Comitato fra i lavoratori della Banca d'Italia

Visita il sito: www.tiscalinet.it/comitatoBI

Comitato fra i lavoratori della Banca d'Italia per la promozione della pace e dei diritti umani Se non ora, quando?

Genocidio, difesa integrata, guerra etica, ingerenza umanitaria, bombardamenti: parole sentite talmente tante volte in questi ultimi giorni da essere ormai quasi svuotate del loro significato. L'atroce operazione di pulizia etnica nei confronti degli albanesi del Kosovo da parte del governo di Milosevic non sembra arrestarsi e ad essa si aggiunge la sofferenza del popolo Serbo sottoposto quotidianamente alle devastazioni che solo una guerra può produrre. La guerra non ammette eccezioni, non fa distinzioni. Irrompe, dispensa morte e sofferenza, è il frutto di un preciso atto di volontà. Dietro ad essa si nascondono ragioni spesso inconfessabili, la certezza di essere comunque dalla parte dei giusti.
Di fronte a tutto ciò è quasi inevitabile l'insorgere di un generale senso di tristezza: angosce, incertezze, delusioni, paure, smarrimenti toccano la coscienza di ciascuno di noi.

  1. L'intervento armato costituisce una aperta violazione del principio di convivenza pacifica dei popoli, non astrattamente definito, ma formalmente riconosciuto in diverse fonti e ordinamenti. L'uso della forza è espressamente vietato dall'art. 2, paragrafo 4 della carta delle Nazioni Unite; solo la presenza di ragioni di legittima difesa ed il consenso del Consiglio di Sicurezza possono giustificare delle deroghe. Sullo stesso principio di legittima difesa si basa il trattato della NATO. L'art. 11 della nostra Costituzione esprime con estrema chiarezza il ripudio della guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali. Questi sono e devono essere considerati punti di non ritorno, in quanto rappresentano gli elementi fondanti della convivenza civile della comunità internazionale e dei singoli Paesi. Non sono negoziabili né possono subire processi di revisione se non nelle sedi competenti.
  2. L'affermarsi della cultura di guerra ha solo contribuito ad aggravare le questioni esistenti e a crearne delle nuove. L'obiettivo dichiarato dell'intervento armato era quello di far cessare l'opera di pulizia etnica di Milosevic e di ripristinare i diritti del popolo di origine albanese del Kosovo. Se questo era lo scopo dobbiamo avere il coraggio di ammettere il suo totale fallimento. Le violenze continuano a manifestarsi mentre è difficile immaginare quale potrà essere il futuro di chi si troverà costretto a tornare in un territorio distrutto e a fare i conti con un'inevitabile accentuarsi delle tensioni "nazionalistiche". Quali poi le prospettive del popolo serbo, privato drammaticamente dai bombardamenti di quell'embrione di crescita democratica che stava faticosamente conquistando e reso orfano persino dei luoghi di lavoro?
  3. Stiamo assistendo, in particolar modo dopo la fine dell'equilibrio mondiale basato sulla presenza di due blocchi contrapposti, ad una progressiva delegittimazione dell'ONU. In mancanza di una forte azione di riqualificazione del ruolo delle Nazioni Unite che trovi concretezza anche in un profondo processo di democratizzazione e sviluppo, corriamo il rischio di privare l'intera umanità degli strumenti di pacificazione e di convivenza civile faticosamente ricercati dopo la conclusione dell'ultimo terribile conflitto mondiale. L'Italia, l'Europa quale entità politica nascente e non mera aggregazione di monete, ha il dovere di assumere un ruolo attivo, anche attraverso l'elaborazione di autonomi processi di lettura di quanto avviene sulla scena internazionale.
  4. Risulta quanto mai opportuna una riflessione approfondita degli eventi storici, economici ed istituzionali che hanno caratterizzato la regione dei Balcani, avendo il coraggio di riconoscere la presenza di diverse responsabilità. Occorre interrogarsi se l'esplodere di odii etnici sia veramente l'unica causa cui devono ascriversi le dolorose vicende che hanno interessato nell'ultimo decennio i territori della ex Jugoslavia o se invece essi non rappresentino anche gli effetti di scelte volte all'affermazione di precisi interessi economici e politici che non hanno tenuto in alcun conto i popoli coinvolti. Ciò per consentire che il futuro equilibrio mondiale, nell'ambito dei valori della democrazia e nel rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si fondi sulle differenze, sulle sensibilità, sulla storia, sulle tradizioni e sulle capacità di fratellanza di tutti i popoli.

La guerra non può dare nessuna di queste risposte.

Per queste ragioni, noi che siamo un gruppo di lavoratori della Banca d'Italia, abbiamo sentito la necessità di riunirci in un Comitato per far sentire la nostra voce contro la guerra e ricercare tutte le possibili occasioni di confronto. Perché riteniamo che l'indifferenza o l'intransigenza solamente di un minuto possono escludere la ricerca di percorsi pacifici per la risoluzione di questo e di ogni altro conflitto. Chiediamo al Presidente della Repubblica, supremo garante della vita del Paese, di rendere nuovamente cogente il dettato dell'art. 11 della Costituzione, ripristinando quella legalità gravemente lesa dall'adesione all'intervento armato nei territorio della Federazione Jugoslava. Chiediamo al Presidente del Consiglio dei Ministri di ritirare l'appoggio del nostro Paese alla missione NATO e di adoperarsi per la convocazione immediata di una conferenza di pace che abbia oggi come effetto immediato la cessazione delle ostilità e contribuisca domani alla costruzione di un nuovo ordine mondiale democratico.

Sentiamo il desiderio di essere kosovari e serbi insieme, perché negli occhi di una persona che muore ci sono i sogni e le speranze che potrebbero essere le nostre e sentiamo che anche i nostri occhi si sono chiusi il giorno che abbiamo pensato alla forza cieca come strumento della pace.