DOSSIER KOSSOVO

TUTTO QUELLO CHE NON CI HA DETTO LA TV

DOMANDE E RISPOSTE PER LE SCUOLE – LE ASSOCIAZIONI – I CITTADINI

A cura dell’Associazione Peacelink – Volontariato dell’informazione

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PeaceLink è una associazione di volontariato dell'informazione nata nel 1992 su iniziativa di un gruppo di pacifisti che hanno deciso di adottare gli strumenti della telematica per promuovere la cultura della pace, attraverso dossier, documenti e messaggi diffusi in rete, per favorire il giornalismo di base e la controinformazione popolare che nasce dal basso, per costituire un "legame di pace" tra le associazioni, per promuovere scambi di esperienze, informazioni o documenti, per favorire un utilizzo critico e consapevole delle tecnologie telematiche.

Questo dossier è basato su fonti e documenti precisi al fine di garantire il più possibile l'obiettività e la verificabilità delle informazioni. Lo stile scelto è quello delle FAQ (frequently asked questions), ossia delle risposte alle domande più frequenti. Il dossier è continuamente aggiornato, ed è disponibile in formato elettronico sul sito internet dell’associazione.

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– INFORMAZIONI GENERALI – IL PROBLEMA DEL KOSSOVO –

Dove è il Kossovo?

Il Kossovo è una delle regioni della Federazione Jugoslava la quale è formata, oltre che dal Kossovo, anche dalla Serbia, dal Montenegro e dalla Vojvodina.

Si scrive Kossovo o Kosovo?

Le forme sono diverse: Kosovo (lingua serba) e Kosova (lingua albanese). In questo dossier è stata adottata la parola "Kossovo" (definizione originaria delle carte geografiche italiane) per mantenere un'equidistanza dalla lingua dei serbi e degli albanesi.

Perché è scoppiato il "problema Kossovo"?

Perché in Kossovo la grande maggioranza della popolazione (quasi il 90%) è di origine albanese e il governo di Belgrado ha ripetutamente violato i diritti umani della gente del Kossovo che chiedeva una maggiore autonomia e soprattutto maggiore libertà. Ai tempi di Tito il Kossovo godeva di una certa autonomia, grazie alla Costituzione del 1974. "A metà degli anni ’80 a Belgrado viene lanciata una campagna in ‘difesa dei serbi minacciati del Kossovo’. In quel periodo Slobodan Milosevic approfitta dell’occasione e fa ai serbi locali una celebre promessa: ‘nessuno ha il diritto di farvi del male’" (Fonte: Vreme [quotidiano jugoslavo] 9/1/98, Milos Vasic). L’autonomia del Kossovo è stata abolita dal governo di Milosevic il 23 marzo 1989 con un emendamento alla Costituzione che attribuiva alla Serbia il totale potere di controllo della polizia e della magistratura operanti nel territorio.

Qual è il legame della popolazione serba col territorio del Kossovo?

I serbi considerano il Kossovo la culla della loro civiltà: in Kossovo fu fondato il primo stato serbo della storia. Nel 1389 la Serbia perde la battaglia di Kosovo Polje (piana dei merli) contro gli ottomani. Il Kossovo viene riannesso alla serbia soltanto nel 1912.

Perché le rivendicazioni storiche sono così importanti?

"A differenza delle monarchie e degli imperi, le nazioni non possono invocare il diritto di conquista. È soltanto in nome del possesso del suolo da parte degli antenati che possono rivendicare un territorio. Una nazione degna di questo nome non si rappresenta mai come aggressiva nei confronti delle nazioni vicine. Essa non fa altro che difendere il suo patrimonio inalienabile e il suo diritto alla libertà, nella buona come nella cattiva sorte (si spiega così come le nazioni possano commemorare non solo le loro vittorie, ma anche le sconfitte subite). La storia, l’etnografia e la filologia sono dunque convocate per stabilire i titoli di proprietà nazionale su territori che nel corso del tempo hanno visto coesistere o succedersi popolazioni diverse. (…) I conflitti sono tanto più inestricabili quanto più risulta difficile, secondo il principio nazionale, stabilire una data di prescrizione in materia di anzianità di occupazione del territorio; si rischierebbe di dare l'avallo alla presa di possesso da parte di un invasore, o di un popolo terzo che abbia approfittato dell'abbandono forzato dei territorio da parte dei suoi precedenti abitanti. I nazionalisti serbi accusano gli albanesi di essersi installati nel Kosovo approfittando della sconfitta del regno serbo da parte dell'impero ottomano. I nazionalisti albanesi rispondono che i loro antenati, gli illiri, designati come fondatori della loro nazione, occupavano quel territorio vari secoli prima delle invasioni slave nella penisola balcanica. Nel XX secolo, la gara di antichità di presenza degli avi ha finito per far entrare persino l'archeologia e l'antropologia fisica nel novero delle scienze di possibile uso nazionalista." (Fonte: Anne-Marie Thiesse, "L’invenzione delle identità nazionali, Le Monde diplomatique giugno 1999, edizione italiana).

– LA REPRESSIONE E LA PULIZIA ETNICA –

Quali violazioni dei diritti umani sono avvenute con Milosevic?

"Nel periodo da gennaio a settembre 1994 sono state convocate dalla polizia ‘per dialoghi informativi’ 2464 persone; sono state compiute 3216 irruzioni nelle famiglie; sono state maltrattate 1721 persone, 87 imprigionate per motivi politici o per la loro attività nell'insegnamento o in campo umanitario; torturati 10 giovani tra i dodici e i sedici anni e 12 donne: tre sono morti; 10 persone sono state uccise arbitrariamente. Quando i poliziotti irrompono nelle case, con i più futili pretesti, buttano tutto sottosopra e rubano quello che trovano. Non di rado percuotono gli abitanti, senza riguardo per gli anziani. ‘Quando si è trattenuti dalla polizia, essere picchiati, bastonati, flagellati e torturati è cosa normale’. Tali persecuzioni sono confermate da documenti di Amnesty International e della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Si calcola che dal 1988 a oggi ogni albanese adulto sia passato tra le mani della polizia, in 584.000 processi ‘ufficiali’. Una ventina di albanesi muoiono ogni anno a causa di maltrattamenti o attentati, in cella o nelle strade; circa 400 prigionieri politici giacciono in carcere". (Fonte: G.e V.Salvoldi, L.Gjergji, "Kosovo, un popolo che perdona", Emi, 1997). La situazione è notevolmente peggiorata nel 1998 con gli scontri fra Uck e truppe serbe. "Le vittime kosovare delle battaglie dello scorso anno (almeno 1500, secondo le stime) erano in massima parte civili" (Panorama 18/2/99).

Qual è stata l’entità delle azioni di pulizia etnica ai danni degli albanesi del Kossovo?

"Diverse Ong si sono occupate recentemente di raccogliere minuziosamente i racconti dei rifugiati e di incrociarne i dati. Ce n’è abbastanza per far tacere tutti quelli che, a Belgrado o altrove, negano che ci sia mai stata una pulizia etnica. (…) Médecins sans frontières, Human Rights Watch, ma anche l’OSCE e la Fidh [Fédération internationale des ligues des droits de l’Homme, NdR] (insieme a Médecins du monde) hanno presentato dei rapporti. Questi rapporti – e in particolare quello della Fidh, che si preoccupa di dare una definizione giuridica ai crimini – saranno trasmessi al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. Secondo la Fidh, questi omicidi, deportazioni e persecuzioni, ‘preparati, meditati e attuati in maniera metodica e sistematica’, rientrano nella ‘qualifica di crimini contro l’umanità, così come sono previsti dall’articolo 5 degli statuti del Tpi. (Fonte: Marie Jego, "Sept sémaines de déportations au Kosovo", Le Monde 12/5/1999)

I bombardamenti hanno favorito o rallentato la pulizia etnica ai danni della popolazione albanese del Kossovo?

"Secondo una stima pubblicata lunedì 10 maggio dall’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Acnur), 900mila albanesi del Kosovo hanno lasciato la provincia dopo gli scontri del marzo 1998, di cui 716mila dopo l’inizio dei bombardamenti aerei della Nato, il 24 marzo. (…) In sette settimane i paramilitari e le unità dell’esercito e della polizia del presidente serbo Slobodan Milosevic sono riusciti a fare su vasta scala quello che avevano appena abbozzato durante il conflitto in Bosnia Erzegovina: cacciare, per mezzo di una politica di terrore e di deportazioni sistematiche, i due terzi della popolazione di etnia albanese che costituiva il 90 per cento degli abitanti del Kosovo".

(Fonte: Marie Jego, "Sept sémaines de déportations au Kosovo", Le Monde 12/5/1999)

– L’AZIONE NONVIOLENTA DI RUGOVA –

Chi si oppone in Kossovo alla repressione?

Semplificando notevolmente, prima dell’inizio del conflitto nei balcani, gli oppositori alla repressione erano di due tipi: i nonviolenti che seguono il leader Ibrahim Rugova e i guerriglieri che seguono l'organizzazione militare ex-clandestina Uck. Dopo lo scoppio del conflitto tra la Nato e la Jugoslavia la parola è definitivamente passata alle armi.

È nato prima l'Uck o il movimento nonviolento di Rugova?

Il movimento nonviolento di Rugova - definito "il Gandhi dei balcani" - si è affermato dieci anni fa ed è cresciuto negli scorsi anni grazie a una politica di pace che sanava i conflitti e educava al perdono, come è documentato nel libro "Kosovo, un popolo che perdona", di Giancarlo e Valentino Salvoldi, Lush Gjergji, edito da Emi. Questo movimento ha messo al centro la questione dei diritti umani in un quadro di autonomia ed autogestione regionale evitando di esasperare le rivendicazioni per l'indipendenza e la secessione. L'Uck è invece nato per la secessione ed è di recente costituzione; ha preso slancio quando la politica nonviolenta di Rugova non ha ottenuto ascolto nella comunità internazionale.

Come è nato il movimento nonviolento di Rugova?

Rugova, assieme alla Chiesa cattolica del Kossovo e alle migliori forze della società civile, ha promosso dal 1990 un processo di superamento della "vendetta del sangue"; la tradizione imponeva l'obbligo dei fratelli, dei figli e dei discendenti di vendicare un omicidio subito in famiglia; chi non lo faceva veniva ripudiato dalla comunità.

Quest'usanza era profondamente radicata nella tradizione albanese. Il movimento non violento di Rugova, favorendo la riconciliazione in nome della creazione di una nuova solidarietà fra i kossovari, consentì l'estinzione di 1275 vendette del sangue. Tutto questo servì ad unificare il popolo albanese del Kossovo in un momento di forte repressione delle milizie serbe dopo che Milosevic, con l'emendamento costituzionale del 23 marzo 1989, aveva abolito ogni autonomia per la regione. I riti della vendetta furono sospesi con manifestazioni oceaniche, come quella vicino a Decani, nella quale erano presenti 650.000 persone che applaudirono il pubblico e reciproco perdono di 150 famiglie, mentre "altre 35, senza alcuna preparazione e preavviso, spinte unicamente dalla maturata coscienza di riconciliazione, offrirono il perdono dei loro familiari. Dalla riconciliazione alla non violenza il passo è stato breve: Sicuramente il movimento di riconciliazione ha costituito una tappa fondamentale per la coscienza del popolo albanese kossovaro nella sua resistenza alla montante oppressione serba". (Fonte: "Kosovo, un popolo che perdona", di Giancarlo e Valentino Salvoldi, Lush Gjergji, edito da Emi)

Questo meraviglioso sforzo ha pertanto fatto nascere in diverse associazioni pacifiste una spontanea solidarietà e nel 1993 in Italia è nata la "Campagna Kossovo" per la soluzione nonviolenta del conflitto e il sostegno a Rugova. Inutile dire che l'esplosione del conflitto armato ha distrutto questo patrimonio ideale che in dieci anni aveva fatto deporre le armi, accantonando la tradizione secolare della vendetta, fissata nel "Codice di Lek Dukagjini", il quale "impone" di lavare nel sangue un omicidio anche a distanza di diverse generazioni.

– GLI ACCORDI DI RAMBOUILLET E IL LORO FALLIMENTO –

Come si arriva agli accordi di Rambouillet?

Nel villaggio di Racak (Kossovo) il 15 gennaio 1999 vengono rinvenuti i corpi di 45 vittime di colpi di arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata. Sono albanesi (…) La reazione al massacro di Racak è innanzitutto mediatica (…) i morti di Racak inducono il Gruppo di Contatto a riprendere in mano il dossier Kossovo. (…) Il Gruppo di Contatto decide di imporre a Serbi e Albanesi un negoziato sotto la propria egida, in forma di ultimatum. Rambouillet [la località francese dove hanno avuto luogo le trattative, NDR] dev’essere una sorta di conclave da cui non si esce senza un risultato. (Fonte: Limes - aprile 1999) Il Gruppo di Contatto è composto dai rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia.

Perché le trattative di Rambouillet sul Kossovo sono fallite?

I rappresentanti serbi non hanno sottoscritto il documento finale realizzato dai mediatori del Gruppo di Contatto perché il presidente jugoslavo Milosevic non ha accettato che il rispetto degli accordi fosse affidato ad un contingente Nato da insediare in Kossovo, con possibilità di manovra e presenza militare in tutta la Jugoslavia.

L'accordo di Rambouillet conteneva clausole oggettivamente inaccettabili per la Jugoslavia?

L'accordo di Rambouillet, non firmato dalla Jugoslavia, è un testo di 82 pagine (reperibile sul sito di PeaceLink all'indirizzo http://www.peacelink.it). Al capitolo VII, il più controverso perché relativo al "corpo militare di pace nel Kosovo", è allegata un'appendice B, il cui articolo 8 specifica: "Il personale della Nato dovrà godere, con i suoi veicoli, vascelli, aerei e equipaggiamento di libero e incondizionato transito attraverso l'intero territorio della Federazione delle Repubbliche Jugoslave, ivi compreso l'accesso al suo spazio aereo e alle sue acque territoriali. Questo dovrà includere, ma non essere a questo limitato, il diritto di bivacco, di manovra e di utilizzo di ogni area o servizio necessario al sostegno, all'addestramento e alle operazioni". Il precedente articolo 7 recita: "Il personale della Nato sarà immune da ogni forma di arresto, inquisizione e detenzione da parte delle autorità della Federazione delle Repubbliche Jugoslave. Personale della Nato erroneamente arrestato o detenuto dovrà essere immediatamente riconsegnato alle autorità Nato". Nell'articolo 15 è previsto il pieno e libero e gratuito uso delle reti di comunicazione, fra cui la televisione e l'intero campo elettromagnetico. Come si può notare la Jugoslavia non ha firmato anche perché queste clausole consentivano la presenza di truppe Nato non solo sul Kossovo ma sull'intero territorio della Federazione delle Repubbliche Jugoslave e ad esse era associata una libertà di manovra molto ampia a cui era associata ad una completa immunità a cui si sommava quanto previsto dall'art.21 del paragrafo B della stessa appendice che prevede che la Nato è autorizzata a "detenere persone e a consegnarle al più presto alle autorità appropriate". Di fronte a queste condizioni, che avrebbero sancito l'occupazione di fatto di tutto il territorio nazionale, sostiene Luciana Castellina, "non c'è da farsi molta meraviglia se Milosevic non ha firmato" in quanto tra l'altro l'accordo "non era per qualche settimana, ma a tempo indeterminato, giacché nell' ’accordo’ si dice che fra tre anni si farà una conferenza internazionale per studiare un meccanismo teso a definire l'assetto del Kosovo in base alla volontà del suo popolo" (Il Manifesto 18/4/99). In una intervista pubblicata dalla rivista missionaria "raggio", nel numero di maggio 1999, Don Valentino Salvoldi afferma che "non si sono ancora tentate tutte le vie negoziali. Io giudico le proposte fatte a Rambouillet accettabili solo da pazzi. Insomma, un gioco di politica sporca che non tiene conto delle vittime innocenti che provoca".

– L’ALTERNATIVA ALLA GUERRA –

Ma di fronte al fallimento delle trattative di Rambouillet cosa altro si poteva fare?

Secondo Noam Chomsky "forse si poteva ritoccare l'accordo di Rambouillet sostituendo le truppe Nato che dovevano garantirlo, con un contingente diverso" (Avvenire 28/3/99). Nei contatti diplomatici intrattenuti dal Vaticano erano emerse proposte di un contingente militare di verifica e attuazione degli accordi che comprendesse anche soldati russi. Il tutto sotto l'egida dell'Onu e non della Nato. Inoltre prima dei bombardamenti sulla Repubblica Federale Jugoslava erano presenti in Kossovo centinaia di osservatori civili dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che avevano il compito di monitorare il rispetto dei diritti umani in Kossovo. Il governo di Belgrado aveva riconosciuto il ruolo degli osservatori OSCE e aveva accettato la loro presenza all’interno del Kossovo. Il credito e la forza diplomatica concessi all’OSCE sono stati un’ "arma" negoziale praticamente non utilizzata, e la missione degli osservatori ha dovuto concludersi con una frettolosa evacuazione nei giorni immediatamente precedenti ai bombardamenti. Pascal Neuffer, verificatore OSCE del contingente svizzero durante l'ultimo mese precedente all'evacuazione, ha dichiarato che "La situazione sul terreno, alla vigilia del bombardamento NATO, non era tale da giustificare un'azione militare immediata (…) Indubbiamente in Kosovo era in atto una discriminazione a sfondo etnico, con tanto di pulizia etnica. Ma prima dei bombardamenti era ancora piuttosto contenuta. Molti di noi sono rimasti stupiti dall'ordine di evacuazione: avremmo sicuramente potuto continuare a svolgere il nostro lavoro. Per di più la giustificazione data anche alla stampa, secondo cui la missione sarebbe stata compromessa dalla Serbia che ci avrebbe minacciato, non mi risulta assolutamente. Diciamo pure che siamo stati evacuati perché la NATO aveva deciso di bombardare. Peccato, perché l'OSCE avrebbe potuto sicuramente giocare un ruolo maggiore. Ma alla luce di quanto successo, viene da chiedersi se sia stata voluta come azione pacificatrice o come pretesto per intervenire militarmente." (Fonte: Giornale del Popolo 22/4/99, Sarah D'Adda). La carta delle Nazioni Unite, inoltre, considera l’intervento armato come l’ultima carta da giocare dopo una lunga lista di possibilità alternative: "Le parti di una controversia, la continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi regionali, od altri mezzi pacifici di loro scelta". (Art. 33 Carta delle Nazioni Unite). "Il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l'impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche". (Art. 41 Carta delle Nazioni Unite). "Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell'articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite". (Art. 42 Carta delle Nazioni Unite). In un articolo pubblicato sul numero 7 del periodico trimestrale "Lo Straniero", Giulio Marcon, il presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) ha dichiarato che "Altre scelte erano possibili se non si fosse presa la strada dell’intervento armato. A Rambouillet si poteva fare un negoziato vero e, ancora prima, si potevano utilizzare gli accordi di Dayton per affrontare il tema della prevenzione del conflitto in Kosovo. Si potevano ancora prima dell’accordo dell’ottobre scorso tra Milosevic e Holbrooke mandare osservatori internazionali, come fu fatto nel 1993 in Macedonia con l’invio di un corpo di caschi blu in funzione dissuasiva e preventiva. E la situazione della Macedonia non è meno complessa ed intricata di quella del Kosovo". Il vescovo Enrico Antonelli, segretario della Conferenza Episcopale Italiana, ha dichiarato che: "Una forza di interposizione umanitaria, non solo non suscita perplessità, ma in certi casi è doverosa, mentre il bombardamento desta preoccupazione e non risolve" (Liberazione 24/3/99).

Quali sono state le proposte della Campagna Kossovo durante i bombardamenti, in alternativa all’azione militare?

La Campagna Kossovo ha chiesto "l'intervento di un corpo di peacekeeping ufficiale dell'ONU o dell'OSCE (entrambi organismi cui aderisce anche la Russia e che darebbero maggiori garanzie di obiettività e neutralità)" ed anche "il rientro nell'area dei verificatori OSCE, sensibilmente potenziati nel numero e nelle competenze, integrati da elementi della società civile ben preparati alla mediazione e alla soluzione nonviolenta dei conflitti". Il tutto ovviamente non avrebbe potuto svolgersi senza "l'immediata cessazione dei bombardamenti Nato su tutta l'area, la firma da entrambe le parti (Jugoslavia e Governo Parallelo del Kossovo) di un nuovo cessate il fuoco che comporti l'uscita dal Kossovo dell'esercito jugoslavo fino ai livelli già previsti dall'accordo Holbrooke-Milosevic, con l'interruzione dei combattimenti da parte delle milizie serbe e dell'UCK" (documento Campagna Kossovo 27/3/99, presentato al Presidente della Repubblica, al Ministro degli Esteri e ai Presidenti della Camera e del Senato).

L'opinione pubblica e l'informazione che influenza possono avere sulla guerra?

In società democratiche l'opinione pubblica costituisce un termometro tenuto sotto osservazione specie durante una guerra come questa (i sondaggi mostrano una metà dell'America non convinta o contraria e così pure in Italia). Il generale Carlo Jean, in una relazione al Centro Alti Studi Difesa di Roma, ha spiegato: "Ormai ci si deve orientare a combattere due guerre parallele: una sul campo di battaglia, l'altra sui media. I media creano rilevanti condizionamenti all'uso della forza. In particolare, determinano la tendenza di privilegiare opzioni a basso rischio, a basso costo (perdite) e di breve durata. Il consenso dell'opinione pubblica è più condizionato dalla forma che riveste il messaggio che dal contenuto dell'informazione. Il consenso non è comunque lineare. Non obbedisce a meccanismi di tipo "stimolo-risposta". Si rafforza quando le informazioni coinvolgono i valori dominanti del pubblico che le riceve. La "giusta causa" dell'intervento è diventata una necessità comunicativa. Anche obiettivi derivati dalla "realpolitik" devono rivestirsi dell'"idealpolitik". (Il Manifesto 26/3/99)

Ci sono mezzi alternativi alla guerra per piegare Milosevic e i dittatori in generale?

Curzio Maltese, in un'editoriale di Repubblica (8/4/99) ha scritto: "Bisogna che l'Occidente studi altri sistemi per combattere i regimi dittatoriali, bisogna ripensare il concetto stesso di guerra "etica". La lezione della storia. La lezione della storia ha insegnato che il non intervento porta altre rovine. Ma è giusto ormai, di fronte all'esperienza dell'Iraq e della Serbia, chiedersi anche se non si possano trovare strumenti meno inefficaci, per non dire controproducenti, dell'embargo e dei bombardamenti. Strumenti più moderni e politici come la guerra economica totale e la guerra mediatica, il bombardamento di informazioni che ha già contribuito al crollo dei regimi dell'Est, ben più dei costosissimi arsenali militari. Le bombe della Nato non hanno impedito ma accelerato la soluzione finale per il Kosovo".

Ma la guerra non potrebbe far vincere i diritti umani in Kossovo?

Padre Bartolomeo Sorge, direttore della rivista dei gesuiti "Aggiornamenti sociali", ha fatto osservare che "la guerra non è mai lo strumento adatto per risolvere situazioni in cui siano violati i diritti. La guerra è di per sè un atto disumano perché crea vittime innocenti, si impone con la forza e la violenza genera violenza, l'odio genera odio. Inoltre, nella guerra vince la forza non la ragione. Per esempio, se, per ipotesi, Milosevic fosse più forte della Nato, vincerebbe lui, ma non per questo avrebbe ragione. In secondo luogo, la guerra non è adatta, in particolare, a risolvere il problema dei diritti umani perché questi ultimi non si affermano con la violenza ma con il consenso democratico e delle coscienze. Sostenendo che i diritti umani si attuano con la violenza e non con il consenso, ci metteremmo sullo stesso piano di chi li conculca. Ecco perché insisto sulla riorganizzazione dell'Onu come ente sovranazionale capace di gestire, di prevenire le situazioni di violazione dei diritti umani e di ingiustizia per ristabilirli. Alcuni enti sono stati già creati come la Corte dell'Aja, le Corti internazionali" (intervista rilasciata all'Unità del 31/3/99).

Che differenza c'è fra una guerra e un'azione di polizia internazionale di "ingerenza umanitaria"?

Una guerra ha come obiettivo la vittoria, un'azione di polizia ha come obiettivo la sicurezza della popolazione. Nel primo caso (la guerra) vi può essere un'esclation nell'uso della forza e a una moltiplicazione della violenza in una spirale crescente di attacchi; nel secondo caso (l'azione di polizia) si punta più su azioni di difesa, di disarmo degli aggressori e di interposizione, mirando ad usare la forza per diminuire la violenza complessiva. La guerra aumenta la violenza, l'azione di polizia tende a diminuirla. In quest'ottica l'ingerenza umanitaria - per la sua natura rivolta alla difesa della sicurezza delle popolazioni - non può che essere basata su un'azione di polizia e non su un'azione di guerra.

Quali elementi distinguono un'azione di polizia internazionale da una guerra?

 

Azione di polizia internazionale

Azione di guerra

Obiettivo

Proteggere la popolazione

Vincere

Mezzi

Armi selettive

Armi non selettive (es.mitra, bombe, ecc.)

Conseguenze

Auspicabile riduzione del livello di violenza nel contesto a cui si applica l'azione

Possibile escalation della violenza

Trattamento dell'avversario

Infliggere una violenza intenzionalmente non mortale e comunque minima

Neutralizzare l'avversario anche mediante l'uccisione, in certi casi indiscriminata

Limiti

Legge sull'uso delle armi (uso delle armi per difendere il poliziotto o la popolazione, mai per attaccare)

In guerra "non ci sono leggi", salvo le Convenzioni di Ginevra

Legalità

È legale un'azione di polizia internazionale decisa dal Consiglio di sicurezza dell'Onu; l'Onu non può decidere un'azione di guerra ma unicamente un'azione di polizia internazionale

Per l'Onu è ammissibile solo una guerra di legittima difesa; non è legale una guerra d'attacco

– CHI C’È DIETRO L'UCK –

Quali sono gli interessi dell’Uck?

"L'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) viene appoggiato come un serio movimento nazionalista che lotta per i diritti dell'etnia Albanese. La verità è che l'Uck è sostenuto dalla criminalità organizzata con la tacita approvazione degli Usa e dei loro alleati". (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999) "Il finanziamento della guerriglia in Kosovo pone domande critiche e certamente mette a dura prova i proclami di una politica estera "etica". L'occidente dovrebbe appoggiare una fazione che sembra essere in parte finanziata dal crimine organizzato?" (Fonte: Roger Boyes and Eske Wright, "Drugs Money Linked to the Kosovo Rebels" - The Times, 24 marzo 1999).

Perché gli stati occidentali membri del gruppo di contatto hanno riconosciuto l’Uck come il legittimo interlocutore per gli accordi di Rambouillet, anziché fare riferimento alla Lega Democratica del Kossovo (LDK), il partito guidato da Ibrahim Rugova?

"L'occidente contava sulla propria marionetta-Uck per imporre un accordo fotocopia che avrebbe trasformato il Kosovo in territorio occupato sotto amministrazione occidentale. Ironia della sorte, Robert Gelbard, inviato speciale americano in Bosnia, aveva descritto in passato l'Uck come ‘terrorista’". (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999) Christopher Hill, capo negoziatore americano e architetto dell'accordo di Rambouillet, "è stato anche lui fortemente critico verso l'Uck per i suoi presunti rapporti col traffico di droga" (Cfr. Philip Smucker and Tim Butcher, "Shifting stance over Kla has betrayed Albanians", Daily Telegraph, 6 aprile 1999).

L’Uck ha cercato di evitare il conflitto armato oppure ha contribuito all’aggravarsi della crisi in Kossovo?

Solo due mesi prima di Rambouillet, il Dipartimento di Stato USA aveva riconosciuto (sulla base di rapporti degli osservatori americani) il ruolo dell'Uck nel terrorizzare e sradicare gli albanesi: "L'Uck minaccia o rapisce chiunque abbia contatti con la polizia, rappresentanti dell'Uck hanno minacciato di uccidere abitanti dei villaggi e bruciare le loro case se non si uniscono all'Uck. Le minacce dell'Uck hanno raggiunto tale intensità che i residenti di sei villaggi della regione di Stimlje sono pronti ad andarsene" (Kdom Daily Report, released by the Bureau of European and Canadian Affairs, Office of South Central European Affairs, U.S. Department of State, Washington, DC, 21 dicembre 1998; compilato da Eur/Sce (202-647-4850) attraverso rapporti quotidiani su elementi americani del Kosovo Diplomatic Observer Mission, 21 dicembre 1998).

È vero che l'Uck è responsabile di sequestri di persone?

Sì, l'Uck ha sequestrato cittadini serbi in Kossovo, anche persone non implicate in azioni militari ma per semplice vendetta. L'Uck ha fatto precipitare talmente gli eventi sul piano militare che in un primo tempo Rugova riteneva che l'Uck fosse una montatura dei servizi segreti serbi dato che ad ogni azione dell'Uck corrispondeva un'analoga reazione della polizia serba e un ulteriore giro di vite nella repressione.

Quali paesi occidentali hanno appoggiato l’Uck?

"Dai primi anni novanta, Bonn e Washington si sono accordate per stabilire le rispettive zone d'influenza nei Balcani. Anche i loro servizi segreti hanno collaborato. Secondo l'analista di questioni di spionaggio John Whitley, l'appoggio occulto ai ribelli del Kosovo fu stabilito come impresa comune tra Cia e la tedesca Bundes Nachrichten Dienst (Bnd, che in precedenza aveva avuto un ruolo chiave rispetto al nuovo governo di destra nazionalista in Croazia, sotto la direzione di Franjo Tudjman" (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999. Vedi anche: a) Truth in Media, Phoenix, 2 aprile 1999; b) Michel Collon, Poker Menteur, editions Epo, Brussels, 1997).

Come si è finanziato l’Uck?

Secondo quanto afferma Michel Chossudovsky, Professore del dipartimento di economia dell'università di Ottawa (Canada) in un articolo pubblicato su "Il Manifesto" del 16/6/1999, l'obiettivo di creare e finanziare l'Uck fu inizialmente affidato alla Germania. "Essi usavano uniformi tedesche, armi della ex Germania dell'est ed erano in parte finanziati con denaro proveniente dalla droga" (Fonte: Truth in Media, Phoenix, 2 aprile, 1999). Secondo l’analista di questioni di spionaggio John Whitley, la Cia ebbe successivamente il ruolo di addestrare ed equipaggiare l'Uck in Albania (stessa fonte). Le attività occulte della tedesca Bnd erano coerenti con l'intento di Bonn di espandere il proprio "spazio vitale" nei Balcani.

Come si è armato l'Uck?

"Tanti dei kalashnikov saccheggiati dai depositi della rivolta albanese del 1997 sono finiti nelle mani dell'Uck. È noto anche che l'Uck è cresciuto grazie alla "tassa rivoluzionaria" che ogni albanese della diaspora ha dovuto versare alle organizzazioni all'estero. Ma anche il traffico della droga che dall'Afghanistan, attraverso la Turchia, finisce sui mercati europei è ancora una fonte di finanziamenti. I guerriglieri dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), che un anno fa non erano più di 200 ricordano da vicino i combattenti afghani. È molto facile ipotizzare uno scenario dove questi guerriglieri saranno riforniti di armi, come gli americani hanno fatto con i mujahedin afgani contro i russi". MacedoniaTv 96 ha mostrato un militare dell'Uck catturato con "un apparato satellitare da utilizzare per segnalare gli spostamenti delle truppe serbe prima e durante i bombardamenti della Nato" (Fonte: Avvenire 1/4/99). "Il traffico di droga e armi fu lasciato prosperare a dispetto della presenza, fin dal 1993, di un grande contingente di truppe americane al confine albanese-macedone, col mandato di rafforzare l'embargo. L'Ovest aveva chiuso un occhio. I proventi del petrolio e della droga venivano usati per finanziare l'acquisto di armi (spesso in termini di scambio diretto)". (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999) Queste cospicue forniture di armi all'esercito ribelle del Kosovo sono coerenti con obiettivi geopolitici occidentali. Cosa non sorprendente, c'è stato silenzio totale da parte dei media internazionali sul traffico di armi e droga in Kosovo. Nelle parole di un rapporto del 1994 del Geopolitical drug watch: "Il traffico [di droga e armi] viene giudicato in base alle sue implicazioni strategiche (...). In Kosovo, droga e armi alimentano speranze e timori geopolitici" (Geopolitical Drug Watch, n. 32, giugno 1994, p. 4).

– LA MAFIA E LA GUERRA –

L'Uck ha rapporti con la mafia?

Il settimanale Panorama ha così titolato un'inchiesta sull'Uck: "UCK: in quell'esercito c'è anche odore di mafia. Inquietanti contatti con la malavita organizzata. E strani conti in Svizzera. Per battere Belgrado e fondare la "Grande Albania" i combattenti kosovari sono pronti a tutto."I conti svizzeri numerati, che secondo la propaganda albanese kosovara appartengono all'Uck, sono in realtà di proprietà di organizzazioni mafiose: è quanto asseriscono portando le prove, varie riviste di politica internazionale tra cui l'italiana Limes", ha scritto Bruno Crimi su Panorama (18/2/99). Un approfondimento di tali questioni è presente nel saggio "Gli Stati-mafia" contenuto nella rivista italiana di geopolitica Limes ("Kosovo - l'Italia in guerra", quaderno speciale n.1/1999) a firma di di Johan Peleman. Questi scrive: "Da tempo l'Osservatorio geopolitico delle droghe a Parigi sostiene che i soldi arrivino alla resistenza albanese dai clan di trafficanti di eroina attivi in Kosovo, Macedonia e Albania. Segnalazioni al riguardo risalgono già al 1994 e sono state confermate da recenti inchieste delle polizie europee sullo scambio armi/eroina. Importanti partite di eroina sono state sequestrate negli ultimi anni in Svizzera, Germania, Italia, e Grecia a trafficanti basati a Pristina. Le armi le pagavano vendendo l'eroina in Occidente o anche trattando direttamente con soldati russi uno scambio droga/armi". Conferme sono anche riportate nell'inchiesta di Famiglia Cristiana (17/99) "Con i soldi della droga", che nel sommario sintetizza: "Con proventi dell'eroina anche i guerriglieri rinnovano gli arsenali".

Che potere ha la mafia albanese?

Per dare un'idea del potere della mafia albanese basti questo dato: ha un giro d'affari triplo rispetto al prodotto interno lordo dell'Albania (fonte: US Drug Enforcement Agency).

Il governo americano è a conoscenza di intrecci fra la mafia, il narcotraffico e la guerra in corso?

È interessante a questo proposito un articolo di Cesare di Carlo, giornalista inviato a Washinghton (riportato dal "Corriere del Giorno" del 4/5/99): "Droga e diplomazia. Ieri, mentre Victor Cernomyrdin, l'inviato russo per il Kosovo, scendeva a Washington, una rivelazione metteva in imbarazzo l'amministrazione americana. Lo Uck (Ushtria Clirimtare e Kosoves), cioè il cosiddetto esercito di liberazione del Kosovo, è ‘una delle maggiori organizzazioni mondiali nel traffico dell'eroina. È controllato dalla mafia albanese di Pristina (capitale del Kosovo). Molti dei profitti sono utilizzati per comprare armi e munizioni con le quali combattere i serbi’ si legge sotto un gran titolo di prima pagina, uscito sul ‘Washington Time’. Le rivelazioni erano riferite a fonti dei servizi segreti americani. Prima fra tutte la DEA (Drug Enforcement Administration), il cui compito specifico è - come si sa - reprimere il contrabbando internazionale di droga. Il rapporto rafforza i critici del presidente Bill Clinton. Ma, insomma, per chi ci stiamo battendo? Si chiedono esponenti dell'ala destra del partito repubblicano. Ricordano che, quindici anni fa, fu proprio un'analoga scoperta a spingere il Congresso a interdire ogni aiuto ai contras del Nicaragua. È interessante notare che fino all'anno scorso lo Uck figurava nella lista delle organizzazioni terroristiche, compilata dal Dipartimento di Stato. Dice un funzionario della DEA, in cambio dell'anonimato: 'I guerriglieri albanesi erano terroristi sino al 1998 e ora, per ragioni politiche, sono divenuti combattenti per la libertà’".

Perché l’occidente non ha denunciato il traffico di armi e droga della mafia albanese?

"Il destino del Kosovo era già stato tracciato accuratamente prima della firma degli accordi di Dayton del 1995. La Nato era entrata in un "matrimonio di convenienza" insano con la mafia. "I combattenti per la libertà" furono messi sul posto, il traffico di droga consentiva a Washington e Bonn di "finanziare il conflitto in Kosovo" con l'obiettivo finale di destabilizzare il governo di Belgrado e di ricolonizzare completamente i Balcani: il risultato è la distruzione di un intero paese." (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999)

La Serbia è immune dal contagio mafioso?

Dal contagio criminale-mafioso non è immune neppure la Serbia, che interviene in questi giri di droga tramite i propri servizi segreti e i gruppi paramilitari come quello capeggiato dal famigerato Arkan, come documenta la rivista Limes. Secondo il giornalista Luca Rastello "Milosevic rappresenta la commistione della gestione della cosa pubblica e del potere politico con la gestione della finanza criminale, dei capitali di provenienza illecita e la criminalizzazione complessiva del tessuto economico produttivo di un paese. È un modello che ha incarnazioni e realizzazioni in tutto il mondo: in Russia, per cominciare, nell’Asia, nel terzo mondo in Nigeria, è un modello espansivo, pervasivo. È un modello di mafia che si fa stato scavalcando il vecchio modello italiano di condizionamento mafioso sulla politica. In un clima di accesso immediato, accelerato al mercato selvaggio, l’unico ciclo economico che permette le accumulazioni rapide di ricchezza che stabilizzano la nuova classe di potere è il ciclo criminale. Per le mafie, schematizzando ancora a costo di offendere l’intelligenza di tutti, è molto più redditizio ed economico oggi assumersi direttamente la gestione della cosa pubblica. Milosevic e la sua cupola hanno realizzato in Serbia, attraverso la privatizzazione del credito, un sistema che ha permesso loro di impoverire la società civile, di drenare tutta la valuta pregiata in circolazione nella Jugoslavia, di impadronirsi di quote di controllo in tutte le attività produttive realizzando una centralizzazione dell’economia che non esisteva nemmeno sotto il socialismo. Paradossalmente, in un tempo di privatizzazione l’economia è centralizzata al potere politico che lo ha acquisito grazie alle speculazioni truffaldine realizzate nel sistema finanziario e fa oggi di Milosevic e dei suoi compagni d’affari, proprietari peraltro delle banche off-shore di Cipro, dove vengono riciclati i capitali delle mafie di tutto il Mediterraneo, un riferimento per la criminalità organizzata di mezzo mondo".

(Intervento di Luca Rastello al Coordinamento universitario contro la guerra, assemblea del 21 aprile all’Università di Torino, aula 34 di Facoltà Umanistiche, Palazzo Nuovo)

C'è il rischio che questa guerra possa incrementare in Italia il potere dei gruppi criminali?

Il Messaggero (4/4/99) ha realizzato un'inchiesta che ha titolato "Uck, rifornimenti militari a Roma" e informa: "L'Uck ha scelto l'Italia per procurarsi gli equipaggiamenti militari. A lanciare l'allarme è il Sismi, il servizio segreto militare. L'ultimo stock di 12 mila caschi è stato bloccato tre settimane fa. Fermate anche forniture di tute e giubbotti. Coinvolte molte industrie italiane e un mediatore romano." Il giornale evidenzia come le forniture belliche possano passare attraverso il camuffamento degli aiuti umanitari. La Gazzetta del Mezzogiorno del 4/4/99 titola: "Bari, bloccati 30 camion di combattenti kosovari". In questo contesto i trafficanti di armi e i trafficanti di droga hanno di che scambiarsi, con evidenti effetti sul mercato criminale.

– RESPONSABILITÀ ITALIANE –

C'è stata una iniziativa pacifista per il Kossovo?

Sì, da sei anni esiste una campagna pacifista di informazione e di sensibilizzazione per la tutela dei diritti umani dei kossovari. Essa ha avuto come scopo la risoluzione non violenta del conflitto in Kossovo e ha scelto la denominazione di "Campagna Kossovo" optando per la dizione "Kossovo" di origine italiana, differente sia dal serbo (Kosovo) sia dall'albanese (Kosova o Kosove). Il recapito della Campagna Kossovo è presso: Casa per la Pace, casella postale aperta 8, Grottaglie, TA, tel./fax 099.5662252, e-mail: casapace@netfor.it oppure davac@tin.it oppure eccetera@tin.it). Questa campagna aveva aperto un proprio "ufficio diplomatico" a Pristina, capoluogo del Kossovo, per mantenere i contatti con la resistenza non violenta organizzata da Rugova e per favorire un dialogo con le autorità locali che servisse a tutelare i diritti umani dei kossovari e a promuovere, con i fondi dell'obiezione fiscale alle spese militari, forme di risoluzione non violenta del conflitto.

 

Il problema del Kossovo era già noto al Parlamento italiano?

Il 10 ottobre 1997 la Campagna Kossovo aveva organizzato una manifestazione di fronte a Montecitorio a cui hanno partecipato centinaia di profughi e cittadini del Kossovo, insieme ai militanti pacifisti della "Campagna Kossovo". Ma ad incontrarli c'era solo un parlamentare, Paolo Cento (Verdi), ed era presente per la stampa solo Radio Radicale. Il 10 dicembre 1998, in occasione del cinquantenario della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, una delegazione di pacifisti italiani, rappresentanti di numerose associazioni, si è recata a Pristina per esprimere solidarietà al popolo del Kossovo e per sollevare, con questa iniziativa internazionale, il problema Kossovo prima dell'esplosione totale; tutto ciò è avvenuto nell'indifferenza dei mass media e del governo italiano che tendeva a mantenere una sorta di equidistanza fra i kossovari e Belgrado, affermando, per bocca del ministro Dini, che "i torti non stanno solo da una parte".

Quindi l'iniziativa non violenta è stata inutile?

Spiega il prof.Alberto L'Abate, uno degli animatori della Campagna Kossovo: "L'attività di ‘diplomazia popolare’, o ‘dal basso’, può essere un potente strumento di prevenzione dei conflitti e di avvio di una politica di pace, a condizione però che ci sia una simbiosi tra essa e l'attività degli stati, e che questi non siano così in ritardo nei confronti della prima, o addirittura non l'utilizzino per portare i propri interessi commerciali e non, invece, una politica di pace e di giustizia. Una scelta cieca perché, oltretutto, gli interessi commerciali vengono bruciati proprio da questa guerra che essi hanno impedito di prevenire".

Come mai tanta indifferenza in Italia verso le violazioni dei diritti umani in Kossovo?

Alcune aziende italiane avevano in corso trattative che hanno portato alla stipula di lucrosi contratti commerciali. Ad esempio il rifacimento delle linee telefoniche della Jugoslavia.

"La mia unica colpa è quella di aver coltivato da tempo, e negli anni, un ottimo rapporto personale con il presidente serbo Milosevic", ha dichiarato Lamberto Dini, ministro degli esteri (fonte: Il Messaggero 27/3/99). La Campagna Kossovo nel suo documento del 27/3/99 denuncia il trattamento di favore, nonostante la decennale repressione dei kossovari, accordato alla Jugoslavia "dichiarata per giunta zona di mercato privilegiato, cosa che ha aperto la corsa agli affari a molte nazioni tra cui l'Italia che ne è diventato il primo partner economico attraverso accordi stipulati con STET (telecomunicazioni), FIAT e altre società".

Le conferme a queste informazioni sono riportate nei contratti che nell'estate del 1997 portarono alla "quasi immediata cessione per un miliardo di dollari circa del 49% delle azioni della Telekom serba a Telecom Italia e alla consorella greca" (Fonte: Limes - aprile 1999). Le aziende italiane cercarono di farsi spazio mentre era attiva l'avanzata in avanscoperta nel 1995 del gigante delle telecomunicazioni francese Alcatel e della Siemens tedesca, scrive sempre Johan Peleman, sullo stesso numero di Limes. In questa gara commerciale non vi fu spazio per gli aspetti etici e per le verifiche preliminari dei diritti umani in Kosovo, chiesti dalle organizzazioni pacifiste. Nel 1995 la Campagna Kossovo, nel suo "Appello per la pace nei Balcani", aveva infatti chiesto che l'abrogazione delle sanzioni verso la Jugoslavia fosse vincolato al rispetto dei diritti umani in Kossovo. L'Appello fu ignorato e la ripresa degli affari con Belgrado mise la sordina a chi invocava il rispetto dei diritti umani: sui giornali e in TV il dramma del Kossovo fu reso "invisibile". A nulla valsero neppure le 10.000 cartoline inviate al ministro degli Esteri Dini. Gli affari italiani ebbero la prevalenza sui diritti umani dei kossovari.

L'Italia ha venduto armi a Milosevic?

"Tra il '96 e il '98, stando ai dati di Eurostat sul commercio estero, l'Italia ha venduto armi leggere a Belgrado per 125 mila dollari", documenta l'economista Francesco Terreri su Famiglia Cristiana (17/99), che aggiunge: "Di questa operazione non c'è traccia nelle relazioni inviate al Parlamento dal Governo". All'epoca dei fatti in questione, in Italia ha governato il centro-sinistra che attualmente fa guerra a Milosevic definendolo "un criminale".

L’Occidente ha interessi economici e strategici nella zona dei Balcani?

Il "Corridoio 8" è un progetto del Fondo Monetario Internazionale (il cui capocommessa è l’Italia), a cui partecipa l’ENI. Si tratta di una linea di comunicazione che prevede il più grande oleodotto nella storia d’Europa, un gasdotto e bretelle stradali e ferroviarie dal Mar Nero all’Adriatico, attraverso Bulgaria, Macedonia e Albania. L’affermazione del protettorato Nato sulla zona balcanica interessata al passaggio del corridoio 8 sottrarrebbe definitivamente alla Russia il controllo dei movimenti di energia. La Russia perderebbe l’ultimo aggancio per esercitare una politica di potenza e per svincolarsi dal ricatto permanente dei prestiti occidentali della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Il generale britannico Michael Jackson ha dichiarato che "siamo qui anche per difendere le vie di comunicazione Est-Ovest e dell’energia". (Fonte: Il Sole 24 Ore 16/5/1999). Oltre agli interessi nell’area destinata al passaggio del corridoio 8, sia la Germania che gli Usa appoggiavano (benché non ufficialmente) l'idea della formazione di una "Grande Albania" che comprendesse Albania, Kosovo e parti della Macedonia (Fonte: Geopolitical Drug Watch, n. 32, giugno 1994, p. 4). Secondo Sean Gervasi, la Germania cercava di aver mano libera dai suoi alleati "per ottenere il dominio economico in tutta l'Europa Centrale (Mitteleuropa)" (Sean Gervasi, "Germany, US and the Yugoslav Crisis", Covert Action Quarterly, n. 43, inverno 1992-93). L'agenda segreta di Bonn e Washington prevedeva di scatenare i movimenti nazionalisti di liberazione in Bosnia e Kosovo col fine ultimo di destabilizzare la Jugoslavia. L'ultimo obiettivo veniva inoltre perseguito "chiudendo un occhio" sull'afflusso di sostegni finanziari e di truppe mercenarie dalle organizzazioni fondamentaliste islamiche (vedi il Daily Telegraph, 29 dicembre 1993). L’obiettivo inconfessabile delle potenze occidentali è il controllo geostrategico dell’area balcanica: "Il destino del Kosovo era già stato tracciato accuratamente prima della firma degli accordi di Dayton del 1995. La Nato era entrata in un "matrimonio di convenienza" insano con la mafia. ‘I combattenti per la libertà’ furono messi sul posto, il traffico di droga consentiva a Washington e Bonn di ‘finanziare il conflitto in Kosovo’ con l'obiettivo finale di destabilizzare il governo di Belgrado e di ricolonizzare completamente i Balcani: il risultato è la distruzione di un intero paese". (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999)

– LA LEGALITÀ DI QUESTA GUERRA –

La Costituzione italiana consentirebbe un intervento delle Forze Armate italiane in Kossovo?

L'art.11 della Costituzione italiana recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".

Quindi una partecipazione al bombardamento non rispecchierebbe lo spirito di questo articolo che esplicitamente non solo "esclude" ma "ripudia" (termine ancora più forte e perentorio) la guerra come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Ovviamente ciò non esclude la partecipazione di militari italiani ad un contingente di caschi blu dell'Onu (o ad un altro corpo armato esplicitamente autorizzato dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu) per azioni di polizia internazionale che tutelino le popolazioni del Kossovo. Infatti la seconda parte dell'articolo 11 della Costituzione italiana afferma: L'Italia "consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

L'azione militare della Nato è legale?

"Siamo nell'illegalità dal punto di vista del diritto internazionale generale che ha fondamento nella Carta delle Nazioni Unite", ha dichiarato il professor Antonio Papisca, docente di Relazioni Internazionali all'Università di Padova, intervistato da Radio Vaticana (fonte: Avvenire 25/3/99).

Il rappresentante dell'Onu a Roma, Staffan de Mistura, intervistato dal Corriere della Sera (25/3/99) sulla "legittimità giuridica dell'attacco", ha dichiarato: "Per ogni organismo internazionale come la Nato, anche una risoluzione dell'Onu (in questo caso la 1203) che chiede la fine di una emergenza umanitaria e il ripristino della pace non è sufficiente. È necessario l'ok del Consiglio di Sicurezza".

Olivier Corten, docente di diritto internazionale all'Università di Bruxelles, ha affermato: "L'intervento militare della Nato è contrario al diritto internazionale, perché non c'è stata l'aggressione di uno stato a un altro stato, alla quale la Nato si sia trovata a dover rispondere, e non c'è stata autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. In questo caso, il motivo ufficiale della guerra era umanitario, ma ci voleva comunque l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come è successo per la Somalia o per la Bosnia o dovunque il Consiglio ha valutato che un intervento umanitario fosse necessario per il mantenimento della pace. Qui non solo non c'è stata una risoluzione che autorizzasse l'intervento armato, ma al contrario le risoluzioni prese dal Consiglio stesso hanno affermato che se ci fossero stati ulteriori problemi il Consiglio sarebbe stato competente a decidere cosa fare. La legalità internazionale è questa. Può non piacere, ma finché non si cambiano le regole… Quindi la Nato e gli stati alleati hanno bypassato illegalmente il Consiglio. Giuridicamente la Jugoslavia è uno stato aggredito, quindi avrebbe tutti i diritti di rispondere, di attaccare l'Italia, per esempio, o altri stati aggressori, colpendo, beninteso, obiettivi militari. Gli jugoslavi potrebbero reclamare dalla Nato e dagli alleati il rimborso di tutti i danni causati dai bombardamenti, ponti, edifici distrutti, ecc. Potrebbero perfino rivolgersi al Tribunale dell'Aia per chiedere giustizia dei civili uccisi" (Il Manifesto 21/4/99).

Una delle poche voci di giuristi levatasi a difesa della guerra è quella (sull' "Unità" del 19/4/99) di Ettore Gallo, ex presidente della Corte Costituzionale. Il titolo dell'intervista, realizzata da Umberto de Giovannangeli è: "Contro Milosevic una guerra lecita". In essa non si dice che la guerra è legale ma che sarebbe "lecita" (per lecito si intende "giusto"), sollevando il problema di definire lecita anche un'azione non legale. Quanto alla Costituzione Ettore Gallo dice: "Non si tratta del ricorso alla guerra per risolvere una controversia internazionale bensì di un intervento, peraltro messo in atto da una più vasta organizzazione comunitaria, diretto a reprimere un mezzo disumano di repressione al danni di un'intera etnia da parte di uno Stato che la comprende. Il governo non ha dunque ‘stracciato’ la Costituzione". Quindi Ettore Gallo riconosce che, se quella in atto fosse una guerra, essa sarebbe illegale ai sensi dell'art.11 della Costituzione; e tuttavia sostiene che quella messa in atto dalla Nato non è una guerra e quindi non è valutabile ai sensi dell'art.11. Cambiando la parola "guerra" con "intervento militare umanitario" Ettore Gallo vorrebbe rendere compatibile la Costituzione Italiana con l'attuale bombardamento. Ma Olivier Corten, docente di diritto internazionale all'Università di Bruxelles, afferma: "Se si bombarda diventa difficile dire che non si sta facendo la guerra". Circa poi il fatto che, afferma Ettore Gallo, l'intervento è "messo in atto da una più vasta organizzazione comunitaria" (si legga Nato, ossia un accordo militare regionale), l'articolo 53 della Carta delle Nazioni Unite recita: "Il Consiglio di Sicurezza utilizza, se nel caso, gli accordi o le organizzazioni regionali per operazioni coercitive sotto la sua direzione. Tuttavia nessuna azione coercitiva può essere intrapresa in base ad accordi regionali o da parte di organizzazioni regionali senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza".

L'Italia, facendo parte della Nato, è obbligata a entrare in guerra?

La Nato (organizzazione militare del Patto Atlantico) è un'alleanza difensiva e la solidarietà fra i suoi membri è previsto che scatti solo quando viene aggredito un paese membro, come specificato negli articoli 3, 5 e 6 del Trattato costitutivo della Nato. Questa azione di guerra non rientra negli scopi di difesa per cui la Nato è sorta 50 anni fa e pertanto non dovrebbe obbligare alla partecipazione i suoi stati membri. Essa costituisce una trasgressione del Trattato Nord Atlantico del 4 aprile 1949, carta costitutiva della Nato; l'attuale attacco Nato è anomalo e rappresenta un'assoluta novità storica, come sostiene Maria Rita Saulle, esperta di diritto internazionale: "Il Patto Atlantico - spiega all'agenzia ecclesiastica Sir - si ricollega strettamente alla Carta dell'Onu, prevedendo l'uso della forza soltanto nel caso di aggressione nei confronti di uno degli stati membri della Nato". Ciò non è avvenuto. L'anomalia della Nato è "estremamente pericolosa e significa esautorare le Nazioni Unite" (Repubblica 26/3/99).

Quali sono gli obblighi reali che l’Italia ha verso i partner dell’alleanza atlantica?

"Le parti si impegnano, come è stabilito nello Statuto dell'ONU, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale nella quale potrebbero essere implicate, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza in modo incompatibile con gli scopi dell'ONU." (Art. 1 Trattato Nord Atlantico). Le parti contribuiranno allo sviluppo di relazioni internazionali pacifiche ed amichevoli, rafforzando le loro libere istituzioni, assicurando una migliore comprensione dei principi su cui tali istituzioni sono basate e sviluppando le condizioni atte a garantire la stabilità e il benessere. Esse si sforzeranno di eliminare tutti i contrasti nella loro politica economica internazionale ed incoraggeranno la cooperazione economica reciproca. (Art. 2 Trattato Nord Atlantico).

Come mai la Nato è impegnata in un'attacco non previsto dai suoi principi costitutivi?

Secondo Lucio Caracciolo, direttore della rivista di politica internazionale "Limes", nonché analista favorevole alla Nato, questa guerra è una sorta di "test di fedeltà" e spiega: "Considero questa guerra una follia. Gli americani stanno sperimentando, con questa enorme follia, l'utilità della Nato. Vogliono vedere fino a che punto la Nato gli può servire e fino a che punto gli europei sono disposti a seguirli. Ad esempio, se la Nato diventa qualcosa di diverso, e potrebbe un giorno essere chiamata ad intervenire nel Caucaso: degli europei chi li seguirà. Questa guerra è anche -una selezione stabilita dagli americani con una logica molto cinica su chi sta nella Nato e chi non ci sta." (Avvenire 28/3/99) "La Trasnational Foundation for Peace, che fin dal '92 ha denunciato il rischio di una possibile esplosione della guerra in Kossovo, ha espresso il dubbio che la mancata prevenzione della guerra sia dovuta al fatto che si attendeva l'esplosione del conflitto armato per sostenere la necessità e l'indispensabilità dell'intervento della Nato, in cerca di rilegittimazione dopo il crollo del bipolarismo Est-Ovest e a cinquant'anni dalla sua fondazione" (Documento Campagna Kossovo 27/3/99). Virgilio Ilari, docente di Storia delle istituzioni Militari all’Università Cattolica di Milano, ha rilasciato una intervista a Famiglia Cristiana (n.13/99) in cui afferma che "Si è detto che l’intervento militare della Nato si fonda su ragioni umanitarie: aiutare i kossovari. Ma la Nato ha altri obiettivi. Dopo aver vinto la Terza Guerra Mondiale, la Guerra Fredda, combattuta non contro il comunismo ma contro la Russia, la Nato ha deciso di consolidare il successo e allargare la sua zona d’influenza. In termini geopolitici, la Nato sta occupando l’area che prima era del Patto di Varsavia. Naturalmente, il processo è lungo e complesso. In questo quadro rientra la decisione di disgregare la Jugoslavia. Decisione occidentale, che l’Europa ha voluto e benedetto. Tutto ciò ha portato alla nascita del nazionalismo e alla pulizia etnica".

 

– I PROFUGHI: TRA BUGIE E VERITÀ –

È vero che i profughi non vogliono essere spostati in Italia?

Stefano Kovac, responsabile dell'Ics (Consorzio Italiano di Solidarietà) per i campi in Albania, ha dichiarato: "Non è affatto vero che i rifugiati vogliono rimanere qui in Albania. Moltissimi ci chiedono di andare in Germania, in Italia, in Svizzera e in tutti i paesi dove hanno loro parenti. Ma la indisponibilità italiana, al momento, è totale. Chi siede al tavolo delle trattative mi ha detto che il governo di accogliere i rifugiati in Italia non ne vuole sentir parlare". (Il Manifesto 18/4/99). Il senatore Stefano Semenzato , che ha visitato i campi profughi, osserva: "Perché una così grande e pericolosa concentrazione di profughi? Non vogliono andarsene, dicono le fonti ufficiali largamente riprese dal governo e dall'opinione pubblica italiani. Vogliono rimanere a ridosso del confine per essere pronti a rientrare in Kosovo appena cesseranno le ostilità. Ma è proprio vera questa affermazione? Nei primi giorni il governo albanese aveva messo a disposizione degli autobus per permettere ai profughi di trasferirsi in altre zone. Ora questi autobus non ci sono più, le uniche possibilità rimangono i noleggi di costose Mercedes, mentre a Kukes per due stanze chiedono anche un milione di lire al mese." (Il Manifesto 18/4/99). La concentrazione dei profughi a ridosso del confine con l’Albania potrebbe avere anche una valenza strategica: "Oggi le masse di profughi sono usate da ambedue le parti come armi e come strumenti

di manovra: dal regime jugoslavo per destabilizzare i paesi potenzialmente ostili in questa guerra, e dall’altra parte per alimentare un’emergenza permanente (…) Questi profughi servono come carne da cannone; il generale Alfred Moisiu, delegato albanese alla NATO, lo dice apertamente, saranno la giustificazione per appoggiare una loro offensiva fallimentare con i famosi Apache e i mezzi da combattimento ravvicinato, saranno il pretesto per aprire un corridoio umanitario a forza all’interno del Kossovo, provocare una reazione serba, e giustificare una controreazione armata della NATO via terra. A Kukës, a Tropoje, nell’Albania settentrionale, i profughi servono anche come massa di manovra, come legittimazione della guerra e come serbatoio per l’Uck". (Intervento del giornalista Luca Rastello al Coordinamento universitario contro la guerra - 21 aprile - Università di Torino)

Quali sono le reali speranze di un rientro dei profughi?

Per fare delle previsioni è possibile basarsi sui dati relativi alla guerra in Bosnia: "su 800.000 profughi, il 40% si è rifugiato in Serbia, il 35% in Germania, il 15% in Croazia. Due anni dopo la fine del conflitto, l’80% di questa gente non è tornato a casa". (Fonte: Le Monde). Molti dei profughi, inoltre, per l’anagrafe jugoslava è come se non fossero mai esistiti, come è accaduto per gli abitanti di Pec: "La città di Pec, circa 80mila abitanti, capoluogo di una regione occidentale ricca di monasteri ortodossi, è stata totalmente svuotata fin dai primi giorni. Gli archivi dello stato civile e i catasti sarebbero stati distrutti. Tuttavia la maggior parte della gente che è fuggita verso il Montenegro ha potuto conservare i documenti, mentre i rifugiati che si dirigevano verso l’Albania o la Macedonia se li sono visti confiscare, e poi strappare, durante il tragitto o al posto di frontiera. Alcuni hanno persino dovuto firmare una lettera con cui rinunciavano al diritto di tornare nelle loro case". (Fonte: Marie Jego, "Sept sémaines de déportations au Kosovo", Le Monde 12/5/1999)

Quali rischi corrono i profughi ospitati in Albania?

A parte i rischi di epidemia e di carenze sanitarie intuibili (insufficienza di servizi igienici, sovraffollamento, ecc.), vi è il rischio di un reclutamento più o meno forzato di uomini per le operazioni militari da parte della guerriglia dell'Uck. Questa è una ragione per cui l'Ics ritiene utile una presenza di volontari per "smontare i pezzi sporchi" di questa guerra. Il senatore Stefano Semenzato ha dichiarato: "È contro ogni criterio umanitario esporre tante persone alle malattie come è contro ogni criterio umanitario esporre tanta gente ai rischi della guerra. I profughi di Kukes funzionano da retrovia e da base di reclutamento dell'Uck. Verso i profughi vengono agitate ragioni di vendetta verso i serbi, ma anche attuate azioni di reclutamento forzato e proposto il passaggio dalla miseria di profugo all'attività in formazioni paramilitari con divise nuove e lucide. Basta vedere le mappe della zona per capire come i profughi saranno imbottigliati fra la guerriglia dell'Uck, il fuoco degli elicotteri e le reazioni dei serbi." (Il Manifesto 18/4/99).

I profughi hanno diritto all’asilo politico in Italia?

L’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma che "Ogni individuo ha il diritto di cercare e di beneficiare di asilo in altri paesi per sottrarsi a persecuzioni". L’articolo 10 della costituzione stabilisce che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge"

 

L’Italia ha concesso asilo politico ai rifugiati del Kossovo?

No. Ai profughi kossovari è stato concesso unicamente un permesso di soggiorno temporaneo fino al 31/12/1999. Le condizioni per l’ingresso dei profughi nel nostro Paese sono stabilite dalla legge n.40 del 6 marzo 1998, la cosiddetta "legge sull’immigrazione", che contiene un articolo (il numero 18) intitolato "Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali". Questo articolo stabilisce che "Con decreto del presidente del consiglio dei ministri, adottato d'intesa con i ministri degli affari esteri, dell'interno, per la solidarietà sociale e con gli altri ministri eventualmente interessati, sono stabilite, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo nell'ambito del fondo di cui all'articolo 43, le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni della presente legge, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all'unione europea". Queste "misure di protezione temporanea" sono state stabilite il 12/5/1999 con un decreto del presidente del consiglio dei ministri intitolato "Misure di protezione temporanea, a fini umanitari, da assicurarsi nel territorio dello Stato a favore delle persone provenienti dalle zone di guerra dell'area balcanica.". Con questo decreto non si riconosce il diritto di asilo dei profughi all’asilo politico, ma si stabilisce che "Gli stranieri [provenienti dalle zone di guerra dell’area balcanica] che entrano nel territorio dello Stato sono inviati, quando è necessario, alle strutture di primo soccorso individuate o realizzate sul territorio nazionale. Il questore, verificata, possibilmente, la provenienza e la nazionalità degli interessati, rilascia un permesso di soggiorno per motivi di protezione temporanea valido per la permanenza nel solo territorio nazionale fino al 31 dicembre 1999, salvo che si tratti di persone per le quali l'ingresso ed il soggiorno nel territorio dello stato non possono essere consentiti."

Perché l’Italia ha partecipato ad una guerra per aiutare i profughi e poi non concede loro il diritto di asilo politico?

"In Bosnia Erzegovina, dopo tre anni e mezzo dagli accordi di pace solo un quarto dei 2.400.000 profughi sparsi per l’Europa è tornato a vivere in quei territori. Ed è perciò miope pensare che oltre 650.000 profughi possano essere accolti in Albania (la maggior parte) in Macedonia e in Montenegro in condizioni dignitose e umane. Rifiutare di ospitarli qui, in Italia, con la motivazione che dandogli assistenza in Albania si evita di essere strumento della pulizia etnica è pura ipocrisia per nascondere l’inconfessata ragione di bottega: la paura della reazione dell’opinione pubblica razzista di fronte all’arrivo di nuovi profughi (anche se vittime di una guerra crudele) sulle nostre coste, Non è un caso che, nonostante li si definisca vittime di un genocidio, le nostre leggi trattino i profughi kosovari ancora o come immigrati clandestini o come ‘richiedenti asilo politico’ (sic)". (Fonte: Giulio Marcon, "Contro la doppia guerra", in "Lo straniero" n.7)

I nostri politici stanno aiutando le associazioni e gli organismi che stanno prestando aiuto ai profughi?

Vinicio Russo, responsabile del centro di accoglienza pugliese "Lorizzonte", ha dichiarato che "I nostri rapporti con la politica sono sconvolgenti. Mai nessun amministratore o consigliere regionale e provinciale di qualunque partito è venuto qui a vedere quello che facciamo, a farsi un’idea di realtà che hanno assunto, nella regione che governano, un'importanza notevole. Non ne sanno nulla! Non c’è mai stata alcuna forma di interesse anche se li continuiamo a invitare. In questo senso la Regione avrebbe da spendere 5 miliardi e mezzo: noi non ne abbiamo alcuna notizia. Nemmeno in questa gravissima fase di guerra dunque, c'è una visione prospettica, una minima capacità di guardare oltre e dentro i problemi. Inutile poi parlare di programmazione: non esiste, eppure siamo in guerra e siamo la regione che subirà a breve termine l'impatto delle ondate di profughi dal Kosovo". (Fonte: "Lo straniero" n.7)

La Nato ha fatto tutto quanto era in suo potere per favorire l’aiuto ai profughi?

Il 14 aprile, durante una visita nella sede della Nato a Bruxelles, la signora Ogata [Sadako Ogata è l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, NdR] aveva discusso con Solana [Javier Solana è il segretario generale della Nato, NdR] la situazione dei rifugiati e dei profughi. ‘I militari della Nato stanno studiando la possibilità’ di andare in aiuto a quelle persone, ma ‘sarà molto difficile, dato che non sappiamo dove si trovano’, aveva dichiarato allora il segretario generale dell’Alleanza. Tuttavia il 21 aprile la signora Ogata criticava il rifiuto della Nato di trasmetterle informazioni sui profughi: ‘Ho chiesto alla Nato di comunicarmi le informazioni sulle popolazioni allo sbando raccolte con la sorveglianza aerea, ma finora si sono rifiutati di farlo’". (Fonte: Marie Jego, "Sept sémaines de déportations au Kosovo", Le Monde 12/5/1999)

La Nato sapeva che ci sarebbe stata una ondata massiccia di profughi?

"Oggi dicono che la scelta di cominciare la guerra era legata all'imminenza dell'operazione ‘a ferro di cavallo’. E un'ammissione che lascia interdetti e disgustati. La Nato sapeva e noti ha fatto niente. Alle frontiere dell'Albania e della Macedonia non era stato preparato nulla. Mancava tutto: presidi medici, tende, risorse alimentari, persino qualche bottiglia di acqua minerale. La principale giustificazione della guerra ritorna come un boomerang insanguinato verso chi l'ha decisa".(Fonte: Vittorio Giacopini, "La guerra ‘giusta’ contro la morale", in "Lo straniero" n.7)

L’obiettivo vero dell’azione militare era l’aiuto ai kossovari o l’annientamento dell’apparato militare serbo?

"Nella notte tra il 6 e il 7 aprile, dopo due settimane di conflitto, il campo profughi nella terra di nessuno tra il confine Jugoslavo e la Macedonia è stato improvvisamente sgomberato e per due giorni nessuno è riuscito a capire dove fossero state portate, dove diavolo fossero Finite circa trentamila persone (le cifre vere erano e restano dubbie). (…) Nel giro di una notte gli scalcagnati pullman macedoni avevano svuotato la scena. Dove stavano, dove erano finiti? Non lo sapeva nessuno. Le truppe Nato di stanza in Macedonia, i satelliti che spiano e sanno tutto: nessuno aveva visto e vedeva niente. Parlano di ragioni e motivi umanitari. Ma la catastrofe umanitaria che la guerra ha contribuito ad accelerare non solo non era stata prevista e prevenuta ma una volta in atto era scivolata velocissimamente in secondo piano. Quei soldati, quelle infallibili, raffinatissime macchine da guerra, avevano conservato un modo di guardare strabico: girato da un'altra parte, ossessivamente puntato sugli obbiettivi da colpire in Kosovo, a Belgrado, nel cuore o ai confini della Serbia. Non avevano percepito niente. Ma se non vedi vuoi dire che non vuoi vedere, significa che in fondo non ti importa, che non ti interessa. La notte di Blace è stata così l'emblema finale di un'ipocrisia che parla da sola, e ha reso troppi discorsi definitivamente vuoti e senza senso". (Fonte: Vittorio Giacopini, "La guerra ‘giusta’ contro la morale", in "Lo straniero" n.7)

Quanto è stato speso per la guerra e quanto per i profughi?

In una lettera pubblicata dal quotidiano "Il Manifesto", nel numero del 7/4/1999, Mao Valpiana, direttore della rivista "Azione Nonviolenta", afferma che "un giorno di bombardamenti costa 225 miliardi, quanto il bilancio annuale dell’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)". Durante i 78 giorni di bombardamenti abbiamo sprecato quotidianamente quello che le nazioni unite hanno destinato in un anno intero ai profughi di tutto il mondo (non solo ai kossovari)

– LA NATO, L’ITALIA E D’ALEMA –

Che conseguenze avrà sul nostro paese la partecipazione all’attacco della Nato?

Secondo il già citato direttore di Limes, Lucio Caracciolo, "siamo dentro una guerra che dal punto di vista della nostra sicurezza e dal punto di vista della nostra collocazione nel mondo, non ha alcun senso. Capisco che possa averlo per altri, ma per noi, proprio non ne vedo il senso. Ed è anche estremamente pericolosa. Quanto all'esperimento della compattezza della Nato, alla fine, i primi a pagarlo saremmo noi, quando arriveranno a decine di migliaia i profughi. Sbarcheranno qui da noi, non certo a Miami." (Avvenire 28/3/99)

In Europa tutti sono d'accordo con l'intervento Nato?

"La Svezia si è dissociata e considera illegittimi gli attacchi. L'Austria ha deciso di negare il proprio spazio aereo ai cacciabombardieri Nato. L'Irlanda e la Finlandia si sono trincerate dietro la loro neutralità" (Corriere della Sera 25/3/99). Inoltre la Grecia, nazione della Nato, ha preso le distanze dai bombardamenti. Secondo il presidente dei vescovi degli Stati Uniti Joseph Anthony Fiorenza "l'Europa dovrebbe essere molto più autonoma, non può agire come se tutto dipendesse dall'esercito e dalla strategia politica americana". (Avvenire 28/3/99)

Da chi dipende se gli aerei italiani in guerra possano svolgere azioni di bombardamento o meno?

"Siamo parte della Nato - ha dichiarato il ministro della Difesa Carlo Scognamiglio - e questa operazione è sotto il comando della Nato. L'impiego futuro dei nostri mezzi dipenderà dalla discrezionalità della Nato" (Repubblica 26/3/99).

Chi ha deciso gli obiettivi dei bombardamenti?

Dei 2.000 obiettivi colpiti nella Repubblica Federale Jugoslava, 1.999 sono stati scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei. (Fonte: New York Times del 15/6/1999, citazione su Il Manifesto del 22/6/1999).

Quali sono stati i compiti operativi degli aerei italiani?

Spiega il tenente colonnello Giovanni Fuochi, capo ufficio comando della base di San Damiano (Piacenza): "Abbiamo lo stesso tipo di missione, lo stesso tipo di aereo, lo stesso armamento dei tedeschi. Altro che retroguardia. Il nostro è un ruolo Sead, da Soppression enemy air defence. I Tornado decollano portando missili Harm che distruggono i radar nemici. E che costano 500 milioni l'uno. Se i Tornado rientrano vuoti non è perché li hanno gettati in mare per sport. Quanto ai bombardieri, ci sono. E sono pronti ad alzarsi in volo se la Nato lo richiederà". Il colonnello Gianni Ammoniaci, comandante del 50' stormo della base strategica di San Damiano fa notare al giornalista Giorgio Gandola che i caccia italiani partono carichi di missili e rientrano vuoti: "E poiché non si segnalano affondamenti di pescherecci in Adriatico significa che li abbiamo lanciati su obiettivi militari in Serbia". (Fonte: Il Giornale 1/4/99)

I piloti italiani uccidono?

"Il missile esplodendo lancia migliaia di cubetti di tungsteno; è chiaro che chi sta nel bunker può essere ucciso. Se corre alla velocità di 2.500 km all'ora può anche provare a scappare", ironizza il tenente colonnello Giovanni Fuochi. E alla domanda "cosa ne pensate dei pacifisti", risponde: "È semplicistico manifestare davanti alle basi, sarebbe più giusto farlo davanti al Parlamento. Il militare è il più pacifista dei pacifisti perché è il primo a rischiare la pelle. Mi dà fastidio essere chiamato assassino. Se io volo con i missili sotto l'ala so perché lo faccio. C'è un solo modo di fermarmi: impedirmi di volare. E questo spetta alla politica".

(Fonte: Il Giornale 1/4/99)

I raid della Nato sono condivisi dagli oppositori di Milosevic?

Il presidente del Montenegro, "ribelle" a Milosevic, si chiama Milo Djukanovic e vive anche lui sotto il bombardamento Nato. Ha dichiarato alla Repubblica (8/4/99): "La decisione della Nato di risolvere il problema del Kosovo con i bombardamenti è stata un errore. Aggrava le ferite aperte nel nostro paese. Parlare di pace e democrazia sotto le bombe è difficile. Suscitano piuttosto emozioni patriottiche e di condanna per la violenza. Ho provato con i miei interlocutori che era una mossa sbagliata. D'altra parte mi ha sempre sbalordito che a lungo la Nato abbia considerato Milosevic come l'unico partner nei Balcani. Ora lo vuole punire, ma di fatto ne fanno le spese i cittadini che non hanno colpe. Bisogna fare tutto per calmare le acque. E cessare immediatamente il fuoco sul Montenegro. Un solo proiettile in più sarebbe uno sbaglio catastrofico".

Il presidente del Consiglio Massimo D'Alema ha invece affermato: "In questo momento avverto che c'è un grande assente in Jugoslavia, che è l'opinione pubblica, l'opinione intellettuale, le forze democratiche che pure esistono in quel paese, e che evidentemente non sono messe nelle condizioni di sapere e di far sentire la propria voce" (Il Manifesto 6/4/99)

Per posta elettronica il sindaco della città di Nis (che dal 1996 si oppone al regime di Milosevic alla testa della sua città) ha diffuso su Internet questo messaggio: "Venti minuti fa la mia città è stata bombardata. Hanno colpito la città di Nis, dove i cittadini nel 1996 votarono per la democrazia e si alzarono in piedi in una pacifica protesta per difendere i loro diritti. Protestammo 100 giorni per costringere il regime ad accettare i risultati delle elezioni. I cittadini votarono per la democrazia europea e americana!!! Oggi la mia città è stata bombardata dagli aerei… americani, inglesi, francesi, tedeschi, canadesi! Vi pongo la domanda: perché i capi di stato parlano con i terroristi e gli ispiratori della violenza e NON con coloro che in Serbia combattono per la democrazia in modo giusto e corretto? I miei cittadini ed io lottiamo seriamente per la democrazia, tuttavia stanotte siamo stati bombardati da aerei provenienti dalle nazioni della democrazia dell'Occidente!! C'è qualche logica spiegazione per questo? C'è una buona spiegazione a tutto ciò?

Zoran Zivkovic, Sindaco di Nis

La Nato in guerra dice bugie?

A proposito della strage di 75 profughi compiuta con un bombardamento Nato a Djakovica, "per quasi venti ore, dal momento della strage fino alla tarda mattinata di ieri, c'è stato un grottesco tentativo di negare l'evidenza per avere un migliore trattamento dei media: il Pentagono prima ha parlato di un "bombardamento serbo" sulla colonna di profughi, poi di una rappresaglia compiuta dagli stessi serbi per vendicare l'attacco subito da una loro colonna un po’ più in là. Il ministro della difesa tedesco Scharping si sbilanciava affermando con sicurezza che la strage era stata fatta da militari serbi e poi messa in scena come opera Nato. Arrivava anche il generale Wesley Clark, comandante in capo delle operazioni, sostenendo che i piloti gli avevano riferito di come i militari serbi "uscirono dai loro automezzi per sparare nel mucchio e colpire il convoglio di profughi". Dopo qualche ora, le prove arrivavano, ma di segno opposto. E usciva un comunicato ufficiale Nato in cui si confermava che "sembra che uno dei nostri aerei abbia lanciato ieri per errore una bomba su un veicolo civile di un convoglio. La Nato si rammarica per il male inflitto ai civili innocenti, e sottolinea che le circostanze nelle quali questo incidente si è verificato ricadono sotto la responsabilità del presidente Milosevic". Il portavoce della Nato, Jeamie Shea, ha detto: "L'incidente non credo che minerà l'opinione pubblica dei paesi della Nato". (fonte: Il Manifesto 16/4/99)

Perché la Nato non ha sospeso i bombardamenti a Pasqua?

La Nato ha dichiarato che "fermare i bombardamenti sarebbe inumano". (Il Manifesto 1/4/99)

Il presidente D'Alema è tra i falchi o le colombe?

In un'intervista il presidente del Consiglio D'Alema ha affermato: "Noi vogliamo che non si lasci nessuna opportunità intentata, nessuna possibilità di riprendere il cammino di una soluzione politica e negoziale. Ma naturalmente occorre da parte del governo di Belgrado una chiara manifestazione di buona volontà, ponendo fine a questa aggressione contro la popolazione civile del Kosovo" (Il Manifesto 6/4/99).

Il giorno dopo il governo di Belgrado ha annunciato una tregua unilaterale per la Pasqua ortodossa. La risposta di D'Alema, giunta tre ore dopo il "no" di Clinton e Blair alla proposta di tregua, è stata: "È insufficiente. È evidente che occorrono ben altre garanzie".

Il presidente del Consiglio D'Alema ritiene efficaci i bombardamenti?

La sua risposta è: "L'effetto dissuasivo lo misureremo nel tempo, ma il generale Clark ha più volte detto che attraverso azione aerea non si ferma la pulizia etnica, che è un'ovvietà, naturalmente. Il punto è che i serbi rinunceranno all'operazione di pulizia etnica, che è un'operazione pianificata, nella misura in cui costerà loro un prezzo insostenibile". (Il Manifesto 6/4/99)

In Parlamento aveva sostenuto: "L'uso della forza per disarmare un aggressore è legittimo quando non esistano nell'immediato altre vie di difesa e di reazione". (Avvenire 27/3/99)

Il presidente del Consiglio D'Alema era d'accordo con un intervento Nato privo di autorizzazione dell'Onu?

Il 16 dicembre 1998 D'Alema ha rilasciato questa intervista a Barbara Spinelli (La Stampa): "Per buona parte degli europei l'uso della forza deve essere autorizzato dal Consiglio di Sicurezza: la Nato non può pensare di esercitare un monopolio mondializzato della forza senza vincolarlo a precise, condivise regole capaci di legittimarne l'uso. Se si vuole applicare una giustizia internazionale, allora bisogna possedere una fermezza adamantina e colpire tutti i colpevoli di trasgressione, di violazione dei diritti umani. Prenda l'esempio del Kosovo, è chiaro che bisogna fare di tutto perché cominci un negoziato fra serbi e indipendentisti albanesi. È chiaro che non serve a nulla demonizzare Milosevic, anche qui è la selettività delle punizioni che mi fa specie. Non vedo come mai Milosevic sia condannabile mentre i governanti turchi no, vista la maniera analoga in cui avviene la repressione delle minoranze etniche. Non vedo perché essere indulgenti verso i guerriglieri indipendentisti del Kosovo e massimamente intransigenti verso il terrorismo del Pkk curdo".

Il presidente del Consiglio D'Alema immaginava le conseguenze di questa guerra?

Molto prima dell'attacco Nato D'Alema aveva dichiarato al Corriere della Sera del 7/2/99: "Nel Kosovo una azione militare tipo Iraq potrebbe innescare una nuova guerra civile balcanica ... nel caso del Kosovo la situazione potrebbe degenerare, potrebbe voler dire migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi".

– L’INUTILITÀ DEI BOMBARDAMENTI –

Vi sono dubbi tra i militari sull'efficacia dei bombardamenti?

"I raid jugoslavi sono serviti solo a unificare i serbi, rafforzando Milosevic e offendendo la Russia. Tenerla fuori è stato un errore imperdonabile", ha affermato il generale Charles Horner, generale americano alla testa dell'offensiva aerea nella Desert Storm (fonte: Corriere della Sera, 7/4/99).

L'ex contrammiraglio della Sesta Flotta Usa, Eugene Carrol, ha dichiarato: "Nessuno sta vincendo nè può vincere in Serbia. Tutti perdono, la Nato, la Serbia e, soprattutto, gli albanesi del Kosovo, vittime della guerra. Non vi è mai stata alcuna possibilità di soluzione militare della situazione del Kosovo. Eppure la Nato ha lanciato una disastrosa campagna di guerra aerea, destinata al fallimento. Quando la violenza infine terminerà per mezzo di negoziati, sia la leadership statunitense che il ruolo della Nato nella sicurezza europea ne usciranno diminuiti" (fonte: Il Manifesto 7/4/99).

L'azione della Nato rientra nel concetto di "disarmare l'aggressore" e nei principi di ingerenza umanitaria in difesa del diritto alla vita?

Dice l'intellettuale americano Noam Chomsky: "Quello che i leader serbi hanno fatto negli ultimi dieci anni è imperdonabile e la condanna deve essere totale e senza equivoci. Tuttavia il comportamento di Washington indebolisce il concetto di interferenza umanitaria, invece di metterlo in pratica". (Avvenire 28/3/99) Secondo il presidente dei vescovi degli Stati Uniti Joseph Anthony Fiorenza "per chiunque si tratta di un dilemma molto complesso. Tuttavia i bombardamenti in corso mi sembrano un'iniziativa ingiustificata, poiché non sappiamo quanti morti e feriti stiano causando tra civili innocenti. I vescovi esprimono serie riserve sulla giustificazione di questa guerra." (Avvenire 28/3/99)

L'attacco Nato protegge i civili in Kossovo?

L'attacco Nato, annunciato per tutelare i civili del Kossovo e proteggerli da nuovi massacri, sembra aver provocato l'effetto opposto: "Stanno accadendo cose tremende in Kosovo", ha detto il portavoce delle Nazioni Unite Jamie Shea, smentendo l'ottimismo del presidente del Consiglio Massimo D'Alema che affermava "L'azione militare della Nato ha indotto, pare, i serbi a sospendere l'offensiva contro i civili in Kosovo" (Corriere della Sera 26/3/99) chiedendo la riapertura delle trattative. Lo stesso D'Alema ha poi cambiato opinione due giorni dopo dicendo che le trattative non si potevano riaprire perché "i massacri dei civili inermi sono intollerabili" e ponendo come condizione per la riapertura delle trattative il ritiro delle "truppe speciali serbe" (Corriere della Sera 28/3/98). Questo in sintonia con Clinton che ha dichiarato: "Le truppe serbe hanno continuato i loro attacchi contro uomini disarmati, donne e bambini" (Avvenire 28/3/99) presentando ciò non come il fallimento degli obiettivi umanitari dell'azione militare a protezione dei civili ma come la ragione della prosecuzione dei bombardamenti. Tentando un paragone, questo attacco Nato appare risultare di "protezione" verso i civili come può esserlo un assalto della polizia ad un gruppo di rapinatori asserragliati in banca che si facciano scudo di ostaggi indifesi. Ne usciranno vivi gli ostaggi? Saranno uccisi dai rapinatori? O dai proiettili sparati dalla polizia? Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, osserva: "Ciò che sconvolge è pensare che questa guerra è stata progettata per difendere gli abitanti del Kosovo, e che proprio questi ne sono le vere vittime, per i bombardamenti a cui sono esposti e per il rincrudire della repressione. Verrebbe da chiedersi: perché questa guerra? Chi l'ha voluta? Se era per difendere i kosovari dall'oppressione serba, abbiamo ottenuto proprio il contrario". (L'Unità 31/3/99) La "Campagna Kossovo" afferma: "Nella guerra moderna si sta verificando che la vera vittima rimane sempre e solo la popolazione civile di qualsiasi gruppo etnico sia. Nella situazione specifica i missili e le bombe uccidono sia le vittime che i carnefici, tanto più che questi ultimi usano le prime come scudi umani per difendersi dai bombardamenti della Nato" (documento 27/3/99).

Cosa pensa Amnesty International dei bombardamenti Nato?

"Siamo contrari a qualsiasi azione che non salvaguardi i civili - sostiene il presidente italiano Daniele Scaglione - e un bombardamento non ha ragione di essere senza garanzie per i civili" (Liberazione 24/3/99).

Quale probabilità ha un pilota Nato di uccidere i profughi anziché difenderli?

Questo è il dialogo tra un pilota Nato e il suo aereo guida, un Awacs, relativo all'attacco aereo della Nato che ha provocato una strage di profughi albanesi a Djakovica.

Pilota: "Mi trovo a 3000 piedi, sotto c'è una colonna di automobili, alcuni trattori. Che cos'è? Chiedo istruzioni".

Awacs: "Ma quali civili, diamine, si tratta di un imbroglio serbo. Distruggi l'obiettivo".

Pilota: "Che devo distruggere? Trattori, automobili? Ripeto, non vedo carri armati. Chiedo istruzioni supplementari".

Awacs: "È un obiettivo militare, un obiettivo militare legittimo". Distruggi l'obiettivo. Ripeto: distruggi l'obiettivo".

Pilota: "Ricevuto. Sto lanciando".

Questo colloquio è stato trasmesso dalla TV serba "Studio B". La Nato lo ha definito un falso. Se fosse vero esso rivelerebbe il ruolo dei russi in Adriatico con la loro nave-spia.

Comunque stiano le cose la strage è avvenuta e si è ripetuta in altre occasioni, ora a danni di civili servi ora a danni di civili albanesi, e tutto questo rivela quanto sia arduo definire il bombardamento Nato come un'azione "umanitaria", sia per il suo alto margine di errore, sia per la conseguente violazione dello spirito umanitario su cui si basa la Convenzione di Ginevra, scritta a difesa della vita dei civili in guerra.

Sulla base del regolamento militare italiano un pilota è tenuto a non obbedire a un ordine che costituisca reato (la violazione della Convenzione di Ginevra è reato).

È possibile che un militare della Nato si possa dichiarare "obiettore di coscienza" in questo conflitto?

"Un soldato americano dovrebbe esaminare molto attentamente la propria coscienza per valutare se si sente di partecipare o meno a questa guerra. E se non la ritiene giustificata dovrebbe mettere al corrente i propri superiori delle sue riserve morali", ha dichiarato il presidente dei vescovi degli Stati Uniti Joseph Anthony Fiorenza (Avvenire 28/3/99)

La rete telematica PeaceLink rende disponibile sul proprio sito un modulo di "indisponibilità alla guerra" per i militari di professione italiani, realizzato con la consulenza di un esperto di diritto; questo modulo, se firmato e consegnato nel momento opportuno, proteggerebbe il militare nel caso in cui venisse destinato ad azioni di terra, particolarmente rischiose, in contrasto con i principi costituzionali e della coscienza individuale. Le conseguenze, per il militare di professione che firmasse e consegnasse questo modulo, non sarebbero nè il carcere nè il licenziamento ma, forse, unicamente un provvedimento disciplinare.

– LA GUERRA E L’ECONOMIA –

Quale impatto avrà sull'Italia e sull'Europa questa guerra?

Il ministro Carlo Azelio Ciampi ha sostenuto che "è troppo presto" per valutare l'impatto economico del conflitto nei Balcani sull'economia europea. Tuttavia ha spiegato che il problema "aggiunge un ulteriore elemento di incertezza e di preoccupazione" e che non c'è dubbio anche "che l'Italia e la Grecia sono i paesi più colpiti". Il piano di ricostruzione del Kosovo sarà finanziato non dagli Stati Uniti ma dall'Unione Europea, come previsto nel vertice dei Ministri europei di Dresda del 17 aprile. Il ministro delle finanze tedesco Hans Eichel ha dichiarato: "Il piano comporterà spese enormi per l'Unione Europea. Nessuno al momento può dire quanto costerà, certo è però che nessuno deve sottovalutare l'impegno che esso richiede" (fonte: Avvenire 18/4/99).

La guerra in Europa può essere interpretata come una vendetta del dollaro sull'euro?

"Nel primo trimestre '99 - documenta Giovanni Palladino sul Corriere della Sera - le emissioni obbligazionarie dell'euromercato hanno visto per la prima volta superare quelle in dollari: 181,3 miliardi contro 180,9 miliardi (in dollari). Il successo delle emissioni in euro è sorprendente. Il disavanzo della bilancia dei pagamenti Usa si aggraverà. Ora il vero incubo dello zio Sam è quello che un creditore straniero possa chiedere di essere pagato in euro anziché in dollari " (Corriere della Sera 19/4/99) Vi è pertanto un'innegabile braccio di ferro fra dollaro ed euro; esiste anche una guerra di spionaggio che vede impegnata la Cia nell'intercettare con la sua rete di satelliti spia le conversazioni dei vertici europei, come documenta il Corriere della Sera del 16/4/99 ("Spie sul mercato: il Commercio Usa combatte l'Europa con l'intelligence"). L'attuale congiuntura - condizionata dalla guerra - vede il dollaro impegnato a riguadagnare terreno sull'euro. Il vero interrogativo è ora: chi pagherà più pesantemente (oltre a serbi e kosovari) i costi della guerra e chi, in termini di minori perdite e di minori costi, ne uscità vincitore?

Ma questa guerra in che condizioni trova l'economia italiana?

Il Fondo Monetario Internazionale ha già detto per ora la sua: "L'economia italiana è anemica". Una contrazione dei consumi in questa fase di guerra potrebbe andarsi ad aggiungere alla scarsa domanda interna: "In Italia - spiega il World Economic Outlook del FMI - i consumatori sanno già che prima o poi si interverrà ancora sulle pensioni e anche per questo vediamo molta prudenza sul fronte dei consumi interni" (Avvenire 18/4/99).

Alcuni pacifisti della coop.Owen di S.Giorgio Jonico stanno ipotizzando di organizzare uno sciopero dei consumi come forma di pressione e di protesta. A dare riscontro al clima di incertezza in cui si svolge la guerra va annotato quanto segue. "Dall'inizio della guerra le famiglie italiane hanno speso 8.000 miliardi in meno rispetto allo stesso periodo nello scorso anno. Lo dice uno studio della Confesercenti secondo cui l'intero settore del commercio ha registrato in media una contrazione dell'8%. Se la guerra dovesse continuare per altri 3 o 4 mesi il costo per la Nato sarebbe di circa 21 miliardi di dollari (38 mila miliardi di lire) pari allo 0,1% del PIL dei 19 paesi della Nato. Lo dice uno studio della BNL. La "quota" italiana sarebbe 730 miliardi". (Fonte: Televideo 22/4/99 p.161).

"Il govenatore della Banca d'Italia Fazio è preoccupato per le conseguenze della guerra sull'economia italiana. Che peso avrà il conflitto sull'andamento del PIL (Prodotto Interno Lordo)? "Non sono in grado di fare questo calcolo - dice Fazio - ma certo il segno non sarà positivo". Più dura la guerra e peggio sarà per l'economia? "È una conseguenza logica", risponde Fazio. (Fonte: Televideo 21/4/99 p.165)

Sergio Billè, presidente della Confcommercio intervistato da La Stampa (4/5/99), ha detto, in risposta alla specifica domanda sui contraccolpi della guerra sui consumi che "la situazione venutasi a delineare nelle ultime settimane ha indubbiamente aggravato il quadro di riferimento già allarmante. È prevedibile che il permanere della crisi in un'area molto vicina all'Italia tenderà a peggiorare il clima di fiducia delle famiglie e delle imprese con conseguenze decisamente negative. Inoltre il prolungamento del conflitto potrebbe avere effetti negativi sulla stagione turistica delle regioni adriatiche, determinando una riduzione del fatturato di un settore vitale dell'economia del nostro Paese, stimabile in 4/5 mila miliardi".

La Repubblica del 23/4/99 riporta invece un quadro panoramico di tutti i settori penalizzati dalla guerra, quantificando le perdite. Cesare Romiti, uomo di riferimento del capitalismo italiano, non è entusiasta per la guerra e dice: "Le guerre costano, anche se fatichiamo a rendercene conto. E le ripercussioni sull'economia possono essere gravi" (Famiglia Cristiana 17/99).

Come mai gli effetti economici della guerra sono negativi in Italia e positivi negli Usa?

"La guerra regala euforia alla Borsa americana", titola Famiglia Cristiana, che spiega: "C'è fermento a Wall Street. Gli affari dei mercanti di armi (e di morte) stanno andando a gonfie vele. La prospettiva di un prolungamento dei bombardamenti e dell'eventuale invasione delle truppe di terra, ha rianimato il listino". Colossi della guerra come Lockeed Martin, General Dynamics o Boeing stanno vedendo crescere i loro titoli azionari, fine a punte del 14% (Boeing). E nei loro supermarket, gli americani potranno comprare, assieme a calzini e tute da ginnastica, anche fucili a 230 dollari, meno di mezzo milione di lire italiane. (Fonte: Famiglia Cristiana 17/99)

– L'IMPATTO AMBIENTALE –

Quali sono state le emergenze ambientali scatenate dai bombardamenti?

Il 19 Aprile le bombe della Nato hanno colpito il triangolo petrolchimico del sobborgo industriale di Belgrado. Per la seconda volta in tre giorni a Pancevo scatta l’allarme chimico, e in mancanza di maschere antigas la popolazione civile è stata allertata a chiudere bene le finestre e a tamponarsi occhi, naso e bocca con fazzoletti imbevuti di acqua e bicarbonato. I missili sono piovuti sopra la raffineria Nis, la più grande dell’intera Jugoslavia, la fabbrica di fertilizzanti Azotara e la Petrohemija, impianto di lavorazione di derivati del petrolio. Le sostanze tossiche disperse nell’ambiente comprendono diossina, benzofurani e fosgene, sostanze che impregnano la terra e le acque resistendo per anni. "Ora quei fumi venefici veleggiano verso stati vicini, mentre sul Danubio navigano chiazze di petrolio e invisibili tonnellate di sostanze chimiche finite in acqua, dicono, in conseguenza dei raid aerei. Macedonia, Romania, Grecia e persino l’Austria sarebbero i paesi più a rischio" (Marina Mastroluca - L’Unità 19/4/99) In un comunicato stampa del 20/4/99 l’associazione ambientalista Greenpeace rilascia un comunicato stampa in cui di definisce "un disastro" il bombardamento sulle industrie petrolchimiche. Fabrizio Fabbri di Greenpeace porta come esempio il fosgene stoccato a Porto Marghera. "Secondo i piani di sicurezza elaborati in caso di esplosione - dice - il rischio di morte è compreso nel raggio di 4 chilometri e l' evacuazione è prevista entro gli 8 chilometri dal punto dell' incidente. E a Marghera le quantità di fosgene non sono rilevanti". Gli attacchi alle industrie di Pancevo, dove ci sono i pericolosissimi PCB (policlorobifenili), dopo aver provocato una nube tossica che ha appestato migliaia di case nelle periferie di Belgrado, hanno anche convinto i responsabili delle industrie a rilasciare tonnellate di etilene diclorico nel Danubio per evitarne l'incendio, con danni incalcolabili all'ecosistema fluviale. Da non dimenticare che tali bombardamenti, in quanto diretti contro impianti chimici, violano la convenzione di Berna del 1977 (ratificata in Italia nel 1985), oltre a essere particolarmente pericolosi per la facilità di diffusione aerea dei PCB, secondo quanto afferma il prof.M.Vighi dell’ Università di.Firenze. Anche per questo tipo di danni ambientali i costi di bonifica sono altissimi: per bonificare un territorio inquinato dallíesplosione di una fabbrica chimica di media grandezza si possono spendere anche 5miliardi, mentre per una raffineria (come quelle colpite dai caccia NATO a NoviSad) si parte in media dai 50 miliardi. Per decontaminare un terreno sperficiale ci vogliono 6-8 mesi di lavoro, per una falda acquifera dai 5anni ai 10-15.

Le conseguenze ambientali dei bombardamenti coinvolgeranno anche altri Paesi d’Europa?

Il 24 aprile 1999, Mikhail Gorbaciov, Alexander Likhotal e Bertrand Charrier, rispettivamente. Presidente, vicepresidente e dirigente della Croce Verde Internazionale hanno diffuso un comunicato sull’emergenza ambientale scatenata dai bombardamenti, di cui riportiamo un estratto: "Esistono gli elementi per affermare che l' ondata di inquinamento trascenderà i confini yugoslavi, ed inizierà a far sentire i suoi effetti in altri paesi europei. Potrebbe altresì aggravare le già tragiche condizioni in cui versano i rifugiati negli stati confinanti. L' acuirsi dell' inquinamento atmosferico rappresenta un pericolo immediato. L' immissione nell' aria di sostanze e particelle tossiche e cancerogene potrebbe pregiudicare seriamente la salute di molte persone. Alcune relazioni scientifiche attestano il diffondersi di un grave inquinamento atmosferico in altri stati. È altresì possibile uno spostamento a lungo raggio di ceneri e benzopirene al di là dei confini della Yugoslavia verso numerosi altri paesi, tra cui Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Polonia, Lituania, Bielorussia, Ucraina e Moldavia. Parimenti allarmante è da considerarsi l' elevata emissione di zolfo ed ossido di azoto, in grado di provocare piogge acide altamente dannose per l' agricoltura e il patrimonio boschivo della regione. Nel medio e lungo periodo, il grave inquinamento dell' acqua piovana rappresenterebbe un forte pericolo. La contaminazione dei fiumi potrebber avere conseguenze negative sulla qualità dell' acqua potabile, nonché arrecare gravi danni all' ecosistema delle acque dolci. Non è da escludere l' inquinamento del fiume Danubio oltre i confini yugoslavi. Gli esperti esprimono preoccupazione anche per le eventuali conseguenze a lungo termine del dissesto ecologico provocato dalle ostilità in Yugoslavia. Tra le ipotesi peggiori si colloca l' inquinamento delle risorse idriche sotterranee, di cui la regione è ricca. Tali risorse, collocate a diversi livelli di profondità, potrebbero farsi veicolo dell' inquinamento da petrolio e derivati, carburante ed agenti chimici in direzione di altri paesi."

– LE BOMBE A GRAPPOLO –

Cosa sono le bombe a grappolo?

Le bombe a grappolo, dette anche bombe a frammentazione o "cluster bombs", sono degli ordigni esplosivi equiparati alle mine antiuomo. Ogni bomba a grappolo contiene numerose "minibombe" che possono rimanere inesplose al suolo. Gli ordigni presenti all'interno delle bombe a frammentazione presentano un'alta percentuale di malfunzionamenti e possono lasciare residuati inesplosi su territori di grandi dimensioni, pronti ad esplodere al contatto. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno confermato l’utilizzo delle bombe a grappolo in Jugoslavia, secondo quanto afferma l’osservatorio internazionale "Human Rights Watch" (www.hrw.org) Gli aerei americani F-15E ed F-16 hanno sganciato le bombe CBU-87, e gli aerei inglesi British Harrier GR7s hanno iniziato a sganciare le bombe a grappolo RBL755 a partire dal 6 aprile 1999. Le bombe CBU-87 e RBL755 sono armi antipersona/antiarmamento che diffondono munizioni incendiarie ed esplosive che esplodono al contatto. Le CBU-87 contengono 202 elementi esplosivi che cadendo al suolo arrivano ad estendersi su un’area pari a quella di un campo da calcio. Le RBL755 erogano 147 elementi esplosivi. Le bombe a grappolo sono utilizzate per bersagli "leggeri", come truppe o veicoli, oppure per bersagli fissi non protetti come infrastrutture per la comunicazione. (Fonte: Human Rights Watch)

Le bombe a grappolo sono proibite?

La convenzione di Ottawa sulle mine antipersona (alla quale gli Stati Uniti non hanno aderito) proibisce l’utilizzo di bombe a grappolo, che per la loro natura si trasformano in mine antiuomo quando non esplodono. In un comunicato dell’11/5/1999, Joost Hiltermann, direttore della Divisione Armi di Human Rights Watch ha affermato che: "Gli ordigni inesplosi che rimangono all'interno delle bombe a frammentazione si trasformano di fatto in mine terrestri, e proprio come le mine antiuomo, uccidono i civili anche a distanza di anni dalla fine del conflitto. La Nato deve cessare immediatamente di utilizzarle. L'aspetto stesso degli ordigni (le minibombe dei CBU-87 e degli RBL755 sono oggetti della dimensione di una lattina di colore arancione acceso/giallo, mentre le minibombe degli ATACMS sono sfere della dimensione di una palla da baseball e di colore acceso) fa sì che i bambini in particolare vengano attratti da questi residuati ancora attivi. Un recente raid Nato sull'aeroporto di Nis ha sbagliato obiettivo colpendo un complesso ospedaliero e altre zone residenziali nelle vicinanze. Il 24 aprile, nei pressi di Doganovic nel Kosovo meridionale, sono rimasti uccisi cinque bambini che giocavano con ordigni colorati inesplosi e due altri sono rimasti feriti".

Quali sono le conseguenze dell’utilizzo delle bombe a grappolo su un territorio che si vorrebbe proteggere?

Nel breve periodo, gli ordigni attivi rappresentano un pericolo per i civili e per i rifugiati impedendone il movimento. Nel lungo periodo bloccano l'agricoltura e la ripresa economica. L'uso diffuso di bombe a frammentazione può inoltre rappresentare un serio pericolo per le attività di forze terrestri pacifiche, comprese le forze di pace, come è avvenuto nel caso delle forze internazionali per la Guerra del Golfo nel 1991. "Si stima che le bombe a frammentazione comportino una percentuale di malfunzionamenti meccanici e delle spolette pari al 5%. Per l'operazione Allied Force nella Repubblica federale di Yugoslavia, in base ai dati storici e alle sperimentazioni effettuate, è possibile indicare che per ogni singola bomba CBU-87 utilizzata, rimarranno in media dieci minibombe inesplose, mentre per le RBL755 la media degli ordigni inesplosi sarà di 5 minibombe. (Fonte: Human Rights Watch – www.hrw.org) "L'insistenza degli Stati Uniti sulle bombe a grappolo, costruite per uccidere o menomare esseri umani, è condannata quasi universalmente e getta discredito sul nostro Paese (come lo getta il nostro rifiuto di appoggiare la messa al bando delle mine). Anche per l'unica superpotenza del mondo, i fini non sempre giustificano i mezzi." (Fonte: Jimmy Carter, su "La Stampa" del 28 maggio 1999)

– L’URANIO IMPOVERITO –

Che cos’è l’Uranio Impoverito (Depleted Uranium)?

"’Uranio Impoverito, o U-238, è lo scarto che rimane dopo il processo di arricchimento dell’uranio naturale, che permette di otterere uranio U-238 fissile, utilizzato per scopi militari (armi e sottomarini nucleari) o civili (centrali nucleari, aviazione). È il metallo più denso, più pesante. Lanciato ad una velocità di 1200 metri/secondo (Mach 5), perfora la blindatura dei carri armati e può trapassare una lastra di cemento a tre metri sotto terra. È dunque molto più efficace del tungsteno, utilizzato prima della Guerra del Golfo. Inoltre, al contrario del tungsteno, che viene importato, non costa niente (è, letteralmente, lo scarto dell’industria nucleare), e il suo utilizzo a scopo militare permette di risolvere, in parte, l’immenso problema dello stoccaggio dei rifiuti nucleari – nel 1991, la spesa federale americana prevedeva, per i prossimi dieci anni, l’acquisto di 130mila tonnellate di uranio impoverito per ‘le riserve nazionali di difesa’ (quantitativo poi aumentato) (…) Utilizzato negli armamenti, l’uranio impoverito, esplodendo contro il bersaglio, libera delle particelle radioattive e delle polveri tossico-chimiche del tipo dei metalli pesanti. È altamente piroforico e produce vapori che si infiammano a temperature elevate". (Fonte: Christine Abdelkrim-Delanne, "Quelle armi così poco convenzionali", Le Monde diplomatique giugno 1999). Le sostanze radioattive contenute nelle armi ad uranio impoverito rimangono "attive per 4 miliardi e mezzo di anni, se aspirate o ingerite possono causare gravi malattie agli organi interni, provocare tumori o danni genetici", spiega Anna Desimio su Guerre&Pace (marzo 1999) che aggiunge: "Il Depleted Uranium ha conseguenze a lungo termine: le particelle tossiche prodotte dalla combustione del proiettile possono essere trasportate dal vento a centinaia di chilometri di distanza prima di depositarsi sul terreno ed entrare nella catena alimentare o inquinare la falda acquifera". Gli USA possiedono circa 560,000 tonnellate di uranio esaurito sotto forma di esafluoruro (UF6) attualmente stoccate in cilindri nei tre impianti di diffusione gassosa di Paducah, Kentucky; Portsmouth, Ohio e Oak Ridge, Tennessee. (Questo non è probabilmente l'inventario completo.)

Chi possiede i proiettili all'uranio impoverito?

Questi proiettili sono in dotazione agli aerei A-10 Thunderbolt americani e ai Tornado inglesi. Anche i francesi dispongono di simili proiettili. Il cannone da 30mm GAU-8/A Gatling del Thunderbolt può sparare 3.900 colpi al minuto. L’utilizzo degli A-10 per i bombardamenti sulla Jugoslavia è stato annunciato dalla Nato il 30 marzo ‘99. Già prima della guerra il parlamentare Domenico Gallo aveva presentato un'apposita interrogazione (senza ricevere risposta) all'allora ministro della Difesa, il generale Corcione, per avere una conferma dell’utilizzo di armi all’uranio da parte delle forze armate italiane. Dopo vari giorni di bombardamenti sulla Repubblica Federale Jugoslava, il ministro della difesa Carlo Scognamiglio ha dichiarato pubblicamente durante una seduta in parlamento di non sapere se l’Italia stesse bombardando la Repubblica Federale Jugoslava con proiettili all’uranio, e che avrebbe provveduto ad informarsi. Il 17 maggio ’99 l’ANSA riporta una dichiarazione del portavoce militare della Nato a Bruxelles, il generale Giuseppe Marani. Marani afferma che "proiettili anticarro con uranio esaurito sono usati dai piloti alleati contro le forze serbe in Kosovo", assicurando che questi proiettili "non comportano alcun rischio" e che il loro livello di radioattivita "non è superiore a quello di un orologio".

Quali sono le conseguenze dell’esposizione all’uranio impoverito?

Il prof.Siegwart-Horst Gunther, presidente della Croce Gialla Internazionale e membro onorario dell'Accademia polacca di Scienze, dopo aver indagato sui proiettili Depleted Uranium usati in Iraq nell’operazione "Desert Storm", è scampato a un'attentato; in Germania è stato arrestato e maltrattato, dopo che la polizia gli aveva sequestrato bossoli radioattivi portati ad analizzare. "Negli ultimi cinque anni - spiega lo scienziato - ho potuto condurre in Iraq moltissimi esami. Ho riscontrato, soprattutto nei bambini: crollo del sistema immunitario, sintomi simili all'aids, disfunzioni a reni e fegato, leucemia, gravi forme di anemia o cancro maligno, malformazioni genetiche, aborti o parti prematuri". Nell’interrogazione parlamentare presentata il 16/4/1999 al Senato, il Senatore Stefano Semenzato illustra il funzionamento dei proiettili all’uranio: "dopo aver colpito il bersaglio il proiettile rilascia nell'aria l'ossido di uranio che è altamente tossico per l'uomo e inquinante se disperso nell'ambiente. L'effetto delle radiazioni è di due tipi: irraggiamento e contaminazione. L'irraggiamento avviene quando si è esposti al bombardamento di particelle radioattive, mentre la contaminazione può avvenire tramite la manipolazione, l'inalazione o l'ingestione di materiale radioattivo. Da studi delle forze armate americane risulta che quando un veicolo è colpito da un proiettile contenente uranio esausto l'effetto maggiore si ha nel raggio di circa 5/7 metri dal veicolo. Tuttavia se questo tipo di proiettile viene sparato da un aereo il raggio può essere superiore a 25 miglia (42 km). Il tempo di dimezzamento è di circa 4,5 miliardi di anni, questo tipo di arma è in realtà una arma a lunga durata i cui effetti non si conoscono ancora"

I proiettili all'uranio possono causare il cancro?

Un rapporto segreto dell'Agenzia atomica inglese (rivelato nel novembre '91 dal giornale "The Independent") calcolava che nella guerra del Golfo erano stati utilizzati 14.000 proiettili all'uranio impoverito che nel lungo periodo sarebbe stato responsabile della morte di 500 mila persone. Ma Greenpeace, attingendo a dati più recenti grazie al Freedom of Information Act, è arrivata a documentare un totale di 940.000 munizioni per un totale di 300 tonnellate di uranio impoverito sparate da Usa e Gran Bretagna nella Desert Storm. Solo una settimana dopo la fine della ostilità i soldati alleati sono stati avvertiti degli effetti dei proiettili all'uranio e dei pericoli connessi al loro uso in battaglia; ora accusano i sintomi della cosiddetta "sindrome del Golfo". (Fonti: Guerre&Pace, marzo 1999; The Independent 16/10/98 "The evidence is there. We caused cancer in the Gulf" ossia "Ci sono le prove. Noi causammo il cancro nel Golfo", articolo di Robert Fisk). Sara Flounders, una delle responsabili del Centro d’azione internazionale (International Action Center) creato dall’ex ministro della giustizia americano, Ramsey Clark, impegnato contro la guerra del Golfo e a favore della sospensione dell’embargo all’Iraq, dichiara che l’Organizzazione dei veterani ha condotto uno studio su 2.251 famiglie di veterani nel Mississippi. Di queste, dopo la guerra [del Golfo, Ndr] il 67% ha avuto bambini che presentavano gravi malformazioni. (Fonte: Sara Flounders, Ramsey Clark, "Metal of Disonhour … Depleted Uranium", International Action Center, New York, 1998)

Esistono dei limiti all’utilizzo dell’uranio impoverito?

Il 4/5/1999 Mauro Paissan, il capogruppo dei verdi alla Camera, ha presentato una interpellanza parlamentare relativa alla questione dell’uranio impoverito. In quella occasione il sottosegretario alla difesa Massimo Brutti ha risposto che "sulla questione che stiamo esaminando, non esistono oggi disposizioni restrittive. Occorre, infatti, sottolineare che, al momento attuale, né i carri né i proiettili per i quali si utilizza l'uranio impoverito, risultano previsti o segnalati in alcuna delle convenzioni internazionali esistenti in materia di limitazioni degli armamenti o che prevedono l'esclusione di determinate tipologie di armi. L'impiego di questo materiale non è, dunque, vietato né sottoposto a particolari controlli o limiti rilevanti per il diritto internazionale. Esiste, tuttavia, una discussione seria di portata internazionale circa i rischi derivanti dall'uso dell'uranio impoverito nel campo militare. (…)Finora non abbiamo conclusioni sicure ed inequivoche sulla portata dei rischi."

I militari riconoscono la pericolosità dei proiettili all’uranio impoverito?

Un manuale di addestramento sulle munizioni DU (Depleted Uranium) dell'US Army Chemical School, dal titolo "Development of Depleted Uranium Training Support Packages: Tier I - General Audience Final Lesson Plan", completato nell'ottobre 1995 dice che: "È molto probabile che venga contaminato chi respira senza protezione quando munizioni DU colpiscono e penetrano il suo tank AHA M1 e il DU si sparge sotto forma di aerosol nella torretta. Egli inalerà grandi quantità di polvere di uranio. Poi viene chi si trova in un tank AHA M1 colpito e penetrato da munizioni non-DU. Il DU nella corazza si aerosolizzerà nella torretta. Possono essere contaminate anche persone dell'equipaggio dei Bradley colpiti da munizioni DU. Infine vengono gli individui che si muovono in, su o nelle vicinanze dei veicolo dopo uno di questi incidenti. I soldati coinvolti in questi incidenti dovrebbero essere considerati contaminati. Altro personale che potrebbe essere contaminato da polvere di uranio comprende il personale di soccorso, quello medico, i gruppi di recupero e il personale che inali polvere di DU trasportata dal fumo proveniente da veicoli contaminati. Il personale all'interno di bunkers o di edifici colpiti da munizioni DU e coloro che entrino in contatto successivamente con queste aree potrebbero ingerire o inalare polvere di uranio. Parte della polvere creata durante l'impatto di una munizione DU diviene aeriforme e si sparge nell'area attorno al veicolo colpito. L'Army DU training manual del 1995 avverte i soldati: Potreste nrespirare o ingerire particelle di uranio esaurito sospese nell'aria. Esse possono posarsi su una superficie e rimanervi. Esse possono posarsi du una superficie, come la vostra mano, e potreste respirarle o ingerirle. Potrebbero posarsi su una ferita aperta. Anche dopo che queste particelle si siano depositate, "veicoli o personale possono spostare nuovamente le particelle depositate muovendosi nell'area contaminata. Le particelle possono spostarsi per brevi distanze. Esse possono essere inalate o ingerite."

È vero che l’azione inquinante dell’uranio impoverito può estendersi anche a grande distanza?

L'uranio impoverito ossidato formato da un impatto o da un incendio può facilmente diventare aeriforme. Queste particelle di polvere di uranio possono essere trasportate dal vento per miglia prima di ricadere al suolo. La capacità della polvere di uranio di attraversare grandi distanze è stata documentata nel 1979, quando si è scoperto che un totale di sedici filtri dell'aria in tre differenti siti del Knolls Atomic Power Laboratory (KAPL) a Schenectady, (stato di New York) contenevano polvere di uranio esaurito. La fonte delle particelle è stata individuata nell'impianto delle National Lead Industries a Colonie, NY, che produceva pallottole all'uranio esaurito da 30mm e contrappesi a uranio impoverito per l'aeronautica. Tre dei sedici filtri dell'aria che contenenvano particelle di uranio impoverito si trovavano a 26 miglia dall'impianto. Senza relazione con la scoperta dell’uranio nei filtri dell'aria al KAPL, nel febbraio 1980 una corte dello stato di New York ha ordinato alla National Lead di cessare la produzione delle munizioni all’uranio impoverito perchè l’impianto superava regolarmente il limite legale di radioattività in emissioni gassose di 150 microcurie al mese. I 150 microcurie corrispondono a un rilascio mensile di 385 grammi di polvere di uranio. Per confronto, l'ammontare di uranio esaurito rilasciato nel gennaio e febbraio 1991 in Kuwait, Arabia Saudita, e Iraq superava di 700.000 volte quello emesso dall'impianto della National Lead. L'impianto chiuse nel 1983 e sta ora venendo decontaminato e smantellato.

 

– I COSTI DELLA GUERRA –

Quali sono state le spese militari che i paesi della Nato hanno sovuto sostenere per l’azione contro la Repubblica Federale Jugoslava?

"Secondo uno studio del centro studi della BNL, che si basa su uno studio della Lehman Brothers (una banca d'investimenti), l'impegno militare per la guerra aerea contro la Serbia potrebbe costare all'Italia, come quota/paese membro della Nato (totale diviso tra i paesi membri in base al PIL) almeno 730 miliardi di lire fino a giugno. Questo nell'ambito di un costo complessivo per l'alleanza stimato attorno agli 11.000 miliardi così (approssimativamente) calcolati:

30 missili Cruise lanciati al giorno per 1 mln di $ l'uno, per 90 giorni fanno 2,1 mld di $.

150 missioni aeree al giorno per 100.000 $ per ogni bomba o missile lanciato, per 90 giorni fanno 1,35 mld $.

30.000 militari impiegati per 2,4 mld $.

20/30 aerei NATO persi per 35 mln di $ l'uno - dai 700 milioni di $ a 1,05 miliardi". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7). Poiché nello studio citato i costi sono stati calcolati prevedendo 90 giorni di bombardamenti, bisogna tenere in conto la durata effettiva dell’azione militare (78 giorni), e quindi queste cifre vanno moltiplicate per un fattore correttivo pari a 78:90 = 0.87. Vanno aggiunte inoltre le spese per gli aiuti umanitari ai profughi. "L'Unione Europea calcola che ogni profugo costi 6 $ al giorno di aiuti umanitari d'emergenza. Ovvero per 1 milione di profughi, 6 milioni di $ al giorno, per 3 mesi fanno 540 milioni di $, in lire fanno 970 miliardi di lire". (stessa fonte). Anche in questo caso il calcolo finale dei costi per le operazioni umanitarie dovrà tener conto del periodo effettivo in cui viene prestata l’assistenza ai profughi, che presumibilmente andrà ben oltre i tre mesi preventivati dall’Unione Europea.

Quali sono stati i costi calcolati per le prime tre settimane di bombardamenti?

"Secondo "Newsweek", le prime tre settimane di guerra sono costate tra i 18 e i 27 milioni di dollari al giorno: da 378 a 567 milioni di dollari, cioè tra i 680 miliardi di lire e i 1.020 miliardi di lire". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

Qual è la spesa militare aggiuntiva che il nostro Paese ha sostenuto oltre alle spese per l’azione armata nei balcani?

"I costi della guerra si sommano ai bilanci militari del tempo di pace. L'Italia nel 1999 ha previsto 30.000 miliardi di spesa per il ministero della Difesa, ma i calcoli di fonte Nato valutano la spesa militare italiana in 38.000 miliardi. Il trucco è che molte spese sono nascoste nei bilanci di altri ministeri. Il più grosso acquisto di armi del nostro paese, 20.000 miliardi per comprare 130 aerei Eurofighter di coproduzione europea, figura nel bilancio del ministero dell'Industria, che quest'anno dedica quasi 1000 miliardi di lire all'acquisto di questi velivoli. La maggior parte delle operazioni militari internazionali del nostro paese sono finanziate da fondi di altri ministeri, come quello degli Esteri e una parte delle spese delle varie missioni in Albania - inclusa questa - sono finanziate attraverso i fondi dell'8 per mille del gettito delle imposte dirette destinato dai contribuenti "a scopi sociali o umanitari". Circa 10.000 miliardi del bilancio della Difesa sono destinati al personale delle forze armate, che si sta gradualmente trasformando in un corpo di militari di professione, mentre circa 5.000 miliardi l'anno vanno in acquisti di armamenti (a cui vanno aggiunti quelli finanziati direttamente - come appunto l'Eurofighter - o indirettamente, attraverso il sostegno all'industria militare. Le principali armi acquistate dal nostro paese sono una nuova portaerei, 325 aerei da trasporto C130J, i carri armati Ariete, armamenti particolarmente utili per interventi militari all'estero". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

Negli ultimi anni le spese militari dell’Italia sono aumentate o diminuite?

"Nonostante la fine della guerra fredda, l'Italia non è riuscita a ridurre in modo significativo la propria spesa militare. Alcuni paragoni vanno fatti con le spese militari di altri paesi. I dati ufficiali della Nato (NATO review n.1 1998) relativi alle spese militari nell'Alleanza Atlantica mostrano che tra il 1990 e il 1997, gli Stati Uniti hanno ridotto il proprio budget militare del 26,6%, il Regno Unito del 26,8%, la Germania addirittura del 30%, la Francia dell’8,6% e l'Italia solo del 5,5%. La stessa fonte ci dice che l'Italia è l'unico paese tra quelli sopra menzionati ad aver aumentato la percentuale del PIL dedicato alla difesa: dall'1,8% del 1995 all'1,9% del 1996 e 1997. La spesa della Germania negli stessi anni è stata pari rispettivamente all'1,7% per il 1996 e all' 1,6% per il 1997, mentre la Gran Bretagna ha destinato alla difesa il 2,8% del PIL nel 1997 e il 3% l'anno prima e la Francia il 3% per entrambi gli anni - inclusi gli armamenti nucleari". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

Qual è il ruolo dell’Italia nella produzione e nel commercio mondiale di armi?

"La spesa militare finanzia la produzione di armamenti, che è concentrata principalmente in cinque paesi: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l'Italia e all'interno di quest'area è concentrata in pochi grandi gruppi industriali. Le prime tre industrie militari al mondo per fatturato sono americane: la Boeing con un fatturato nel 1997 di 56 miliardi di dollari, di cui un terzo proveniente dal settore militare e 231.000 addetti, la Lockheed-Martin, con un fatturato di 28 miliardi di dollari, per la metà militare e 175.500 addetti, la Raytheon Hughes con 21 miliardi di fatturato e 109.000 addetti, seguono poi la britannica British Aerospace -Marconi con 21 miliardi di dollari di fatturato e 88.000 dipendenti. L'italiana Finmeccanica, che controlla il 70% delle industrie di armi italiane tra cui Alenia e Oto Melara, fattura 9 miliardi di dollari di cui 2,3 vengono dal militare ed ha 61.000 addetti. La tendenza alla concentrazione è perseguita negli Stati Uniti, ma anche la stessa Unione Europea ha messo a punto un Master Plan per il rilancio dell'industria militare europea scarsamente competitiva con quella americana. Sul versante della domanda è in corso di realizzazione un'unica agenzia per l'acquisto degli armamenti". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

Qual è la proporzione tra le spese militari sostenute in questo conflitto e gli aiuti economici che hanno ricevuto i paesi dei balcani in seguito alla guerra in Bosnia?

Confrontate con le spese militari elencate precedentemente, le spese per gli aiuti ai paesi colpiti dal conflitto in Bosnia sono state irrisorie, e c’è da aspettarsi qualcosa di analogo per gli aiuti destinati alla ricostruzione del Kossovo e di tutta la Repubblica Federale Jugoslava. " L'entità delle risorse messe in moto dalla guerre contrasta drammaticamente con l'esiguità di quelle finora dedicate allo sviluppo dei paesi balcanici. L'Albania prima del conflitto aveva ottenuto in tre anni solo 1000 miliardi di aiuti internazionali, il Montenegro appena 1,6 miliardi di lire dall'Unione Europea, la Macedonia 400 miliardi dalla Banca Mondiale e 300 miliardi dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD). Perfino Croazia e Slovenia, i paesi più sostenuti dall'occidente, hanno ricevuto crediti rispettivamente per 2000 e 1000 miliardi di lire dalle stesse istituzioni di cui sopra. Gli accordi di Dayton hanno portato alla Bosnia Erzegovina aiuti per 9000 miliardi di dollari in tre anni. La Repubblica Jugoslava ha interrotto anni fa il rimborso del debito con il Fondo monetario ed è ora tagliata fuori dalla finanza internazionale. Una minaccia all'"ordine internazionale" forse più grave dell'oppressione degli albanesi del Kossovo. Il confronto con la spesa per la cooperazione non serve soltanto ad esprimere un ordine di grandezza; mostra anche il mutamento di strategia economica e politica dell'occidente. Sul piano economico, di fronte alle esigenze di sviluppo dei paesi dell'est e del sud del mondo l'occidente ha sostituito negli ultimi quindici anni la strada della cooperazione con quella dello scontro economico, facendo valere le armi del debito estero e dei piani di aggiustamento del Fondo monetario internazionale come condizione per la concessione di crediti. Sul piano politico, la strada degli interventi militari è sempre più stata utilizzata per mantenere, dalla guerra del Golfo in poi, l'ordine imposto dall'occidente. La guerra nei Balcani rappresenta un drammatica accelerazione di questa strategia nel cuore dell'Europa, destinata a militarizzare i rapporti internazionali, a sottrarre spazio ad un sicurezza fondata sulla coooperazione e lo sviluppo nonché a contenere al massimo il ruolo dell'Unione Europea all'indomani della nascita dell'Euro. E proprio l'Europa dei governi socialdemocratici è la principale sconfitta di questa guerra americana". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

Quali sono stati i danni causati dai bombardamenti e qual è il valore economico delle infrastrutture distrurre dalla Nato?

"Sebbene attualmente di difficile verifica, le distruzioni di beni immobili in Jugoslavia a seguito dei raid ammonterebbero a più di 100mld di $[170mila mld di lire] e la produzione di beni di consumo sarebbe bloccata (…) Al 24 aprile, secondo Belgrado , le 7000 tonnellate di esplosivo riversate sul territorio della Fed. Jugoslava avrebbero provocato danni materiali per oltre 10mld di $ (18000 mld di lire), distruggendo 20 ponti e danneggiandone 12 gravemente. Tutto il sistema di comunicazioni é stato gravemente colpito. Sono 16 le linee o le stazioni ferroviarie messe fuori uso: tra queste la ferrovia Belgrado-Bar, la Nis-Pristina, la Belgrado-Salonicco, la Bogojevo-Vukovar. Le industrie danneggiate sono moltissime: a Rakovica, Nis, Novi Sad, etc. Sono 18 le raffinerie, i depositi di carburante e gli impianti di petrolchimici colpiti, a Pancevo e in altri sobborghi di Belgrado e poi a Kragujevac, a Pristina, a Novi Sad e altrove.Daneggiati anche 5 impianti agro-industriali mentre sono bruciati 250 ettari di bosco . Considerando i servizi pubblici, un milione di persone sono state private di normali rifornimenti d'acqua, 13 dei maggiori ospedali sono stati colpiti, così come 150 scuole, impedendo a 800.000 ragazzi di frequentare le lezioni".

 

 

Quali saranno le conseguenze economiche del conflitto sugli altri paesi dell’area balcanica?

"Il Fondo monetario ha stimato che per il 1999, il deficit della bilancia dei pagamenti di Albania, Macedonia, Bosnia, Bulgaria, Croazia e Romania salirà a 2758 miliardi di lire, mentre il deficit di bilancio a 1183 miliardi di lire. Il totale di queste cifre, sempre secondo il l'istuto finanziario internazionale, costituirebbe il 2.5% del PIL dell'area, cioè intorno ai 100 miliardi di dollari. Per FMI e Banca Mondiale i costi economici a breve termine della guerra in Kosovo saranno, per i paesi vicini (Albania, Macedonia, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Romania) di almeno 2 miliardi di dollari (3.400 miliardi di lire), sebbene la cifra prevista di rifugiati in quella stima (600.000)sia stata ampiamente superata. I deficit di questi paesi aumenteranno, per i soli costi di guerra e di mancati introiti doganieri, di 650milioni di dollari (1.100 miliardi di lire)." (Fonte: Federica Bodoyra e Alessandro Rossi, "Economia e guerra nella crisi dei balcani", articolo apparso sulla rivista "Giano").

– COSA POSSIAMO FARE –

Come si può reagire di fronte all’illegalità dell’azione militare in Kossovo?

I cittadini italiani possono fare propria - in modo individuale o, meglio, collettivo - la denuncia contro il governo italiano qui riprodotta, depositata alla Procura della Repubblica del Tribunale di Roma da alcuni pacifisti a nome del Coordinamento nazionale dei comitati cittadini contro la guerra. Il testo richiama e accoglie le altre denunce presentate a diversi tribunali. Si può stampare il testo della denuncia qui riprodotto, firmarlo e farlo firmare con nome, cognome, indirizzo (ricordarsi di riprodurre la formula "I sottoscritti aderiscono e fanno proprio...." riportata in fondo alla denuncia, su ogni foglio di firme che verrà aggiunto). Uno dei firmatari, munito di documento, potrà poi recarsi alla Procura della sua città (o anche dai carabinieri) e depositare la denuncia a nome di tutti. È importante inviare fotocopia di tutte le firme raccolte e depositate in procura al Coordinamento nazionale dei Comitati contro la guerra (via Festa del Perdono 6, Milano, fax. 02-58302611).

Alla Procura della Repubblica, presso il Tribunale di ________________

______ , il _____ ,1999

 
DENUNCIA

Di fronte al tragico conflitto nella Repubblica Federale Jugoslava (RFJ da qui in avanti) è necessario denunciare e perseguire i crimini da chiunque commessi, a cominciare - per quanto ci riguarda - da quelli del nostro governo nelle persone del Presidente del Consiglio Massimo D'ALEMA, del Vicepresidente Sergio MATTARELLA, dei ministri Giuliano AMATO, Laura BALBO, Katia BELLILLO, Gian Guido FOLLONI, Enrico LETTA, Angelo PIAZZA, Livia TURCO, Lamberto DINI, Rosa RUSSO JERVOLINO, Oliviero DILIBERTO, Vincenzo VISCO, Carlo Azeglio CIAMPI (ora Presidente della Repubblica), Carlo SCOGNAMIGLIO PASINI, Luigi BERLINGUER, Enrico MICHELI, Salvatore CARDINALE, Pier Luigi BERSANI, Antonio BASSOLINO, Piero FASSINO, Rosaria BINDI, Giovanna MELANDRI, Edo RONCHI, Ortensio ZECCHINO, Paolo DE CASTRO, Tiziano TREU, dei sottosegretari Franco BASSANINI, Domenico MINNITI, Gianclaudio BRESSA, Elena MONTECCHI, Valentino MARTELLI, Umberto RANIERI, Rino SERRI, Patrizia TOIA, Franco BARBERI, Alberto LA VOLPE, Diego MASI, Giannicola SINISI, Adriana VIGNERI, Giuseppe Maria AYALA, Franco CORLEONE, Marianna LI CALZI, Maretta SCOCA, Ferdinando DE FRANCISCIS, Fausto VIGEVANI, Stefano CUSUMANO, Natale D'AMICO, Dino Piero GIARDA, Giorgio MACCIOTTA, Laura PENNACCHI, Roberto PINZA, Fabrizio ABBATE, Massimo BRUTTI, Paolo GUERRINI, Gianni RIVERA, Teresio DELFINO, Nadia MASINI, Carla ROCCHI, Sergio ZOPPI, Antonio BARGONE, Mauro FABRIS, Gianni Francesco MATTIOLI, Michele LAURIA, Vincenzo Maria VITA, Umberto CARPI, Gianfranco MORGANDO, Claudio CARON, Bianca Maria FIORILLO, Raffaele MORESE, Luigi VIVIANI, Antonio CABRAS, Monica BETTONI BRANDANI, Antonino MANGIACAVALLO, Giampaolo D'ANDREA, Agazio LOIERO, Valerio CALZOLAIO, Antonino CUFFARO, Luciano GUERZONI, Roberto BORRONI, Nicola FUSILLO, Giordano ANGELINI, Luca DANESE.

Aderendo all'aggressione della Nato contro la RFJ, autorizzando l'uso delle basi poste sul nostro territorio e prendendo parte alle decisioni dell'Alleanza atlantica, riteniamo che il Governo della Repubblica italiana, nelle persone del presidente del Consiglio Massimo D'Alema e dei membri del suo governo precedentemente elencati si siano resi corresponsabili di:

- attentato contro la Costituzione (art. 283 c.p.), realizzato scardinando il principio immodificabile espresso dall'art. 11 ("l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali");

- usurpazione di potere (art. 287 c.p.) nei confronti delle due Camere e del Presidente della Repubblica, che non hanno deliberato e decretato lo stato di guerra;

- strage, omicidio plurimo e lesioni;

- bombardamenti indiscriminati con distruzione delle strutture essenziali per la vita civile ed economica in tutta la Jugoslavia (ponti, ferrovie, impianti elettrici, acquedotti, scuole, ospedali, uffici civili, ripetitori e sedi Tv ecc.), in violazione delle leggi penali ordinarie, della Carta dell'Onu e delle Convenzioni di Ginevra e dell'Aja;

- uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali, e in particolare delle bombe a grappolo proibite dalla convenzione internazionale di Ottawa perché equiparate alle mine antiuomo;

- bombardamenti di installazioni contenenti sostanze pericolose per la salute e l'ambiente, in violazione delle citate convenzioni e del Prot. agg. I all'art. 56 Conv. Ginevra '77;

- bombardamenti che hanno privato la popolazione di energia elettrica e acqua potabile, in violazione delle citate leggi, convenzioni e della Dichiarazione dei diritti dell'uomo.

Riteniamo che tali reati, crimini di guerra e crimini contro l'umanità tolgano ai governanti ogni legittimazione al comando o a rappresentare i cittadini italiani e vadano perseguiti penalmente. Con questa denuncia chiediamo pertanto che si accertino le responsabilità dei succitati e di altri, in ordine ai reati indicati. Ci riferiamo alla documentazione circa gli "effetti collaterali" della guerra, allegata alla denuncia presentata alla Procura di Roma il 3 giugno per conto del Coordinamento dei comitati cittadini contro la guerra (numero di protocollo 4515); ci riferiamo anche, e aderiamo, alle seguenti denunce, già depositate presso varie Procure della Repubblica:

- esposto per violazione della Costituzione italiana (artt. 11, 78, 87) e di trattati internazionali (art. 52) e per usurpazione di potere (art. 287 c.p.) presentata il 3 maggio 1999 alla Procura della Repubblica di Roma da Giovanni Seclì (Coll. cultura antagonista Ikbal Masik) e Vanda Picinonno (Comitato difesa e rilancio costituzione) di Lecce;

- esposto per il bombardamento della Tv serba, presentato il 5 maggio al Procuratore della Repubblica presso Tribunale penale militare di Roma da Raniero La Valle, Domenico Gallo, Tommaso Fulfaro, Fabio Marcelli, Giovanni Ferrara, Francesco Russo;

- denuncia per "violazione dell'ordine costituzionale" depositata il 7 maggio 1999 alla Procura generale presso Corte di Cassazione, alla Procura della Repubblica presso Tribunale penale e civile di Roma e alla Procura della Repubblica presso Tribunale di Verona, da Massimo Valpiana (Movimento nonviolento-MIR);

- esposto per violazione ordinamento costituzionale e usurpazione del potere (artt. 78 e 87 Cst., art. 287 c.p.) presentato il 7 maggio al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma da Giancarlo Canuto di Brindisi e altri;

- esposto per violazione Costituzione italiana (artt. 11, 78 e 87), Statuto della Nato (artt. 1, 7), Carta dell'Onu (art. 51, 53) depositato il 21 maggio 1999 presso la Procura della Repubblica di Firenze da Graziano Zoni (Emmaus Italia), Ugo Biggeri (Mani Tese) e Tonio Dell'Olio (Pax Christi Italia);

- denuncia per usurpazione di potere (art. 78 e 87 Cost., art. 287 c.p.) e concorso in strage presentata alla Procura della Repubblica presso Tribunale di Roma da Giuseppe Mattina e da aderenti al gruppo Giustizia e diritto della federazione romana di Rifondazione comunista;

- denuncia per omissione di atti d'ufficio (art. 328 c.p.) e per non aver dato corso al procedimento previsto per i reati ministeriali ipotizzabili (attentato alla Costituzione, usurpazione di potere, strage, reati in materia ambientale) presentata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia nei confronti dei magistrati della Procura di Roma dal Comitato avvocati contro la guerra di Milano;

- esposto mirante ad accertare la ricorrenza di violazioni della Costituzione, trattati internazionali, norme sulla disciplina militare e del diritto bellico umanitario; usurpazione di potere; stragi; distruzione e sabotaggio opere civili; irreversibile attentato all'ambiente pesentato il 13 maggio al Procuratore della Repubblica presso Tribunale militare di Napoli da Saverio Senese e altri.

Se queste denunce saranno archiviate riteniamo che la magistratura si renderà complice.

I sottoscritti aderiscono e fanno proprio il presente esposto-denuncia, già depositato alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma (prot. 4515) da alcuni esponenti del Coordinamento nazionale comitati contro la guerra, riassuntivo e integrativo degli altri esposti-denuncia suindicati e a loro volta depositati.

Nome e cognome

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Indirizzo

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Firma

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