GUERRA MILITARE E GUERRA IDEOLOGICA:

IL "MANIFESTO DESTINO" DELL’OCCIDENTE

 

Giulio Girardi

Filosofo e teologo della liberazione

La guerra in corso non è soltanto militare, è anche ideologica. La stessa Nato lo ha riconosciuto quando, bombardando la televisione serba e trucidando i suoi giornalisti, ha spiegato che essa era in realtà un obbiettivo militare, perché la disinformazione era una delle armi più micidiali di Milosevic. Decretando la morte di quei giornalisti "menzogneri", la Nato intendeva allo stesso tempo affermare l’oggettività della sua rete informativa, e la validità dell’ideologia che la ispira. Problema: l’ ideologia che la Nato difende militarmente è davvero meno menzognera e meno micidiale di quella del dittatore Milosevic?

 

L’Occidente protagonista e norma etica

del nuovo ordine mondiale

Vorrei fare qualche riflessione su questo aspetto, ideologico, della guerra in corso, richiamando l’attenzione sull’importanza che in essa assumono le categorie "Occidente" ed "occidentale". Categorie politiche e filosofiche che sembrano astratte, lontane dalle nostre storie personali; ma che in realtà come cercherò di mostrare, ci coinvolgono profondamente.

Con il termine "Occidente" si designa il blocco dei paesi del capitalismo centrale transnazionale, egemonizzati dagli Stati Uniti. L’ideologia occidentale, liberaldemocratica, che rappresenta il suo sistema di valori economici, politici e morali, costituisce il collante dello schieramento. Essa coincide sostanzialmente con il "pensiero unico" imposto dalla globalizzazione capitalista, della quale esplicita la dimensione militare e militarista.

Pertanto l’Occidente non si afferma solo, con questa guerra, come il protagonista indiscusso del nuovo ordine mondiale, ma anche come la sua norma etica, politica e giuridica; quindi anche come punto di riferimento della "normalità". Nella sua prospettiva , la superiorità economica e militare coincide con la superiorità morale: per cui diventa il segno di una missione storica, di un "manifesto destino", quello di difendere nel mondo i valori di cui l’Occidente è depositario. Con la guerra l’Occidente, sotto l’egida degli Stati Uniti, ha affermato clamorosamente questa missione espropriando del loro ruolo le Nazioni Unite. Ha anche fornito la sua interpretazione del nuovo ordine mondiale unipolare e del ruolo che al suo interno esso si attribuisce.

Per cogliere la portata di questa svolta storica, partirei da una considerazione abbastanza ovvia: l’Occidente non sarebbe mai intervenuto in Yugoslavia, se l’Unione Sovietica fosse rimasta la grande potenza che era. In quel contesto geopolitico, l’Occidente avrebbe magari condannato verbalmente la pulizia etnica compiuta da Milosevic, ma la Nato, consapevole della sua natura di organizzazione difensiva, e constatando che nessun paese occidentale era aggredito dalla Serbia, avrebbe escluso un suo dovere e un suo diritto d’intervento. Una reazione così moderata sarebbe stata imposta, in ultima istanza, più che da considerazioni etiche e giuridiche, dal cosiddetto "equilibrio del terrore", ossia dal timore di una rappresaglia sovietica.

I nuovi compiti storici che oggi l’Occidente si arroga trovano qui la loro spiegazione. Siamo passati dall’equilibrio del terrore allo squilibrio del terrore. Scomparso il terrore della rappresaglia, il diritto del più forte può scatenarsi senza remore, con la maschera dell’intervento umanitario.

Nell’antico ordine mondiale, segnato dalla guerra fredda fra Oriente ed Occidente, la Nato era, almeno ufficialmente, un’organizzazione militare difensiva, destinata a proteggere i paesi occidentali da possibili aggressioni del blocco comunista. Tale compito difensivo essa assolveva anche con la sua forza militare, che garantiva l’equilibrio del terrore e fungeva così da deterrente nei confronti del patto di Varsavia. Fu accolta allora con sorpresa e sconcerto la dichiarazione di Enrico Berlinguer, che progettava di costruire il socialismo sotto "l’ombrello della Nato".

Conclusa con la vittoria dell’Occidente la guerra fredda, alla Nato è venuto a mancare l’obbiettivo che costituiva la sua ragion d’essere. Essa doveva quindi sciogliersi oppure ristrutturarsi, assegnandosi un altro obbiettivo. Ha optato per la seconda soluzione, trasformandosi in strumento di affermazione dell’egemonia occidentale, in particolare nordamericana, nel mondo. Nella nuova prospettiva, il nemico da abbattere non è più il comunismo, ma qualunque paese, movimento o ideologia che voglia sottrarsi all’egemonia occidentale od al pensiero unico. La dottrina classica della sicurezza nazionale ha conosciuto così un nuovo sviluppo geopolitico La prima vittima di esso è stata, come vedremo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite., esautorata dalla Nato, perché non più disponibile ad operare come suo strumento.

Ma sul cambiamento di obbiettivi della Nato hanno pesato indubbiamente, oltre le ragioni politiche che ho ricordato, anche forti ragioni economiche. La fine della guerra fredda rischiava infatti di provocare una grave crisi della potentissima industria delle armi, se avesse determinato la fine delle guerre senz’altro. La trasformazione della Nato da organizzazione difensiva a organizzazione d’intervento universale apriva per essa una possibilità indefinita di guerre giuste e per l’industria delle armi nuove possibilità di affari lucrosi. Di queste guerre giuste quella del Kosovo è solo la prima.

Un’intervista rilasciata da Javier Solana, segretario generale della Nato (a Panorama del 29.4.99, p. 40), mi sembra esprimere in modo particolarmente incisivo questa ideologia: "Vorrei ricordare che in questo conflitto non sono in gioco né il petrolio né altre materie prime né .altri sbocchi commerciali. L’unica cosa in gioco sono i valori morali (sottolineatura mia). E credo che se l’Europa vuole mantenere la sua grandezza etica, (sottolineatura mia) debba fare tutto il possibile per fermare queste brutalità che non conoscevamo più dalla seconda guerra mondiale. Se non lo facciamo, difficilmente potremo entrare a testa alta nel 2000. Molti degli attuali dirigenti europei sono figli del ‘68, non hanno vissuto la guerra, eppure hanno assunto un impegno forte in difesa dei valori che hanno ispirato la loro vita." Nella stessa logica si muovono quei commentatori che vedono nella guerra della Nato una guerra non solo giusta, ma santa e la esaltano come una crociata laica.

Per parte sua l’Italia, riconoscendo l’Occidente quale punto di riferimento della "normalità", si assegna come obbiettivo del suo progresso economico politico e culturale quello di "entrare in Europa", diventando un "paese normale", cioè pienamente occidentale. Essa sa che solo accettando di rispettare le regole del gioco fissate dall’Occidente, le sarà possibile assolvere un ruolo , nel presente e nel futuro dell’Europa.

Nella stessa logica, l’evoluzione della sinistra come della destra, in Italia e altrove, consiste nel diventare una sinistra o una destra "occidentali" Giunta al potere in gran parte dei paesi europei, la sinistra ha applicato sostanzialmente, a livello economico, politico e militare, il programma della destra. Ha dovuto scegliere tra rinunciare al potere e rinunciare a se stessa: ha scelto di rinunciare a se stessa., alle sue opzioni generatrici, alla sua identità. Ha dovuto scegliere, in definitiva, tra essere sinistra ed essere occidentale, ha scelto di essere occidentale L’involuzione della sinistra a livello mondiale, la sua subalternità economica, politica e culturale, è uno dei segni più gravi della colonizzazione degli spiriti che il potere mondiale, politico, economico e militare sta realizzando .

Con il riferimento ai "figli del ’68" i quali hanno assunto un impegno forte in difesa dei valori che hanno ispirato la loro vita, Javier Solana indica una importante pista di riflessione: sul ruolo decisivo che la sinistra europea sta assolvendo nella conduzione e nella legittimazione della guerra. Per noi questo ruolo è lo sbocco naturale del processo di "occidentalizzazione" della sinistra: accogliendo la chiamata alle armi, la sinistra è diventata a pieno titolo cittadina dell’occidente; assumendo un ruolo decisivo nella legittimazione ed il consolidamento del nuovo ordine mondiale. Sul tema dovremo tornare.

 

Solidarietà occidentale e soffocamento delle autonomie

Tutte le obiezioni sulla legittimità giuridica e morale e sull’opportunità politica della guerra scatenata dalla Nato vengono respinte dai nostri dirigenti facendo appello alla "solidarietà occidentale" od "atlantica" ed ai "valori occidentali" che abbiamo l’obbligo di difendere. I patti , si dice, devono essere rispettati (ma anche se sono immorali? anche se il loro rispetto significa complicità con imprese criminali?) La solidarietà occidentale, che si concretizza abitualmente come subalternità alle decisioni ed al progetto storico degli Stati Uniti, è diventata il primo comandamento del nuovo ordine mondiale, il criterio supremo del bene e del male, di fronte al quale tutti gli altri debbono cedere. E’ nata così un’ortodossia occidentale, un’etica politica eteronoma, espressione del diritto del più forte. E’ con questo criterio che i popoli dell’Occidente e del mondo sono chiamati a giudicare la legittimità della guerra. E’ con questo criterio, pensano quasi all’unanimità i membri della classe politica occidentale, che dovrà essere stabilita la legittimità dell’invasione via terra del Kosovo, che è chiaramente nei progetti e nelle aspirazioni di molti strateghi nostrani: quella nuova carneficina sarà , sì o no, imposta dalla "solidarietà occidentale"? sarà sì o no, favorevole agli "interessi occidentali"?

In questa discussione, l’obbiezione principale che si pongono gli alleati è che l’attacco terrestre implicherebbe la perdita di molte "vite occidentali": le quali, evidentemente, hanno un peso immensamente superiore alle vite non occidentali stroncate dai bombardamenti aerei e dalle loro conseguenze. Così per combattere il razzismo di Milosevic, l’Occidente si è ispirato ad un razzismo non meno micidiale: in nome del quale esso non si limita a condurre una guerra, ma orienta il governo del mondo.

Scrive al riguardo un politologo non certo sospetto di antiamericanismo, Zbigniew Brzezinski: "Ogni governo democratico è comprensibilmente riluttante a perdere le vite dei suoi soldati. Ma condurre una guerra in cui non venga fatto nessuno sforzo - anche se la vita dei suoi combattenti professionisti è esposta a qualche rischio - per proteggere le maggioranze indifese, priva la sua stessa attuazione del suo più alto obbiettivo morale" (Repubblica, 29 maggio 1999, p.13)

Sulla base di questo criterio, il rifiuto politico e morale della guerra e l’insieme delle argomentazioni con cui si cerca di fondarlo vengono squalificati come frutto di "antiamericanismo", come residuo di "veteromarxismo"o come segno di connivenza con la pulizia etnica perpetrata da Milosevic.: quasi che solo un atteggiamento pregiudizialmente antioccidentale potesse giustificare una condanna di queste atrocità. Alcuni osservatori poi, partendo dalla definizione occidentale della normalità, arrivano a considerare il dissenso sulla guerra come una forma patologica, che dev’essere curata anziché discussa.

Inoltre la solidarietà occidentale soffoca qualunque velleità di autonomia da parte dei membri secondari dell’alleanza, quali sono in definitiva tutti eccetto gli Stati Uniti. Per gli altri , l’appartenenza all’Occidente è politicamente e culturalmente subalterna. Richiede loro l’abdicazione al diritto di autodeterminarsi e di partecipare in condizioni paritarie alle decisioni collettive. Ciò è vero non solo per i singoli membri, ma anche per l’Europa.

Soffocare l’autonomia dei governi e dei parlamenti nazionali significa tanto più condannare all’impotenza i cittadini dei paesi occidentali, che possono, certo, liberamente indire "manifestazioni" contro la guerra, ma con la piena coscienza della loro totale inefficacia. La subalternità politica ha come conseguenza l’emarginazione delle ragioni della pace dal dibattito dei potenti. Per tutti gli "occidentali" che non si sentono gratificati dall’identificazione con i più forti, l’appartenenza all’alleanza è segnata decisamente da questo sentimento angoscioso d’impotenza e di emarginazione.

Ma l’Occidente non è solo , di questa guerra, il protagonista e la norma etico-giuridica, ne è anche il fine principale. E’ infatti assai significativa la rapida evoluzione che ha subito la definizione del fine della guerra. Originariamente, essa sembrava destinata a bloccare la pulizia etnica praticata da Milosevic, obbligandolo a trattare. Su tale base la guerra, con il suo bagaglio di distruzione e di morte, non era considerata guerra, ma intervento etico ed umanitario.. Oggi questi obbiettivi non sono stati solo mancati, sono stati abbandonati. Oggi il fine è diventato vincere la guerra e distruggere Milosevic. La necessità in cui l’Occidente si trova di vincere la guerra, costi quel che costi, non scaturisce dal fatto che solo così i kosovari saranno liberati, ma che solo così l’Occidente "salverà la faccia", cioè la sua egemonia, e la Nato avrà un futuro. A questo obbiettivo vengono sacrificate migliaia di vittime serbe e kosovare

 

 

L’Occidente dalla conquista dell’America

alla conquista del mondo

Vi è un’impressionante continuità fra la conquista dell’America compiuta 500 anni fa dagli europei e la conquista del mondo intrapresa oggi dall’Occidente sotto la guida degli Stati Uniti e di cui la guerra del Kosovo è una tappa significativa. La trasformazione della Nato da organizzazione difensiva a strumento di intervento universale la promuove ufficialmente, come abbiamo ricordato, a strumento di conquista del mondo.

Tale conquista , come allora la conquista dell’America, persegue la salvezza dei popoli: non quella delle anime, ma quella dei corpi. La guerra santa di allora , laicizzata, è diventata una guerra etica od umanitaria, ma sempre di conquista. La superiorità del cristianesimo sulle altre religioni aveva giustificato e sacralizzato la conquista dell’America. La superiorità della civiltà occidentale su tutte le altre giustifica e sacralizza la conquista del mondo.

I conquistatori dell’America giustificavano il loro intervento militare anche con l’obbiettivo di liberare i popoli indigeni da religioni che praticavano sacrifici umani. Per raggiungere questo nobile scopo massacrarono, in nome della civiltà cristiana , milioni di "pagani"; compirono , in altre parole, milioni di sacrifici umani.

I conquistatori di oggi giustificano il loro intervento con l’obbiettivo di liberare il Kosovo dalla pulizia etnica imposta da Milosevic. Ma per questo nobile scopo distruggono un popolo, le sue città, le sue infrastrutture , la sua economia per molti decenni, massacrano con una sequela allucinante di "errori inevitabili", un grande numero di innocenti.

I conquistatori dell’America pretendevano, con le loro guerre sante, di affermare la presenza salvifica del cristianesimo nei territori conquistati. In realtà il modello imperiale di cristianesimo da essi adottato come strumento di colonizzazione politica e culturale dei popoli contraddice radicalmente il messaggio di Gesù, rivolto essenzialmente alla liberazione degli oppressi; esso non ha solo giustificato per secoli la violazione dei diritti umani e dei diritti dei popoli indigeni, ma ha anche contribuito ad occultare e defigurare il messaggio liberatore di Gesù.

Analogamente la guerra etica della Nato , volta a difendere i diritti umani e i diritti dei popoli, li viola invece clamorosamente e si arroga il diritto di violarli in qualunque parte del mondo, dove siano minacciati gli interessi occidentali. Essa contribuisce così a consolidare un ordine mondiale nel quale i diritti umani e i diritti dei popoli sono strutturalmente violati, ed ai violatori potenti è garantita l’impunità.

I conquistatori dell’America nascondevano dietro motivazioni religiose ed umanitarie il loro obbiettivo più fondamentale, quello di affermare il dominio politico-militare delle potenze europee e di favorire, attraverso la depredazione e lo sfruttamento di quelle terre, l’arricchimento degli europei. Analogamente, i conquistatori di oggi nascondono dietro motivazioni etiche ed umanitarie il loro obbiettivo più fondamentale: quello di affermare il dominio politico-militare delle potenze occidentali e di favorire gl’interessi economici delle multinazionali produttrici di armi.

Allo scoppio di questa guerra, molti espressero il timore che essa potesse scatenare una guerra mondiale. In realtà la guerra mondiale era già scoppiata: è la guerra di colonizzazione del mondo da parte dell’Occidente, egemonizzato dagli Stati Uniti, scatenata dalla globalizzazione neoliberale, che caratterizza il nuovo ordine mondiale. Di questa guerra mondiale, la guerra del Kosovo è solo un episodio.

Le analisi della globalizzazione neoliberale compiute dal punto di vista degli esclusi ne avevano infatti già denunciato il carattere terribilmente violento, scorgendo in essa una guerra di colonizzazione , la più lunga e micidiale della storia. Ma si trattava di una guerra occulta, della quale solo minoranze dell’umanità giungevano a prendere coscienza. Perché il blocco economico dominante domina anche la cultura: colonizza cioè anche le coscienze, plasmando un modello di persona e di popolo "occidentale", che considera normale la violenza dei più forti e demonizza la violenza dei più deboli.

La guerra della Nato smaschera la dimensione militare e militarista della globalizzazione neoliberale e della civiltà occidentale: anche se il suo apparato ideologico ultrapotente consente all’Occidente di farla rientrare nella "normalità" della guerra giusta, etica, umanitaria.

Una delle più clamorose violazioni dei diritti umani, dei diritti dei popoli e dei diritti dell’umanità commesse con questa guerra dall’Occidente, particolarmente dagli Stati Uniti, è il colpo di stato con cui ha spodestato l’organizzazione delle Nazioni Unite. Ad essa non ha solo rifiutato il ruolo di presiedere ai rapporti fra i popoli e di decidere sull’opportunità e legittimità di interventi armati; le ha rifiutato anche il ruolo di mediatrice fra i contendenti. Le ha ricordato che essa non possiede in proprio nessuna divisione , che possa fondare un diritto d’intervento. La Signora Albright ha quindi intimato al Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan (con quale autorità, di grazia?) di non intromettersi nei negoziati e di attenersi al suo ruolo umanitario ( ruolo che , a quanto pare, la Nato ha cessato di rivendicare). Lo ha fatto subito dopo che i rappresentanti del G8 si erano detti d’accordo per mettere sotto l’autorità dell’ONU sia le trattative di pace sia le truppe che saranno chiamate a vigilare sul rispetto degli accordi.

Quindi nel nuovo ordine mondiale, l’ONU non è più un’istanza di coordinamento politico fra gli Stati, è diventata un’organizzazione umanitaria. Il ruolo invece di direzione politico-militare del mondo è assunto anche ufficialmente dall’Occidente, e in esso dagli Stati Uniti. Con questa decisione l’ONU, autrice di molte importanti dichiarazioni e convenzioni sui diritti umani e sui diritti dei popoli, viene privata di qualsiasi autorità nel vigilare sul rispetto di esse. Questo diventa compito esclusivo delle potenze occidentali. Ma chi giudicherà i giudici? Chi giudicherà le innumerevoli e gravissime violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli compiute dalle grandi potenze occidentali e in primo luogo dagli Stati Uniti?

Fondamento dell’autorità morale dell’Occidente

Atra domanda di fondo: su che cosa si fonda l’autorità morale che l’Occidente si attribuisce nel mondo e sul mondo, e di cui questa guerra è uno spaventoso esercizio? Si fonda unicamente, unicamente, sulla sua superiorità economica e militare. La menzogna fondamentale della sua ideologia è quella che traveste la superiorità economica e militare da superiorità etica e politica; o, per usare il linguaggio del segretario generale della Nato, da "grandezza etica". Menzogna tanto più grave in quanto quella superiorità economica e militare è il frutto di secoli di depredazioni e genocidi; ossia di violazioni sistematiche dei diritti umani, dei diritti dei popoli e delle più elementari norme etiche della convivenza umana. In realtà , con la sua guerra l’Occidente riafferma tragicamente quel diritto del più forte, che ha segnato tutta la sua storia e che ha generato la sua potenza. Così una storia criminale dovrebbe fondare un’autorità morale su scala mondiale.

La presunta autorità morale dell’Occidente è squalificata anche dalle sue flagranti contraddizioni. Così solerte nella difesa dei diritti umani dei kosovari, esso tace clamorosamente sulle innumerevoli e non meno gravi violazioni dei diritti umani e dei diritti dei popoli di cui le grandi potenze occidentali sono colpevoli in tutto il mondo.

Sono di ritorno dalla Colombia, dove ho partecipato ad un tribunale internazionale di opinione, costituito dalle organizzazioni popolari e di difesa dei diritti umani per giudicare la strage di Barrancabermeja, nella quale furono trucidati sette cittadini e venticinque vennero fatti scomparire; delitto che a un anno di distanza rimane impunito, anche perché in esso , come il tribunale ha potuto dimostrare, è gravemente coinvolta la responsabilità dello Stato. Su tale delitto, le organizzazioni promotrici del tribunale hanno voluto richiamare l’attenzione nazionale e internazionale, perché lo considerano emblematico di un’ interminabile catena di violenze politiche, che gravano come un incubo sulla vita del popolo, e che rimangono impunite.

Nel momento in cui le grandi potenze occidentali si attribuiscono il diritto e il dovere d’intervenire militarmente in difesa dei diritti umani, sembra particolarmente importante richiamare l’attenzione su un luogo del mondo in cui si compiono da decenni violazioni dei diritti umani non meno atroci di quelle che insanguinano il Kosovo e sulle quali le grandi potenze mantengono il più assoluto silenzio: non sarà perché in queste violazioni sono gravemente coinvolte esse stesse, a cominciare dagli Stati Uniti?

Questi comportamenti contraddittori dell’Occidente sono denunciati lucidamente da due autorevoli osservatori, Mickhail Gorbaciov e Noam Chomsky. Gorbaciov, in occasione del recente incontro romano dei Premi Nobel per la Pace, ha dichiarato fra l’altro: "ci sono stati degli episodi deplorevoli (nella ex-Yugoslavia); ma a questo proposito vorrei porvi una domanda. In Colombia ogni anno muoiono decine di migliaia di persone, anche lì i profughi sono un milione. Questo accade sotto i nostri occhi. Come reagiscono la Nato e gli Stati Uniti? Gli USA forniscono le armi a quel governo militare." (Avvenimenti, 2 maggio 1999,p.21)

Noam Chomsky, in un articolo apparso su Repubblica del 25 Aprile 1999, sente anch’egli l’esigenza di fare un accostamento fra la situazione del Kosovo e quella della Colombia. "In questo paese, scrive, secondo le valutazioni del Dipartimento di Stato, ogni anno il numero degli assassinii politici ad opera del governo e dei gruppi paramilitari legati ad esso è analogo a quello del Kosovo prima dei bombardarmenti, e i profughi che fuggono per sottrarsi a quelle atrocità superano dl molto il milione. La Colombia occupa il primo posto tra i paesi dell'emisfero occidentale che hanno ricevuto armi e addetramento militare dagli Stati Uniti durante tutti gli anni '90, in cui la spirale della violenza ha continuato a crescere. Questi aiuti sono oggi in ulteriore aumento, con il pretesto della "guerra alla droga", giudicato del tutto inattendibile da quasi tutti gli osservatori seri. L'amministrazione Clinton ha elogiato con particolare entusiasmo il presidente colombiano Cesar Gaviria, il cui governo, secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, è responsabile di "livelli di violenza spaventosi", che hanno segnato un peggioramento anche rispetto ai precedenti governi."

Se questo è vero, come non dubitare della autenticità di ragioni etiche , che funzionano a senso unico? Come non sospettare che le vere ragioni dell’intervento siano altre?

 

L’Occidente e la conquista del consenso popolare

Uno degli aspetti più preoccupanti dell’ideologia occidentale è che essa non si limita a legittimare la violenza criminale dei più forti , ma riesce a conquistare il consenso di grandi maggioranze popolari , all’interno dei paesi occidentali e fuori di essi. Il dominio economico, politico e militare sul mondo crea le condizioni del dominio culturale e della colonizzazione degli spiriti. La violenza è così penetrante da poter strappare il consenso delle sue vittime. Il nuovo ordine mondiale riposa su una colossale sindrome di Stoccolma.

La colonizzazione degli spiriti è il frutto del sistema occidentale inteso come enorme, potentissimo e capillare sistema educativo. Il bombardamento ideologico non è meno micidiale di quello militare, del quale garantisce la legittimità. Esso riesce ad imporre un modello di persona "occidentale", che trova normale un ordine mondiale imperniato su rapporti di dominio e sulla discriminazione; un modello di persona che vede la sua realizzazione nell’identificazione con i più forti, o, come si preferisce dire, con le "democrazie più avanzate". Un modello di persona che ha interiorizzato i valori dell’american way of life, dello stile nordamericano di vita, di vestito, di alimentazione, di divertimento ecc.; che sogna di raggiungere il suo livello di benessere. Un modello di persona, che, in virtù di questa identificazione, ha abdicato alla sua autonomia intellettuale e morale, ed è pienamente disponibile alla dipendenza politica ed economica.

Così l’Occidente distrugge la televisione serba, accusandola di diffondere menzogne sulla guerra, ma sostiene un apparato ideologico transnazionale, che impone al mondo una visione menzognera non solo di questa guerra, ma anche del mondo e della vita.

Per quanto riguarda le menzogne sulla guerra, una in particolare viene inculcata sistematicamente dall’apparato ideologico occidentale. Ed è l’equazione Milosevic= Hitler, pulizia etnica serba=olocausto degli ebrei, guerra contro Milosevic= guerra contro il nazismo. Sulla base di tali premesse si conclude:la guerra della Nato è una guerra giusta, come lo è stata la seconda guerra mondiale contro il nazismo.

In quest’analisi si omette, tra l’altro, di osservare che Milosevic , a differenza di Hitler, non ha mai aggredito un paese straniero, né ha minacciato di farlo in futuro. Si omette di osservare che i bombardamenti Nato, a differenza della guerra condotta dagli alleati contro il anzifascismo, non ha interrotto la pulizia etnica, ma ha peggiorato la situazione dei kosovari.

Questa menzogna viene autorevolmente smascherata da 300 ebrei americani, primo firmatario Noam Chomsky, i quali dichiarano fra l’altro: "Molti fautori dei bombardamenti hanno fatto analogie con l’Olocausto, sostenendo che il mondo non può stare a guardare la pulizia etnica in Kosovo... Noi sollecitiamo il rifiuto di queste analogie false ed esagerate con l’Olocausto e la seconda guerra mondiale, che sono usate per raccogliere sostegno per i bombardamenti che stanno aggravando le condizioni di vita di tutte le nazionalità che vivono in Jugoslavia"

" Non crediamo, recita ancora il documento, che la guerra del nostro governo contro la Jugoslavia sia motivata da preoccupazioni umanitarie. Ciò è reso evidente dal rifiuto di portare per via aerea cibo e acqua ai rifiugiati disperati all’interno del Kosovo, così come dalle ridicole somme stanziate per soccorrere i profughi in confronto ai miliardi di dollari spesi nei bombardamenti. La grande riluttanza dell’amministrazione Clinton di perseguire una soluzione negoziata del conflitto indica che questo intervento è soprattutto determinato da questioni di potere: mostrare al mondo che gli Stati Uniti ( e la Nato che essi controllano) si sono autonominati poliziotti internazionali e sono al di sopra della legge e delle Nazioni Unite. Stanno combattendo la loro guerra contro i civili, distruggendo l’economia jugoslava e uccidendo centinaia di persone innocenti per dimostrare e rafforzare il loro potere." ( Il manifesto, 13 maggio 1999,p.10)

Dell’impatto dei mezzi di comunicazione di massa sulla formazione delle personalità si è rivelato particolarmente consapevole e preoccupato Bill Clinton. Poco dopo la strage di Littleton in Florida, avvenuta in aprile, dove due ragazzi "di buona famiglia" avevano quasi per gioco ucciso, nella scuola 13 dei loro compagni e ferito altri 17, il presidente, profondamente turbato, rivolse due messaggi alla nazione. Egli disse in sostanza, rivolto specialmente ai genitori: "è ora di insegnare ai nostri figli a risolvere i conflitti con le parole, non con le armi" Ripeto: per Clinton, "è ora di insegnare ai nostri figli a risolvere i conflitti con le parole, non con le armi".

Cercando poi di spiegare un comportamento così folle, egli denuncia la responsabilità dei film violenti; particolarmente del film Ritorno dal nulla, in cui Leonardo Di Caprio spara in classe, indossando come a Littleton, un impermeabile nero. Clinton non è neppure sfiorato dal sospetto che la follia di quei ragazzi possa essere ispirata dalla follia dei grandi, che risolvono i conflitti con una tempesta infinita di bombe e con una strage d’innocenti. Non è sfiorato dal sospetto che le bombe, destinate a seminare in Serbia distruzione e morte, ricadano anche sugli Stati Uniti e sul resto del mondo distruggendo qualsiasi residuo di sensibilità umana e formando generazioni di persone esaltate dal mito della forza. Clinton non è sfiorato da questo sospetto perché la sua etica politica di grande potenza è totalmente dissociata dalla sua etica individuale: quello che secondo l’etica individuale è un comportamento folle diventa per l’etica politica espressione di grandezza e di coerenza.

 

Le bombe della Nato hanno ferito mortalmente la sinistra

Desidero ora affrontare più da vicino il tema che ho segnalato all’inizio di questa riflessione: il ruolo della sinistra europea nella guerra della Nato. Il fatto da analizzare è che questa guerra scoppia quando nella maggioranza dei paesi europei, tredici su quindici, tra cui la Germania, la Francia, l’Inghilterra e l’Italia, la sinistra è al potere; che la sinistra al potere non solo non è riuscita ad evitare la guerra, non solo non ci ha nemmeno provato, ma ne è diventata protagonista. La sua adesione alla guerra è stata, come ho ricordato precedentemente, lo sbocco naturale di un processo di occidentalizzazione, cioè di integrazione nel nuovo ordine mondiale e di interiorizzazione del pensiero unico.

Aderendo alla guerra, essa ha completato il suo processo di legittimazione ed ha acquisito pieno diritto di cittadinanza nella società occidentale. Si ha anzi spesso l’impressione che i pentiti della sinistra antagonista siano diventati i più accesi sostenitori della guerra giusta e della Realpolitik, quasi volessero farsi perdonare ( dagli altri e da se stessi) le ingenuità e l’idealismo del loro passato.

Ma vi è di più. Nel processo di legittimazione popolare della guerra, la sinistra ha assolto una funzione che per la destra sarebbe stata assai difficile se non impossibile: quella cioè di ottenere il consenso maggioritario delle masse popolari e di disinnescare proteste di massa., facendo proprie le giustificazioni della guerra diffuse dagli Stati Uniti; avallando, per esempio, il parallelismo tra la guerra della Nato e la seconda guerra mondiale.

Scrive a questo proposito, con la sua abituale lucidità, Rossana Rossanda : "La sinistra non protesta né propone alternative , quando gli USA e la Gran Bretagna lanciano la crociata contro il "cuore di tenebra" del mondo...Né obietta che il vessillo sia la democrazia nell’accezione americana, non quella europea resa spuria dai diritti sociali, e che i suoi mezzi siano quel che di meno democratico si possa pensare. Anzi l’antiamericanismo diventa il nuovo peccato mortale.

"Non sono le Nazioni Unite che consacrano la crociata, ma che importa, l’ONU non è operativa. Si violano le costituzioni nazionali ?Non importa , esse riflettono un modello superato di sovranità. L’egemonia americana si propone come etica e la Nato ne è il braccio secolare. Fra riluttanti e consenzienti le sinistre si adeguano e ne siamo ancora trasecolati." ( il manifesto, 29 maggio 1999, p.3)

La sinistra è morta, viva la sinistra!

Se queste premesse sono valide, la ribellione alla guerra della Nato non si può dissociare, in prospettiva, dalla ribellione al nuovo ordine mondiale ed alla globalizzazione neoliberale che lo caratterizza. Se queste premesse sono valide, la ribellione deve fare leva su una mobilitazione delle coscienze , che coinvolga le persone, i paesi , l’Europa , e, in definitiva tutto il mondo. Una mobilitazione di cui dovrebbe rendersi protagonista una sinistra italiana ed europea preoccupata di ritrovare le sue ragioni e la sua identità nel nuovo ordine mondiale; preoccupata, anziché di integrarsi nella cultura occidentale, di cercare le strade di un’alternativa liberatrice ad essa.

La provocazione per il rilancio della sinistra dovrebbe partire appunto dalla constatazione del suo tradimento e della sua morte ingloriosa, sotto le bombe della Nato. Protagonisti del rilancio dovrebbero essere i compagni e le compagne della sinistra che non sono pentiti, che non sono disposti ad omologarsi,e che intendono trasformare questa crisi in un momento di presa di coscienza e di riscoperta delle ragioni originarie della sinistra.

Il tema fondamentale di questa mobilitazione e di questa ribellione dovrebbe essere, a mio giudizio, quello dell’autonomia : autonomia che, appunto, la globalizzazione neoliberale sta soffocando a tutti i livelli. Questa mobilitazione sarà possibile solo sulla base di una rivoluzione culturale, che contrapponga al punto di vista sulla società e sulla storia dei paesi e dei gruppi dominanti, il punto di vista degli oppressi coscientizzati e ribelli; e che riconosca a questo punto di vista maggiore apertura alla verità ed alla giustizia.

Il primo e più decisivo momento dell’autonomia , che si tratta di riconquistare, è quello personale. Ritrovare e consolidare, di fronte al bombardamento ideologico cui siamo sottoposti, la capacità di pensare con la nostra testa, di rifiutare il pensiero unico, di nuotare contro corrente. Ritrovare una capacità critica nei confronti dei luoghi comuni sulla "morte del marxismo" e della teologia della liberazione.. Ritrovare la capacità di resistere alla cultura del fatalismo, mantenendo viva la tensione utopica e la ricerca dell’alternativa.

Il contesto della guerra e quello più generale della globalizzazione ripropongono poi in termini nuovi e drammatici il problema della sovranità nazionale. Lo ripropongono a partire dalla scomparsa dell’autodeterminazione dei popoli che sia il processo di globalizzazione neoliberale sia la guerra della Nato sembrano sanzionare. Lo ripropongono a partire dal sentimento d’impotenza da cui siamo presi, quando ci mobilitiamo per contestare le stragi provocate sia dalla guerra etica sia dalle misure economiche imposte dalla neoliberalismo. Si tratta di porre oggi al centro del dibattito, valorizzando anche lo stimolo che viene dall’insurrezione indigena, il diritto dei popoli all’autodeterminazione solidale nel nuovo ordine mondiale: autodeterminazione sia nei confronti delle leggi del mercato sia nei confronti delle grandi potenze. Si tratta di discutere il dogma del pensiero unico, secondo cui le sovranità nazionali sono un residuo del passato e di interrogarsi sulle nuove forme del suo esercizio nel nuovo ordine mondiale.

Certo, le sovranità nazionali hanno perso qualunque validità giuridica, quando sono espressione di una classe politica autoritaria e repressiva, preoccupata di garantire la sua impunità Mantengono invece, mi pare, la loro sostanziale validità, quando sono espressione di un popolo che afferma il suo diritto di autodeterminazione nei confronti di poteri politici ed economici che pretendono di orientare la sua vita subordinandola, in nome della globalizzazione e dell’unificazione del mondo, ai loro propri interessi. Si tratta infatti di ridefinire il concetto di unità occidentale e mondiale in termini rispettosi del diritto alla diversità all’interno dell’Occidente e del mondo, del diritto cioè di ogni popolo di essere se stesso, riconoscendo lo stesso diritto a tutti gli altri popoli.

Il contesto della guerra e quello della globalizzazione ripropongono infine il problema dell’autonomia dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti, non solo a livello economico ma anche a livello politico. Anche qui il problema sorge per il fatto che la guerra ha rivelato all’Europa la sua totale mancanza di autonomia politica e militare all’interno dell’alleanza occidentale. Alleanza che non è nata dalla convergenza di autonome decisioni, ma dalla subalternità dell’Europa al suo grande fratello nordamericano. Abbiamo scoperto che all’Europa dei mercanti non corrisponde ancora un’Europa dei cittadini. Abbiamo deluso le attese di quanti, specialmente nel terzo mondo, speravano che la nuova Europa sarebbe stata in grado di contrapporsi all’arroganza ed invadenza degli Stati Uniti; che la nuova Europa avrebbe rappresentato un’inversione di tendenza storica, diventando, dopo secoli di conquiste e colonizzazioni, alleata dei popoli oppressi in lotta per la loro liberazione. Hanno dovuto constatare che no, che la nuova Europa non ha abbandonato le ambizioni imperiali dell’antica; che la nuova Europa non è in grado di contrapporsi all’invadenza ed all’arroganza degli Stati Uniti, ma contribuisce piuttosto a rafforzarle ed a legittimarle.

La solidarietà atlantica è diventata, come abbiamo ricordato, il primo comandamento del nuovo ordine mondiale cui le persone ed i popoli sono chiamati a sacrificare la loro autonomia e la loro coscienza morale. Riconquistare l’autonomia significa riportare al centro dell’etica politica il diritto delle persone e dei popoli alla vita.

Adottando questo criterio, se l’unica strada per porre fine alla guerra e per consentire alle persone ed ai popoli di decidere in funzione della loro coscienza etica, è la rottura dell’alleanza atlantica, allora rompiamola questa alleanza , che sta diventando un’associazione terroristica, la più poderosa e micidiale di tutti i tempi ; associazione cui la superiorità militare garantisce l’impunità anche per i crimini di lesa umanità dei quali si rende colpevole. Gettiamolo questo ombrello che non ci protegge da nessuna aggressione, e che ci coinvolge invece nelle aggressioni di cui è diventato strumento .

Una sinistra italiana ed europea che s’impegnasse decisamente in questa battaglia per le autonomie, ritroverebbe in essa la sua propria autonomia e la strada per ricostruire la sua identità.