Convocazione di un'assemblea nazionale il 2/3 ottobre

PER UN MOVIMENTO CONTRO LE GUERRE


(Bozza per una discussione dei comitati e del movimento contro la
guerra - questo testo viene proposto alla discussione dei comitati in
vista della riunione del Coordinamento Nazionale l'11 settembre a
Roma, dove sarà scritta la versione definitiva che prepara l'assemblea
nazionale del 2/3 ottobre)


La guerra non è finita. Dopo tre mesi di bombardamenti, con il "piano
di pace" formalmente votato dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ma in
realtà deciso dai paesi del G8, si è aperta una nuova fase.

L'esercito e la polizia della Federazione di Jugoslavia sono usciti
dal Kossovo, mentre la "forza di pace" della NATO si è schierata per
garantire gli accordi: una presenza che si configura come un vero e
proprio protettorato e che non assomiglia in nulla a quella "pace
giusta" di cui parlano alcuni manifesti dei DS. Questi tre mesi, così
come la politica seguita dai paesi dell'Alleanza Atlantica nei dieci
anni di guerre jugoslave, lasciano in eredità questioni aperte, nuovi
conflitti (in corso e possibili), convivenze sempre più difficili, una
presenza militare della NATO nei Balcani ancora più forte e allo
stesso tempo un maggior protagonismo politico ed economico dei paesi
della NATO (con i paesi europei in prima fila?). 

Questa guerra lascia in suo "ricordo" anche le migliaia di morti, le
centinaia di migliaia di profughi, le distruzioni delle infrastrutture
e del territorio, i danni catastrofici all'ambiente che le popolazioni
della regione pagheranno per le prossime generazioni; la
sperimentazione e l'utilizzo dichiarato di armi "non convenzionali"
come i proiettili all'uranio impoverito, già usate - negandolo sempre
- contro l'Iraq; la violazione del diritto, internazionale e di quello
interno ai singoli stati; la legittimazione della guerra come
strumento possibile di politica estera, addirittura giustificata come
"umanitaria" o "etica".



In questi tre mesi in Italia le iniziative e le mobilitazioni del
movimento contro la guerra sono state ampie: manifestazioni nazionali,
iniziative locali, proposte di disobbedienza, sforzi di
controinformazione, percorsi di solidarietà con le vittime al di fuori
dell'ambiguità dell'"Operazione Arcobaleno". 

Il movimento ha espresso gran ricchezza e molti limiti: mentre si sono
mobilitati settori molto diversi e la diffusione sul territorio
aumentava con il proseguire dei bombardamenti, la capacità di porre
l'obiettivo della concreta dissociazione dell'Italia dalla guerra
(attraverso la non concessione delle basi e il rifiuto di partecipare
all'intervento) è stata debole, permettendo anche che proseguisse
l'ambiguità di coloro che parlavano contro la guerra ma continuavano
ad appoggiare i provvedimenti del governo che la conduceva. Al
movimento è mancata la capacità di comunicazione tra i settori, la
valorizzazione di tutte le proposte che sono patrimonio di alcuni di
loro (l'interposizione nonviolenta, l'azione diretta, la
disobbedienza, ma anche gli scioperi di RSU e sindacati di base) e che
non hanno trovato luoghi di confronto per mobilitazioni collettive e
non delegate all'associazionismo nazionale (che pure è stato in gran
parte contro la guerra e senza ambiguità).


Ora il movimento deve proseguire, nessuno può pensare di smobilitare.
Le ragioni per continuare e rilanciare l'iniziativa contro la guerra
sono molte: proponiamo un confronto aperto sui temi individuati non
solo per approfondirli ma soprattutto per trovare insieme strumenti
d'iniziativa e organizzazione, partendo dal lavoro dei Comitati contro
la guerra, perché diventino un soggetto politico con una presenza
permanente contro le guerre.


Proponiamo allora per la discussione alcuni temi che sono stati messi
in primo piano dalla guerra della NATO contro la Federazione di
Jugoslavia : non pretendiamo di avere risposte pronte o certezze
assolute, ma pensiamo che possano rappresentare la base di una
riflessione comune e i contenuti delle iniziative del movimento contro
le guerre.


LA NATO GLOBALE

Indubbiamente l'intervento contro la Federazione di Jugoslavia si è
configurata come la "guerra della NATO": un intervento deciso
dall'Alleanza Atlantica, che rilancia così la sua presenza e il suo
ruolo non solo in Europa ma in una prospettiva globale. Ruolo
confermato al Vertice di Washington con l'approvazione del nuovo
Concetto Strategico, con il quale la NATO si propone di intervenire
senza limiti geografici, senza nemmeno la legittimazione formale
dell'ONU, per garantire la stabilità necessaria all'ordine imperiale.

Che cosa rappresenta per il movimento questo nuovo protagonismo della
NATO? I pacifisti possono permettersi di non porre la centralità
dell'obiettivo della resistenza alla NATO? E' ancora valida la parola
d'ordine "fuori l'Italia dalla NATO" ? Può essere elusa considerandola
superata, oppure deve trovare una coniugazione nuova nella necessità
dello scioglimento dell'unica alleanza militare ormai esistente e con
un ruolo globale?

Inoltre il ruolo della NATO risulta sempre più intrecciato con il
progetto neoliberista: come dice il sub-comandante Marcos, la NATO
rappresenta ormai "le truppe regolari del verbo neoliberista". Dove i
"normali" meccanismi economici e finanziari non sono sufficienti a
garantire l'ordine, o meglio, quando i rapporti di dominio creano
"turbolenze", anche lo strumento militare può essere usato. Il
movimento contro la guerra deve allora "limitarsi" alle iniziative
contro i conflitti armati, o deve inserire tali iniziative in una
prospettiva di resistenza e di alternativa al dominio neoliberale?


Il rinnovato ruolo aggressivo della NATO significa anche una sua
maggiore presenza in Europa: sia attraverso un ulteriore allargamento
ad est (con il nuovo protettorato in Kossovo come con le reiterate
richieste di stati come Romania, Ucraina, Lituania, Slovacchia ecc. di
entrare a pieno titolo nell'alleanza), sia attraverso le basi militari
sul territorio dei paesi europei.

Diventa allora sempre più importante "gettare le basi", mettere al
centro dell'iniziativa una battaglia per la chiusura delle basi,
quelle stesse davanti alle quali siamo andati in migliaia nei mesi
scorsi. E allo stesso tempo è necessario riflettere sul ruolo delle
basi "straniere", ma anche di quelle italiane, e del ruolo che
l'Europa o i singoli paesi europei stanno assumendo nell'Alleanza
Atlantica: è solo subordinazione miope (come dimostrerebbe anche la
nomina di Solana a Mister PESC), oppure è corresponsabile condivisione
delle logiche politiche dell'Alleanza e dei suoi interventi? E'
sufficiente ribadire la difesa della sovranità nazionale, oppure va
contrastata la logica stessa delle alleanze militari, che un ipotetico
"esercito europeo" certamente non modificherebbe ma renderebbe più
grave?

Nell'affrontare il problema del ruolo della NATO globale crediamo sia
necessario porre anche una prospettiva alternativa a quest'ordine
mondiale inaugurato con la guerra del Kossovo? Quest'alternativa può
essere rappresentata da un'ONU riformata? Da quale altro soggetto,
altrimenti? 


L'Unione europea sta adottando la linea di Blair che, facendo a gara
con la Albright, propone un embargo sempre più duro per strangolare la
Serbia. Viene così a crearsi nei Balcani una situazione simile a
quella prodotta nel Golfo dall'embargo contro l'Iraq. Nel regolamento
attuativo delle sanzioni nei confronti della RFJ, la Commissione
europea ricorda infatti che, in base alla posizione comune
(99/318/PESC) già adottata dal Consiglio il 26 aprile, il divieto di
esportazione va applicato a tutti quei "beni, servizi e tecnologie
atti a riparare i danni causati a impianti, infrastrutture o
attrezzature utilizzati dal governo della Repubblica federale di
Jugoslavia". In nome del diritto umanitario internazionale, si
vogliono sottoporre a embargo anche "gli strumenti ed apparecchi per
analisi fisiche o chimiche, i contatori di gas e liquidi, le valvole
di sicurezza e le guarnizioni", così che non si possano misurare i
danni ambientali provocati dal bombardamento degli impianti
petrolchimici, né riparare gli impianti per metterli in condizione di
sicurezza. 

Come interviene il movimento nei confronti delle politiche dell'Unione
europea? Con quali iniziative?



Il conflitto in Jugoslavia ha rappresentato in questi tre mesi,
naturalmente e giustamente, il centro dell'attenzione e
dell'iniziativa del movimento. Ma altri conflitti sono ancora aperti:
l'aggressione all'Iraq, attraverso la prosecuzione dell'embargo e i
bombardamenti angloamericani che avvengono con una frequenza quasi
quotidiana; la repressione del popolo kurdo che la condanna a morte di
Ocalan ha reso ancora più forte; la mancata soluzione del conflitto
mediorientale.... Tutti conflitti in cui gli interessi e il
protagonismo occidentale sono pienamente in gioco: il movimento contro
la guerra che si è espresso in questi tre mesi non deve forse
mobilitarsi anche contro queste guerre?


L'ITALIA DI GUERRA

La decisione del governo D'Alema di appoggiare l'intervento militare e
la piena partecipazione delle Forze Armate italiane, per quanto in
palese violazione della stessa Costituzione, non è stato un fulmine a
ciel sereno.

I governi degli ultimi dieci anni hanno perseguito politiche estere e
di difesa con un indirizzo preciso, cioè la possibilità e la necessità
dell'utilizzo dello strumento militare per la "tutela degli interessi
nazionali ovunque minacciati" (come recita il Nuovo Modello di Difesa
scritto nel 1991). Una graduale legittimazione della guerra che
l'intervento "per il Kossovo" ha cercato di far diventare addirittura
"giusta e umanitaria".

Dieci anni di politiche di guerra che hanno visto un sostanziale
aumento delle spese militari, almeno per quanto riguarda il capitolo
dei nuovi armamenti e della modernizzazione delle Forze Armate, che
nel prossimo futuro diventeranno completamente professionali e
volontarie. Dieci anni in cui gli interventi militari sono stati
molti, dalla partecipazione alla guerra del Golfo (che prosegue con
l'embargo che ha causato oltre un milione e mezzo di morti e che il
nostro paese applica con grande zelo), all'intervento in Somalia, alla
missione Alba in Albania.

Il movimento contro la guerra, se vuole essere un soggetto
"permanente", non deve forse avere come obiettivo centrale
l'opposizione a tutte quelle politiche che preparano o rendono più
probabili nuove guerre? Sono sufficienti le campagne come "Venti di
Pace", per la riduzione del bilancio della difesa ? O è necessario che
diventino un patrimonio di tutto il movimento per organizzare
iniziative contro le spese militari (anche attraverso l'obiezione
fiscale, anch'essa necessariamente destinata ad uscire dalla
dimensione di testimonianza)?

E, inoltre, il movimento non deve forse rilanciare la proposta delle
riconversione dell'industria bellica, che è al centro di importanti
manovre di fusione e rilancio a livello europeo e NATO? Non è questo
il terreno per aprire un confronto con il movimento delle lavoratrici
e dei lavoratori, che deve essere protagonista insieme a noi in questa
battaglia?

E ancora: chi pagherà i costi sociali della guerra e delle politiche
di riarmo e militari? Non è forse un terreno anche dei pacifisti il
DPEF o la prossima Finanziaria, che taglierà le spese sociali anche
per rientrare dalle spese di guerra?


LA JUGOSLAVIA, IL KOSSOVO

La fine dei bombardamenti e della "pulizia etnica" (resa più intensa
dalla guerra) non rappresenta in alcun modo il raggiungimento della
pace in Kossovo e nella Jugoslavia : continuano le uccisioni; ai
profughi albanesi che rientrano sul territorio kossovaro si
sostituiscono i serbi in fuga; la presenza delle truppe occidentali
non rende la regione più sicura ma certamente più militarizzata. Allo
stesso tempo si vedono oggi ancora di più i danni umani, economici,
ambientali provocati dai tre mesi di bombardamento, e gli effetti dei
massacri compiuti dalle truppe serbe.

Ma non si può parlare di pace soprattutto perché non è stato trovato
alcun accordo che si basi su un progetto di convivenza,
autodeterminazione e rispetto dei diritti umani (i tre principi
dovrebbero essere perseguiti contemporaneamente): d'altronde non erano
queste le intenzioni dell'Alleanza occidentale quando ha deciso
l'intervento.

Ci troviamo di fronte all'ennesimo protettorato, formalmente guidato
dall'ONU ma in realtà diretto dalla NATO: un protettorato non solo
militare ma anche politico ed economico. I prossimi anni, come nel
resto del territorio dell'ex-Jugoslavia, i paesi occidentali
controlleranno e determineranno la vita degli abitanti del Kossovo (e
di tutta la Federazione?). La partecipazione dei paesi della NATO alla
guerra ha mostrato anche lo scontro di interessi tra gli USA e
l'Europa e all'interno di questa: quanto peserà sul futuro della
regione il ruolo economico che pare assumersi l'Europa con il "piano
di stabilità" (che certamente non è un piano di sviluppo di democrazia
e autonomia per i popoli della regione)? Quanto conterà invece la
maggior forza politico-militare degli USA e il ruolo ambiguo della
Gran Bretagna? Il movimento saprà ricucire le relazioni con le forze
di opposizione e i gruppi contro la guerra della Federazione di
Jugoslavia e allo stesso tempo riprendere i rapporti con i kossovari
che sono stati interrotti a causa dei bombardamenti?

Nei prossimi mesi in Kossovo comincerà la partita della ricostruzione,
che segnerà l'ennesimo business: il movimento contro la guerra saprà
controllare e denunciare la direzione e gli affari della ricostruzione
evidenziando il ruolo della Banca Mondiale e del Fondo monetario
internazionale? Sarà in grado di mettere in campo un proprio progetto
d'intervento di "cooperazione solidale", in Kossovo come in Serbia? E
questa cooperazione saprà evitare (come molti gruppi hanno saputo fare
durante i bombardamenti) di essere coinvolta nei progetti ufficiali,
prosecuzione concreta dell'Operazione Arcobaleno?


Prima della decisione dell'intervento della NATO molti gruppi in
Italia avevano avviato serie e coerenti esperienze di diplomazia
popolare e d'interposizione nonviolenta: esperienze di condivisione,
di costruzione di rapporti rispettosi dei diritti umani. Queste
esperienze sono patrimonio solo di una parte del movimento che si è
opposto alla guerra: sapranno essere socializzati dall'insieme dei
soggetti che si sono mobilitati? E' possibile pensare a costruire
tutti insieme percorsi di presenza in Serbia, Montenegro e Kossovo (ma
anche in Albania, Macedonia...) che lavorino anche sulla prevenzione e
gestione dei conflitti (come già propongono gruppi come i Berretti
Bianchi)? 


IL MOVIMENTO, I COMITATI

Di quello che ha tentato di fare e di ciò che realmente riuscito a
fare il movimento contro la guerra in questi mesi abbiamo parlato
all'inizio.

Tutti quelli che ritengono che il movimento debba continuare ad essere
presente, e che vada rilanciata la sua iniziativa, vogliono impegnarsi
a costruire relazioni, comunicazioni, iniziative comuni? E' pensabile,
nel rispetto delle diverse soggettività e delle differenti posizioni,
pensare ad una "agenda" comune di temi e iniziative su cui lavorare
insieme? Possono essere trovati luoghi per questo confronto e scambio
senza che nessuno pensi di essere il centro attorno al quale gli altri
devono ruotare? E' possibile mantenere o iniziare un rapporto stabile
e fecondo con i molti intellettuali, giuristi, scienziati, operatori
dell'informazione che si sono schierati contro la guerra e che hanno
già dichiarato di voler proseguire il loro impegno di studio, ricerca
e denuncia di ciò che è stata questa guerra e dei problemi che ha
aperto? Come possiamo rapportarci ai lavoratori e alle lavoratrici,
alle rappresentanze sindacali e ai sindacati di base che hanno
promosso iniziative anche di sciopero, che dovrebbero essere una parte
importante del movimento contro la guerra?

In questo percorso hanno un loro spazio i Comitati contro la guerra
che si sono formati localmente? Sono un soggetto che deve vivere e
costruire una propria identità e iniziativa? E il coordinamento
nazionale che si è formato, con una rete di relazioni aperte per
iniziative comuni, è uno strumento utile che vogliamo sviluppare?


Va necessariamente indagato anche il problema del rapporto con le
forze politiche ed istituzionali e i punti sui quali provare a
costruire un percorso di lavoro (ad esempio il nuovo modello di
difesa, la riduzione delle spese militari, le basi militari in Italia
e in Europa, la riforma delle Nazioni Unite, il ruolo dell'Europa, il
diritto e la democrazia internazionale). Crediamo, inoltre che se il
movimento saprà lavorare alla costruzione di un orizzonte culturale
che assuma la nonviolenza, il rifiuto di tutte le guerre e un'economia
di giustizia come valori centrali, si potranno aprire spazi di
collaborazione e d'iniziative (ad esempio un'università della pace)
con altri soggetti. Un movimento in grado di proporre la "sua visione
del mondo" come terreno di confronto con le forze politiche sarebbe
più autonomo e politicamente autorevole? 


VOGLIAMO DISCUTERNE?

Il Coordinamento nazionale dei comitati contro la guerra propone
perciò un'assemblea nazionale il 2/3 ottobre (in una città ancora da
decidere): è una proposta a tutti quelli che si sono mobilitati e
hanno costruito l'opposizione alla guerra. 

Una proposta di riflessione comune per trovare proposte iniziative
comuni e percorsi organizzazione.


Coordinamento nazionale dei Comitati contro la guerra 



Milano, 14 luglio 1999



COORDINAMENTO TECNICO

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58315437; fax 02
58302611; e-mail: milviado@tin.it

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