchè credo che in quella dimensione si acquisisca
una consapevolezza preziosa, irrinunciabile.
Infine l'esortazione è perchè ognuno di noi, nel suo piccolino si prenda la
sua responsabilità, anche solo nel senso di valutare la fondatezza dei
propri giudizi su questi fatti, o su altri che potrebbero accadere su
questa scia. Un parere superficiale, elevato alla potenza e diffuso nella
testa di centinaia di migliaia di persone, può fare molto ma molto più male
di una manganellata data da un poliziotto, magari perchè arriva a
legittimarla.
Ciao e grazie.
p.s. oggi non mi pento affatto di essere stata a Genova
....................
O.G.
[NOTA: PER RAGIONI DI PRIVACY TUTTE LE SEGNALAZIONI INVIATE ALL'ASSOCIAZIONE PEACELINK VENGONO RIPORTATE IN FORMA ANONIMA, MA CHI CI SCRIVE LO FA INDICANDO PER ESTESO IL SUO NOME, COGNOME, INDIRIZZO E NUMERO DI DOCUMENTO D'IDENTITA']
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