Dalle bombe sulla Jugoslavia il pericolo di una nuova Cernobyl


La guerra umanitaria…

Dalle bombe sulla Jugoslavia il pericolo di una nuova Cernobyl

La Nato: "Usiamo uranio impoverito". Mezze verità sugli "obiettivi"
nucleari 

(articolo di Manlio Dinucci sul Manifesto del 20 aprile 1999) 

 

Il portavoce della Nato, Jamie Shea, aveva dichiarato il 9 aprile:
"Non usiamo alcuna arma radioattiva in Jugoslavia". La sua
rassicurazione è durata solo una settimana.
Il 17 aprile, il portavoce militare della Nato, generale Giuseppe
Marani, ha ammesso che "proiettili anticarro con uranio esaurito sono
usati dai piloti alleati contro le forze
serbe in Kosovo".

Non si sa se il generale Marani scarseggi in inglese o in fisica
nucleare. Fatto sta che, definendo "esaurito" l'uranio impoverito
(depleted uranium), si è ottenuto un
effetto tranquillizzante. Comunque il portavoce Nato ha rincarato la
dose, assicurando che questi proiettili "non comportano alcun
rischio", in quanto il loro livello di
radioattività "non è superiore a quello di un orologio". Evidentemente
il generale Marani non ha mai sentito parlare della "sindrome del
Golfo", non conosce (la Rai l'ha
oscurato) l'omonimo video del regista Alberto D'Onofrio, né le
documentazioni scientifiche sugli effetti di tali armi, presentate in
vari convegni internazionali.

L'uranio impoverito, con cui sono fabbricati i proiettili anticarro
usati anche in questa guerra, è un sottoprodotto del processo di
arricchimento dell'uranio 238, di cui
conserva circa il 65% della radioattività. Grazie alla sua eccezionale
densità (pesa 1,7 volte più del piombo) e alla sua natura piroforica,
è in grado di penetrare attraverso
la corazza dei carri, sviluppando all'interno un'altissima
temperatura. Al momento dell'esplosione, l'uranio si trasforma in
aerosol le cui particelle radioattive, trasportate
dalle correnti convettive e dai venti, si spargono su una vasta area.
Penetrando nel corpo umano attraverso inalazione, ingestione o
contaminazione delle ferite, può
provocare tumori e gravi danni genetici alle generazioni successive.

Le munizioni ad uranio impoverito vengono usate principalmente
dall'aereo A-10 Warthog, l'elicottero Apache e il carrarmato M-1
Abrams. L'A-10, con il suo
cannoncino Avenger a sette canne, è in grado di spararne 4.200 al
minuto: durante la guerra del Golfo, solo questi aerei ne spararono
circa 940.000. Gli effetti dei
proiettili all'uranio, usati dalle forze Usa e alleate in quella
guerra (per complessive circa 315 tonnellate), hanno provocato gravi
patologie ad oltre 100.000 militari
statunitensi, di cui 4.500 sono morti. Numerosi sono i casi di
malformazioni genetiche nei loro figli. Un numero probabilmente
maggiore di vittime si è verificato nella
popolazione irachena.

Ma il pericolo di contaminazione radioattiva non proviene solo, né
principalmente, dall'uso dei proiettili all'uranio. Come riporta il
New York Times del 19 aprile, David
Kyd, portavoce dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica
(Aiea), ha espresso grave preoccupazione per "la sicurezza fisica del
materiale radioattivo" conservato
nell'Istituto di scienza nucleare Vinca, a dieci miglia da Belgrado:
si tratta di circa 60 chilogrammi di uranio altamente arricchito che,
se una bomba dovesse colpire
l'impianto, provocherebbero una fuga radioattiva. Ieri l'Aiea ha
"rassicurato": "La Jugoslavia non ha la bomba atomica" e i raid aerei
"faranno di tutto per evitare" il centro
nucleare di Vinca. Stiamo freschi!

Una tale preoccupazione è stata anche espressa dalla Duma russa che,
in una lettera del 16 aprile ai parlamenti europei, ricorda che "nei
pressi di Belgrado ci sono due
reattori nucleari per la ricerca" che potrebbero essere colpiti. Il
giorno dopo, il comandante della Nato in Europa, Wesley Clark,
rispondendo a una domanda sui rischi
ambientali dei raid in corso, ha ammesso: "Ci rendiamo conto che
esistono questi rischi, ma in questo caso noi dobbiamo considerare
tutti i rischi: tra questi, la pulizia
etnica di cui siamo molto preoccupati".

Altrettanto allarmante dell'ammissione di Clark è l'ipotesi, fatta
dall'Intelligence statunitensi, che l'uranio arricchito del centro di
Vinca potrebbe essere usato dai serbi
per fabbricare una dirty nuke, un'arma "sporca" in grado di provocare
non un'esplosione nucleare ma la contaminazione radioattiva del
territorio colpito (The
Washington Times, 16/4/1999). Non può non venire il sospetto, data la
fonte dell'informazione, che si intenda attribuire ai serbi una
eventuale contaminazione radioattiva
provocata dai proiettili all'uranio o dal bombardamento di un impianto
nucleare. Così, tra smentite e ammissioni, bombe "intelligenti" e
danni "collaterali", si estende di
nuovo su di noi l'incubo di un'altra Cernobyl.