Ai membri delle Commisioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati

SOLDATI ITALIANI IN BOSNIA ERZEGOVINA: LE RICHIESTE AL PARLAMENTO
DELL'ASSOCIAZIONE PER LA PACE

1. L'Associazione per la pace ha sempre ritenuto importante che il nostro paese dia un contributo significativo alle missioni di pace internazionali, in modo specifico nell'ambito delle decisioni assunte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L'Italia deve e puo' fare la propria parte, finanziaria, logistica, organizzativa sia in termini di invio di aiuti umanitari e di accoglienza dei rifugiati sia di eventuale presenza di soldati italiani in operazioni multinazionali il cui mandato di mantenimento di pace sia esplicito e correttamente coordinato. 2. In questo contesto riguardo alla decisione che il Parlamento si accinge ad assumere sull'invio di soldati italiani in Bosnia Erzegovina, a garanzia del possibile accordo di pace tra le parti al conflitto, l'Associazione per la pace chiede che il Parlamento dia un parere favorevole solo a queste condizioni: * devono essere chiari i termini essenziali della missione: gli obiettivi definiti, le zone di schieramento delle truppe italiane, il comando, i tempi, le modalita' operative italiane e della truppe degli altri paesi. Attualmente i termini della missione sono nebulosi e indefiniti. Rimane ancora non definito il rapporto tra comando NATO della missione e truppe della Russia: questione irta di pericoli e possibili tensioni, nonche' simbolo di una suddivisione dei Balcani in aree di influenza. Il Parlamento deve condizionare l'invio dei soldati allo scioglimento di questi interrogativi; * la missione di pace deve essere ratificata da una decisione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che se ne assuma la responsabilita' politica; * ci sia un preventivo e ufficiale assenso delle tre parti interessate (croato-bosniaca, serbo-bosniaca e musulmana bosniaca per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina, nonche' della Croazia e della Serbia-Montenegro) alla presenza militare italiana; * le truppe italiane non siano in ogni caso schierate nelle zone della Bosnia Erzegovina, dove -durante la seconda guerra mondiale- abbiano avuto un ruolo di feroce oppressione militare e repressiva; inoltrre non siano schierate in zone che -alla luce delle recenti polemiche con la Croazia- possano suscitare tensioni e attriti strumentalizzati in veste nazionalistica; * non venga introdotta una tassa speciale per la missione militare (si parla di circa 600 miliardi l'anno), ma i fondi vengano prelevati direttamente dal Bilancio della Difesa, bilancio che ha ben 8.000 miliardi di residui passivi accumuluati negli ultimi anni. Questa vicenda e' paradossale: per l'aiuto umanitario si spendono solo 50 miliardi l'anno, cioe' meno del 10% di quanto si spenderebbe per la missione militare. Tutto questo avviene mentre la Corte dei Conti denuncia 2.730 miliardi di sprechi della spesa militare; * vengano selezionati in modo piu' coerente i soldati inviati in questa missione di pace. E' francamente singolare che si ipotizzi l'invio di truppe d'assalto e selezionate per il combattimento come la Folgore e la Garibaldi poco adatte -per formazione, tradizione e sensibilita'- ad un'opera di mantenimento della pace in un rapporto costante e positivo con le popolazioni locali, mentre non si prenda in considerazione l'invio della Brigata di Alpini Julia, che gia' ha fatto un buon lavoro in Mozambico, e ha esperienza di questo genere di missioni e forse e' anche piu' adatta alla configurazione territoriale della Bosnia Erzegovina. 3. Se verra' deciso l'invio di soldati nella missione di pace in Bosnia Erzegovina, il finanziamento e lo svolgimento della operazione non devono pregiudicare l'opera umanitaria del volontariato e delle istituzioni italiane che fino ad adesso hanno dimostrato una straordinaria efficacia, ampiezza e concretezza. L'Italia -attraverso il lavoro dei volontari , dei pacifisti, delle istituzioni- ha mostrato in Bosnia Erzegovina il suo volto migliore, di solidarieta', di generosita', di pace. Per questo chiediamo di: * verificare e condizionare l'invio delle truppe italiane all'assicurazione della possibilita' di continuazione di invio degli aiuti umanitari e di presenza e lavoro delle organizzazioni nongovernative internazionali; * approvare contestualmente all'invio delle truppe italiane la possibilita' per gli obiettori di coscienza di partecipare alle missioni umanitarie delle organizzazioni di volontariato convenzionate ai sensi della legge 772 operanti nella ex Jugoslavia; * l'innalzamento da 50 a 125 miliardi ( la cifra che fu messa in bilancio nel 1992 dalla legge 390, importo minimo necessario anche alla luce dei nuovi impegni da assumere) del bilancio per gli aiuti alle popolazioni della ex Jugoslavia nella legge 390. L'Italia dovrebbe approntare un piano di intervento organico e programmato per la ricostruzione delle zone distrutte della Bosnia Erzegovina; * un impegno specifico ad ospitare nel nostro paese i disertori e i rifugiati provenienti dalla Bosnia Erzegovina e dalla ex Jugoslavia che, ai sensi della legge 390, hanno diritto di accoglienza, senza alcuna condizione. Secondo il Ministero dell'Interno sarebbero stati infatti respinti alla frontiera nel 1995 oltre 3.500 cittadini della Bosnia Erzegovina. 4. Una considerazione finale. Il Parlamento italiano deve anche esprimere una sua piu' autonoma e incisiva posizione per la riforma delle Nazioni Unite, per dare maggiore peso e autonomia politica all'ONU, maggiori risorse e strumenti operativi. Non e' una questione astratta, ma riguarda il merito di questa vicenda. Non condividiamo infatti la gestione del corso degli eventi che ha portato all'esclusione dell'ONU dal ruolo nella futura eventuale missione di mantenimento di pace in Bosnia Erzegovina. Mentre l'anno scorso tutta la comunita' internazionale ha speso nel 1994 2.400 miliardi per le missioni dell'' Unprofor, Unhcr ( Alto Commissariato pe i Rifugiati) e WFP (Programma Alimentare) in ex Jugoslavia, solo l'Italia spenderebbe 600 miliardi per le proprie truppe nel 1996. Mentre nel 1994 i paesi occidentali non hanno trovato i 35.000 soldati (bensi' solo 7.600) richiesti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per difendere le zone protette della Bosnia Erzegovina, oggi si troverebbero in poco tempo oltre 60.000 soldati nell'ambito di una missione sotto comando NATO. E' per questo che l'Italia deve essere in prima fila a chiedere piu' risorse, piu' poteri, piu' strumenti per l'ONU, insieme ad una sua profonda riforma. Intanto chiediamo che nella decisione di questa missione, il Parlamento si impegni anche -entro il 1996- a mettere a disposizione ( come previsto dalla Carta Costitutiva delle Nazioni Unite) una parte piccola ma significativa del proprio esercito, in modo permanente e stand by, per le missioni di pace delle Nazioni Unite. Chiediamo che la Scuola di Guerra di Civitavecchia cambi nome e venga trasformata in una scuola di formazione di peace-keeping per i soldati italiani partecipanti alle missioni di pace dell'ONU. Per le operazioni di pace serve infatti saper fare qualche percorso di guerra in meno e e sapere qualche nozione di lingua, sociologia, antropologia, assistenza in piu'. Speriamo che l' Italia possa dare un valido contributo all'avanzare della pace in Bosnia Erzegovina. Rimaniamo convinti che una pace fondata sulla spartizione etnica e sul riconoscimento dei rispettivi nazionalismi non puo' durare. Il Governo e il Parlamento italiani devono dare piu' ascolto e piu' voce alle alternative democratiche ai nazionalismi nei Balcani. Solo attraverso la ricostruzione della convivenza multietnica e la sconfitta di tutti i responsabili della guerra attuale potra' aprire una via duratura alla pace nei Balcani. Roma, 15 novembre 1995



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