COMUNICATO DELLA CAMPAGNA ITALIANA PER LA MESSA AL BANDO DELLE MINE
La Campagna Italiana contro le mine, esprimendo sconcerto e preoccupazione
per quanto sta avvenendo in questi giorni nei Balcani, si unisce alla voce
dei tanti che gridano il proprio disaccordo ed il convinto rifiuto verso
ogni operazione militare in corso in quella regione.
Vogliamo dire NO tanto alla cruenta ed insensata pulizia etnica messa in
atto dalle truppe serbe, quanto ai bombardamenti decisi ed attuati dai
paesi aderenti al Patto Atlantico.
Appare chiaro che ogni azione militare, lungi dal risolvere i problemi, e'
destinata ad aggravarli.
Gia' prima dell'acuirsi della crisi era facile prevedere che un tale
conflitto sarebbe stato destinato a proseguire a lungo nel tempo al punto
da essere lasciato in eredita' alle future generazioni.
Oggi ne siamo ancora piu' convinti anche in considerazione dell'enorme
numero di mine che e' stato disseminato sul terreno.
La presenza di questi ordigni, sia anticarro che antipersona, rendera'
impossibile il rientro dei profughi kosovari quando questa guerra assurda
sara' terminata.
Le mine anticarro non fanno esplodere solo i mezzi militari, ma
costituiscono un pericolo per la popolazione, come la Campagna per la Messa
al Bando delle Mine denuncia da tempo.
Questo tipo di arma non e' vietato dal Trattato internazionale di messa al
bando, la Convenzione di Ottawa, mentre la legge italiana vieta tutti i
tipi di ordigni che esplodono in prossimita' e contatto con le persone,
mettendo a repentaglio l'incolumita' dei civili.
Se allarmanti notizie giungono sull'utilizzo di mine terrestri da parte
dell'esercito jugoslavo lungo i confini, altrettanto grave e' il fatto che
le forze alleate stanno sganciando le cosiddette "cluster-bombs", le
submunizioni che se non esplodono nell'impatto, rimangono attive per oltre
trent'anni e agiscono, di fatto, come le mine terrestri.
La drammatica esperienza del Laos insegna.
Tutte le popolazioni che nel corso degli anni hanno subito il medesimo
flagello possono testimoniare quanto la presenza di quegli ordigni
significhi morte, mutilazioni, sofferenze indicibili, oltre che paralisi
dell'economia povera di quelle zone e terrore.
Non vogliamo rassegnarci all'idea che non sia possibile la convivenza tra
le differenze etniche, culturali, religiose...
ma ancor meno vogliamo subire passivamente che siano questi ordigni di
morte a segnare il confine tra le diverse componenti dell'unica popolazione
che abita il Kosovo.
Consapevoli di questo, chiediamo che tacciano le armi e riprenda il dialogo
nella sede idonea delle Nazioni Unite; chiediamo all'Unione Europea e a
Romano Prodi, Presidente designato della Commissione Europea, l'immediata
convocazione di una Conferenza internazionale sui Balcani che discuta un
progetto di riassetto definitivo e di sicurezza per l'intera area.
Barbara Laveggio
Director ICS
Italian Coordinator of the Campaign to Ban Landmines
tel 0039/131/232640
fax 0039/131/235497
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