Hanno fatto un DESERTO e l'hanno chiamato PACE


Non possiamo smobilitare

Hanno fatto un DESERTO e l'hanno chiamato PACE

Guerra umanitaria? Otto settimane di morte, violenza, distruzione.
Migliaia di morti innocenti, un milione di profughi, terre e mari
seminati di uranio e di ordigni, i nostri territori trasformati in
portaerei per la guerra vigliacca dal cielo, distrutte le
infrastrutture civili di tre popoli

Tutto questo è avvenuto in piena illegalità. Solo ora entra in campo
l'Onu, notaio del suo stesso suicidio. E fino a un attimo prima del
suo voto, hanno parlato i bombardieri.

Mai come ora il re, anzi l'Imperatore è nudo.


Noi stiamo dall'altra parte. Dalla parte delle vittime, di tutte le
vittime: serbe, kosovare, montenegrine. Contro tutti i criminali di
guerra, che dovranno rispondere dei loro crimini, a Belgrado o a
Zagabria, a Roma, Londra o Washington.


Abbiamo circondato coi nostri corpi le basi militari, il parlamento,
gli uffici Nato. Abbiamo portato la memoria delle ignote vittime dei
Tornado e degli Amx sull'altare del Milite ignoto. Abbiamo dato voce
al grido dei bombardati e dei deportati e alla protesta di quella
maggioranza di italiani che ha orrore della guerra e crede nella
Costituzione. 

Abbiamo detto: disubbidire! Lo ripetiamo ora che i nostri soldati
penetrano nel "territorio nemico".


Se oggi si festeggia la fine del terrore, è anche perché i signori
della guerra sapevano che l'invasione e la strage non sarebbero state
tollerate dai popoli d'Europa e d'America.

Ma non abbiamo fermato la logica e la cultura della guerra.

La fine dei bombardamenti non significa pace. Questo lo sappiamo e per
questo è necessario oggi continuare a combattere ogni cultura di
guerra, di dominio, di oppressione. Il movimento contro la guerra non
può e non deve smobilitare.

Contro la spinta alla passività dobbiamo rinsaldare i legami tra le
realtà pacifiste, antagoniste ed antimilitariste della città. Vogliamo
essere protagonisti della ricostruzione per non delegarla ai generali
ed ai faccendieri e vogliamo farlo insieme a tutti coloro che da anni
sono vicini ai popoli dei Balcani. Vogliamo aprire nostri canali di
comunicazione tra di noi e con le realtà democratiche al di là
dell'Adriatico e del mondo. Vogliamo riaffermare la nostra opposizione
alla cultura militarista ed alla ideologia della guerra riaffermando
il valore della disubbidienza, dell'obiezione di coscienza, alle spese
militari, alle gerarchie delle produzioni, all'ordine mondiale del più
forte. Vogliamo riaffermare la pratica dell'"ingerenza umanitaria" da
popolo a popolo, nei Balcani come nei "cortili di casa" dell'Alleanza
atlantica a partire dalla tragedia rimossa del Kurdistan. Vogliamo
difenderci dall'avvelenamento dell'ambiente, delle catene alimentari e
delle coscienze, contro la brutalità del profitto e della forza. C'è
un mondo da ricostruire,se non ora quando?

Su questi temi, per queste ragioni, invitiamo tutta la città a
lavorare con noi a un grande cantiere di pace:
 * il 18 giugno dalle 17 alle 22 nella Facoltà Valdese, via Pietro
 Cossa, in una Convenzione cittadina del movimento contro la guerra,
 ricca di presenze, relazioni, esperienze, prospettive; 
* il 19 giugno dalle 10 in poi presso il Rialto occupato, in gruppi di
lavoro sui vari aspetti dell'opposizione alla cultura della guerra:
militarismo e pratiche di obiezione, i luoghi della guerra e della
pace a Roma, informazione di guerra e comunicazione di pace,
diplomazia popolare nei Balcani e altrove, profughi e accoglienza,
"diritto di guerra" e "diritto alla pace", cooperazione dal basso e
democrazia di base nella ricostruzione, e altro ancora. 

COORDINAMENTO ROMANO CONTRO LA GUERRA (Rif. cittadino in via Goito
35b, tel 06.44701008/21 fax 06.44701017)