Una Carta comune per la pace

Le proposte del "Cantiere" di Venezia a tutto il movimento contro la guerra

fonte: il manifesto 09-06-1999

>> Sito di "Cantiere di pace"


La guerra della Nato nei Balcani segna un passaggio netto, una linea di
demarcazione che ha diviso profondamente le forze politiche e ha tagliato
trasversalmente le forze sociali, compreso il cosiddetto "terzo settore".
L'intervento della Nato ed i bombardamenti contro la popolazione jugoslava,
nonche' la partecipazione attiva da parte italiana, sono il punto di arrivo
di politiche militariste portate avanti negli ultimi dieci anni.

Il movimento pacifista deve fare i conti con la sua impotenza rispetto a
questa nuova fase. Bisogna ricoscere che, malgrado gli sforzi generosi di
alcune sue componenti, il movimento non e` riuscito a prevenire questo
conflitto, non ha offerto un supporto adeguato alle forze democratiche che
in Serbia e nel Kosovo cercavano una via d'uscita dallo scontro
nazionalista, non ha denunciato adeguatamente le violenze che da anni
subivano gli albanesi del Kosovo, non ha avuto la forza e la capacita` di
impedire il totale coinvolgimento dell'Italia e dell'Europa in questa
guerra. Di contro, cresce il disgusto ed il dissenso, per come e` stata
condotta questa guerra dalla Nato, sia nella gran parte dei paesi del sud e,
soprattutto, dell'est europeo, sia nella stessa opinione pubblica occidentale.

Per questo e` urgente trovare le forme, i contenuti ed una strategia
appropriata per rispondere a questa nuova fase del dominio dei "poteri
forti" nell'era della globalizzazione.

Ci troviamo di fronte all'emergere , per la prima volta nella storia
contemporanea, di un embrione di governo mondiale, espressione politica
della "triade" (Usa, Giappone, Unione europea), che tende a dare nuove
regole al capitalismo globalizzato, secondo gli interessi e la visione del
mondo del fondamentalismo occidentale. Le sue basi culturali si fondano su
questi enunciati: il libero mercato, la democrazia rappresentativa, i
diritti umani. La strategia fondamentale del governo mondiale e` orientata
ad allargare e gestire il mercato mondiale, nonche' a controllare tutte le
tensioni che il mercato globale crea costantemente nella sfera finanziaria,
economica, politica (livello nazionale) ed ambientale.

Le forze che si oppongono a questi processi, che lottano quotidianamente per
la liberazione dal dominio dell'economia globalizzata, non possono non fare
i conti con i macroprocessi in atto.



Il senso di una Carta comune d'intenti per la pace e la democrazia nei Balcani


L'esperienza di mobilitazione di questi mesi del movimento contro la guerra,
le pratiche dei comitati e coordinamenti locali e delle associazioni, non
devono fermarsi, in seguito "agli accordi di pace" ed alla fine dei
bombardamenti, ma devono trovare strutture e reti permanenti di iniziativa.

Il mondo del volontariato, delle imprese sociali, dei movimenti contro la
guerra e contro la mercificazione globale ha davanti a se' un compito arduo
ed ingrato. Deve fare i conti con questa guerra nei Balcani - che va intesa
come un punto di svolta - per la ricostituzione di orizzonti comuni che
reggano al confronto con lo strapotere del governo mondiale.

E' pertanto giusto e corretto occuparsi prioritariamente dei vicini di casa,
ma sarebbe un tragico errore dimenticarsi del quadro globale, della "guerra
economica" in atto, che, in forme meno spettacolari, produce morte e
distruzione, ogni giorno, in tutto il pianeta.

Nasce da questi presupposti l'idea di una "Carta comune" per il movimento
contro quella guerra della Nato che segna, pesantemente, la fine del secondo
millennio. La "Carta" non e` un testo sacro che raccoglie i grandi princi`pi
del movimento, ma uno strumento che va nella direzione di costruire degli
obiettivi ed una strategia comune, di lungo periodo, che risponda ai bisogni
di pace, giustizia e democrazia per tutta l'area euro-balcanica. Senza
nessuna pretesa di esaustivita` ne' di ordine di priorita`, elenchiamo, qui
di seguito, i punti fondamentali del nostro impegno comune:

a) Informazione
Nell'era dell'informazione-truffa, sterilizzata e precotta, che rappresenta
un asse portante del governo mondiale, dobbiamo porci il problema di
produrre una seria informazione sugli effetti economici, sociali ed
ambientali di questa guerra. Per questo proponiamo la creazione di un
Osservatorio permanente sui Balcani che abbia come obiettivi fondamentali:

1) la registrazione di tutte le vittime , dirette ed indirette (legate
all'embargo, mancanza di corrente elettrica, shock, ecc.) della guerra in atto;

2) il monitoraggio della condizioni di vita dei profughi e degli sfollati di
tutte le etni`e e nazionalita` dell'area;

3) la valutazione dei danni economici ed ambientali sia nell'area
direttamente interessata alla guerra che nelle aree e paesi limitrofi. In
particolare, l'uso criminale delle bombe ad uranio impoverito nonche' la
distruzione di fabbriche chimiche potrebbe aver lasciato sul terreno danni
irreparabili, che andrebbero prontamente denunciati, e andrebbero allertate
le popolazioni locali. E' questo un compito prioritario.

4) la ricostruzione analitica dei mercati criminali (armi, droga, ecc.) e
degli intrecci di potere tra le diverse mafie che agiscono nell'area ,
ovviamente compresa quella italiana.



b) Ricostruzione
Dato che e` piu` che prevedibile che dopo il business della guerra arrivera`
quello della "ricostruzione", e` auspicabile che le associazioni che operano
sul campo e tutte quelle che vogliono partecipare, nonche' enti ed
istituzioni locali (universita`, centri di ricerca, ecc.) si attrezzino per
questa seconda fase, giocando un ruolo non subalterno ne' marginale, per
evitare che in nome dello "sviluppo" si dia un colpo fatale ai fragili
ecosistemi locali.

Per questo proponiamo una Conferenza euro-balcanica che veda la
partecipazione ampia di tutti i soggetti sociali coinvolti, direttamente ed
indirettamente, nella guerra. Individuiamo nella Conferenza una tappa
necessaria per avviare quello che provvisoriamente chiamiamo Centro per la
ricostruzione del patrimonio comune nei Balcani. Il Centro dovrebbe
elaborare, con l'apporto di tutti i partner dell'area, strategie di
cooperazione popolare, di ricostruzione del tessuto sociale e culturale su
basi di democrazia reale.

In particolare:

1) promuovere l'elaborazione di una strategia comune tra le Ong e le altre
organizzazioni che operano nell'area, superando sia la parcellizzazione
delle informazioni che l'esiziale concorrenza che, purtroppo, attraversa a
volte anche queste organizzazioni;

2) stabilire una scala di priorita` di interventi che puntino al
rafforzamento delle economie locali, da collegare orizzontalmente con altri
partner in Europa e nel Mediterraneo (secondo il modello proposto da Alberto
Magnaghi su Carta di giugno);

3) favorire tutte le forme possibili e praticabili di finanza etica,
commercio equo ed economia solidale;

4) battersi su questi princi`pi nei confronti di Echo (Unione Europea), Mae
e gli altri enti pubblici coinvolti nel finanziamento della ricostruzione.



c) Profughi
I profughi di tutte le nazionalita` sono le principali vittime di tutte le
recenti guerre balcaniche. Relativamente ai profughi kosovari di etnia
albanese, che gia` da anni subivano discriminazioni e violenze, va detto e
denunciato il fatto che essi sono stati usati ed abusati dai mass media
occidentali per giustificare ogni nuova escalation nei bombardamenti, che a
loro volta producevano altri profughi. Una delle cose piu` gravi ed
insopportabili e` stata non solo la mercificazione dei sentimenti di pietas
e compassione al fine di raccogliere fondi per l'Operazione Arcobaleno, ma
anche la menzogna sistematica organizzata dal nostro governo intorno alla
ormai famosa espressione: i profughi non vogliono andarsene dalle frontiere.

Le migliaia di profughi che, rischiando la vita e pagando tanti denari, sono
scappati in Italia, hanno ridicolizzato questo assunto. Bisogna che riparta
una campagna seria di accoglienza diffusa che faccia perno sulla grande
disponibilita` manifestata da tanti enti locali in tutto il paese, nonche'
dalle forme organizzate della societa` civile che si battono per
un'accoglienza decentrata.

Ma non basta. Le associazioni ed organizzazioni che condividono questo
documento dovrebbero farsi carico di costituirsi "parte civile" nei processi
relativi all'affondamento dei due gommoni da parte delle motovedette della
Guardia di finanza, che hanno causato la morte ed il ferimento di decine di
innocenti. Si tratta di omicidi preterintenzionali di cui e` responsabile in
prima persona il ministro della difesa.

Ancora: l'aver lasciato nel fango e nell'abbandono migliaia di profughi,
anziche' organizzare un ponte aereo adeguato, va non solo condannato, ma
vanno valutati e denunciati i danni fisici e morali causati ai profughi, in
particolare ai soggetti piu` deboli.

La questione dei profughi va riportata alla piu` generale questione delle
frontiere europee ed al ruolo dell'Italia nel bacino del Mediterraneo. Si
rende necessaria una normativa in grado di superare le emergenze e di
garantire ai profughi di tutte le guerre e repressioni violente status e
diritti certi.



d) I diritti umani e le forme di lotta non violenta
L'enunciazione dei "diritti umani" e` diventata la nuova frontiera del
pensiero unico, del fondamentalismo occidentale. Cio` crea una grande
difficolta` a molti movimenti e singole persone. Possiamo dire, a ragione,
che l'Occidente applica questi diritti a suo piacimento, ma non possiamo
negare che la` dove una popolazione e` oppressa e/o discriminata su basi
etniche si ponga un grande problema. Finora le migliori intenzioni e
programmi interetnici ed interculturali, portati avanti da tante
associazioni, hanno avuto un alto valore simbolico, ma un insignificante
peso politico.

Alcuni hanno tentato di affrontare la questione superando il concetto di
sovranita` statale, con una nuova opzione definita "ingerenza umanitaria".
Purtroppo, questa e` stata la strada che ha portato a giustificare
interventi esterni militari che niente hanno a che fare con l'aiuto umanitario.

Altri, hanno disperatamente puntato ad un rilancio dell'Onu, ma si son
trovati di fronte a un organismo in coma.

In breve, non abbiamo piu` risposte convincenti. Se non vogliamo arrenderci
alle prossime guerre umanitarie - che sono gia` in agenda - dobbiamo fare un
grande sforzo di fantasia ed individuare nuovi percorsi.



e) Fuori la guerra dalla storia
A due mesi ormai dall'inizio di questa guerra va ristabilita la verita` del
reale, che smentisce, seppur qualcuno lo possa aver creduto, che bombardare
Serbia e Kosovo potesse fermare la pulizia etnica, che una "pulizia
militare" potesse fermare le mani dei soldati serbi. Questa guerra afferma
la cultura della pena di morte: uccidere i serbi e` giusto per mostrare che
uccidere i kosovari sbagliato.

La incivilta` della pena di morte, praticata ed osannata negli Usa (ma anche
in tanti altri paesi), contribuisce pesantemente allo svilimento ed atrofia
della democrazia reale. Anche nelle nostre citta` opulente il terreno su cui
si gioca il futuro della vivibilita` passa attraverso una forte opposizione
a chi propone insieme quartieri blindati, esclusione sociale e
criminalizzazione degli emarginati.

Se ad una lettura estemporanea della storia i fondamenti di questa societa`
civile e le matrici culturali dell'Occidente paiono riportare sempre alla
guerra e alla violenza come strumento per definire i rapporti sociali,
all'annullamento ed alla distruzione come soluzione dei conflitti, noi
vogliamo affermare che questa non e` l'unica tradizione di pensiero ed
appartenenza.

Se guardiamo con occhi liberi il passato, vediamo che l'esistenza della
societa` civile e` stata garantita dalle tante donne che hanno praticato la
cultura della vita, dell'abitabilita` dei luoghi, del creare tessuto sociale
e diversa cittadinanza, anche la` dove c'e` il conflitto, anche nei campi
profughi in questi giorni. Questa strada alternativa e` condivisa anche da
molti uomini che sempre piu` ora tolgono consenso a logiche di dominio,
anche disertando, sottraendosi, fuggendo.

Imparando a camminare insieme lungo questo percorso difficile, ma necessario
alla sopravvivenza della stessa terra, pensiamo che e` possibile ricostruire
un tessuto sociale fondato sul rispetto per la natura, i diritti del lavoro,
i diritti di cittadinanza, lo sviluppo locale autocentrato.

E' una strada presa e ripresa tante volte, dalle generazioni che si
susseguono, una strada ricca di relazioni umane, di legami sociali, di
slancio vitale. E' l'unica strada verso una vita degna di essere vissuta.
Per questo ripetiamo: fuori la guerra dalla storia.