Risposta a Galli della Loggia di Don Albino Bizzotto (BCP)
Fonte: Lista PACE PeaceLink
Sono appena tornato dal Kosovo, l’ho percorso tutto e non soltanto, come
fanno i giornalisti italiani, nella parte sotto controllo della Kfor italiana.
Alcuni amici mi hanno fatto recapitare l’articolo di Ernesto Galli della Loggia
apparso sul Corriere del 26 giugno u.s. dal titolo: “Un silenzio di tomba”.
So che altri hanno risposto ma non ho avuto modo di leggere quanto
hanno scritto, per cui chiedo scusa se le mie considerazioni comportano
delle ripetizioni.
Quello che maggiormente mi ha colpito nell’articolo non è il contenuto,
l’opinione pur assolutizzata dell’autore, ma lo stile velenoso di uno che si
impalca a giudice e che condanna tutti senza conoscere né diversità, né
comportamenti; nomi e cognomi di persone, associazioni (naturalmente
cattoliche per far tornare il conto, dimenticando l’Assopace, l’ICS, i Centri
Sociali, …) sbattuti lì, ma non si sa per quale tipo di torto o reato. Tutto
un mucchio, tutti eguali e tutti colpevoli. Prima di mettermi a scrivere ho
chiesto agli amici di dirmi la loro impressione. Beh! La prima tentazione a
tutti è stata di rispondere pane per focaccia. E’ lo stile che provoca la
reazione.
Tento di rivolgermi con molto rispetto a Galli della Loggia non per far
valere le mie ragioni, ma, se possibile, per aprire un dibattito, avendo ben
presente che egli non è l’unico giornalista in Italia dalla guerra del Golfo in
poi, a soffrire della sindrome del pacifista. Elenco una serie di problemi ai
quali chiedo la cortesia di rispondere.
1. C’è una spaccatura tra opinionisti e mondo del pacifismo perché non
esistono pari opportunità per il confronto sugli stessi mezzi di
comunicazione. Esiste una difficoltà oggettiva perché il confronto non
concerne solo le opinioni, ma le azioni politiche. Vorrei chiedere a Galli
della Loggia e a tutti gli altri quando si sono interessati ai progetti attuati
in Kosovo dal 1992 in poi. Io non ho spazio sul Corriere ma devo
denunciare tutta la demagogia espressa dai politici e dai giornalisti in
questo periodo sul Kosovo. Per uno come me che in Kosovo si è recato
nel febbraio ’93, che ha seguito e appoggiato l’ambasciata di pace a
Pristina, che ha costruito con altre associazioni il progetto “I Care” nel
dicembre scorso, lo stesso Galli della Loggia (non me ne abbia) mostra di
essere disinformato e semplicemente ideologico nelle sue affermazioni.
Anch’egli sull’onda emotiva punta sulla pulizia etnica, le fosse comuni …
per dire che il Kosovo è diverso. No. Non è vero. La stessa Mary Robinson,
ha richiamato la Comunità internazionale sulla responsabilità di quanto sta
accadendo in molte parti dell’Africa. In Sudan, in Sierra Leone, in Ruanda
e Burundi ci sono realtà più tragiche che in Kosovo, anche solo dal punto
di vista militare. In Kosovo c’era la repressione, lo stato di polizia, la
crescita culturale del nazionalismo serbo, non la guerra, non le fosse
comuni, non gli stupri di massa. E’ pura demagogia affermare che la guerra
imperversava da dieci anni. E’ il più grande insulto a una classe politica
splendida che coscientemente per anni ha portato avanti in Europa il
tentativo culturale e politico di risoluzione di un conflitto grave senza
passare attraverso la guerra.
E’ questo il tormento: chi fa la guerra è realista, chi è nonviolento è un
povero utopista. Non è stato realismo politico quello di Rugova e di tutta
la sua classe politica che per nove anni sono riusciti, nonostante il totale
rifiuto e misconoscimento della Comunità internazionale, a tenere uniti e
far sognare tutti gli albanesi dentro e fuori il Kosovo? Abbiamo tentato di
tutto perché Rugova, l’Università albanese venissero riconosciuti … niente
e per anni. Vorrei far leggere le dichiarazioni comparate dei responsabili
politici italiani, dei responsabili del Ministero degli Esteri italiano, per
evidenziarne le contraddizioni e l’ignoranza.
Non riesco a capire perché giornalisti e politici possano sempre ignorare le
domande che vengono poste da chi per anni ha percorso le strade della
mediazione, non degli affari. In base a quale criterio la Comunità
internazionale ha accettato la rappresentatività politica dell’UCK e
delegittimato quella di Rugova e di Fehmi Agani? Perché per otto anni il
conflitto in Kosovo e il comportamento di Milosevic non sono mai stati
messi in agenda?
Rimanendo ai fatti: è dal febbraio ’98, da quando la parola passa alle armi
ed entra in scena l’UCK, che avviene la svolta ed è dal secondo giorno
dell’intervento della NATO che le cose precipitano. Le fosse comuni, i
cadaveri disseminati ed abbandonati, le deportazioni di massa, gli scudi
umani, abbondano proprio nel periodo dell’intervento NATO e del vuoto
totale di presenza internazionale in Kosovo. Tra gli stessi militari serbi ci
sono state differenze di comportamento notevoli.
Apprezzo e sono ammirato per i servizi dei corrispondenti esteri del
Corriere, veramente straordinari; ritengo tuttavia vada riconosciuta la
grande differenza e a volte il contrasto con i servizi di chi non ha mai
visitato un territorio, mai incontrato i protagonisti, mai vissuto fra la
gente. E’ la stessa differenza che denuncio tra i professionisti della
nonviolenza e i volontari che camminano dentro i conflitti. Vorrei che Galli
della Loggia rispondesse a questa domanda: quando e come ha cominciato
ad interessarsi del Kosovo, quando ha messo in guardia l’opinione pubblica
e il Governo italiano dal nazionalismo di Milosevic?
2. Il secondo problema riguarda tutti i mezzi di informazione. Le notizie, i
commenti, riguardano sempre un evento già accaduto, quasi mai servono
a costruire un evento. Nel ’93 Franco Venturini, sempre nel Corriere, stilò
un articolo di fondo analogo a quello di Galli della Loggia sul silenzio e
l’incapacità politica dei pacifisti riguardo alla guerra in Bosnia. Stavamo
preparando “Mir Sada”, dopo aver realizzato, nel dicembre ’92, la prima
marcia a Sarajevo. Presi carta e penna; mi rivolsi a lui con fiducia
sperando di trovare una sponda inattesa per dare all’iniziativa una
divulgazione fuori dai soliti circuiti. Silenzio totale. Fino ad oggi non ho
avuto risposta.
E’ così per tutti gli altri progetti fino all’ultimo, “I Care” realizzato con 220
persone il 9 e il 10 dicembre scorsi a Pristina nel 50° della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo. E’ questa una contraddizione reale: ci si
lamenta della mancanza dell’iniziativa della società civile, ma nel momento
in cui qualcuno tenta qualcosa di nuovo non gli si permette di usare gli
strumenti per comunicare con la stessa società. Così rimangono i ghetti e
le azioni di pura testimonianza. Lo stesso Scalfari, di fronte ai massacri,
aveva invocato un’invasione pacifica di società civile in Kosovo. Si stava
appunto costruendo il progetto “Io vado a Pristina e Belgrado” assieme al
settimanale Vita, non si è riusciti a bucare i mass media di opinione. Il
militare inoltre, per quanto concerne l’informazione, prevale sempre sul
civile. A volte l’informazione su situazioni gravi di conflitto dura quanto la
presenza militare, vedi Somalia.
3. Mi rendo conto che affrontare la realtà ora significa fare i conti con
tutto ciò che è avvenuto e cioè esattamente il contrario di ciò che
avrebbero voluto la classe politica di Rugova e i pacifisti nonviolenti. Ora
non possiamo più ragionare come prima dell’operazione “ferro di cavallo” e
dell’intervento NATO, ma non si possono pretendere, come fanno in
continuazione giornalisti e politici, risposte risolutive dai pacifisti, e cioè
che aggiustino le conseguenze di situazioni volute e decise da altri. Ogni
guerra è decisione politica, non reazione istintiva ineluttabile. Mi sono
trovato molte volte con chi avendo fatta la frittata pretendeva le uova
fresche di giornata. Ora la situazione è radicalmente cambiata per tutti i
Balcani, ed è molto più complessa di come traspare dall’articolo di Galli
della Loggia.
4. Non riesco a capire quale sia il motivo per cui Galli della Loggia se la
prenda con il mondo del pacifismo. Dalle parole che usa sembra sia la
difesa dei diritti umani, e quelli del Kosovo in particolare. In realtà mi
sembra che le persone concrete per lui contino poco o nulla; qualche
dubbio sulla capacità della Comunità internazionale di limitare i danni agli
albanesi del Kosovo, di preoccuparsi degli effetti collaterali e degli errori
anche per i cittadini incolpevoli della Serbia, me lo sarei aspettato. In
questi anni ho scoperto che i diritti umani sono le persone vive. A me pare
che la preoccupazione di Galli della Loggia sia di servirsi dei diritti umani
semplicemente per legittimare la guerra come strumento per imporre la
pace. Se avesse il coraggio di leggere quanto è avvenuto a partire dalle
vittime, anch’egli farebbe un po’ di silenzio per le proprie responsabilità.
Perfino nell’UCK persone responsabili hanno riconosciuto la sproporzione
tra l’obiettivo della liberazione e la dimensione della catastrofe umanitaria.
5. C’è un punto che mi disturba molto nell’articolo: quando cioè viene
separata la vicenda Kosovo da tutte le altre, per le quali se la Comunità
internazionale non riesce a rispondere, pazienza! Vorrei capire quali sono i
livelli di gravità, i parametri oggettivi che obbligano la Comunità
internazionale ad intervenire per comporre i conflitti. E per seconda cosa
vorrei capire la differenza che esiste fra azione criminale e intervento
istituzionale. La mafia è organizzazione criminale, ma lo Stato non può
diventare a sua volta mafioso, deve restare dentro i termini oggettivi della
legalità anche se gli uccidono Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Livatino,
Cassarà, i carabinieri, chi si ribella al “pizzo”... Qual è il quadro legale della
Comunità internazionale, quali le istituzioni preposte alla risoluzione dei
conflitti? Se anche per le istituzioni internazionali vale la ragione del più
forte sulla pelle della gente incolpevole, dove sta la differenza tra la
criminalità di Milosevic e l’azione istituzionale? Le istituzioni non nascono
dalla sera alla mattina. Mi dispiace di non sentire in Galli della Loggia
nessuna preoccupazione per le sorti dell’ONU, della Costituzione Italiana,
dell’Europa e della stessa NATO.
6. Che fare da oggi in avanti. Quando domenica l’altra siamo entrati in
Kosovo dal Montenegro, non abbiamo incontrato anima viva, nessun
controllo di nessun tipo. In questo momento in Kosovo esiste un vuoto
totale di potere: entra ed esce di tutto. Abbiamo fatto presente ai militari
italiani la necessità di intervenire per il controllo in alcuni villaggi fuori della
città di Pec; ci è stato risposto che il contingente è ancora ad un terzo
degli effettivi e riesce a presidiare compiutamente soltanto il territorio
della città. Non esiste alcun controllo di polizia e non funziona alcun
tribunale, istituzioni totalmente assenti. E’ possibile far presente che la
Comunità internazionale anche per la pacificazione sta sbagliando
l’impostazione? Il problema non è principalmente militare: la sicurezza e la
convivenza non saranno garantite dalla repressione delle armi, ma dalla
costruzione della fiducia, garantendo da subito i mezzi per la ricostruzione
e mettendo in comunicazione tutte le forze positive della società ancora
esistenti. Questo compito appartiene alla società civile e alle sue
istituzioni, ma siamo già in grave ritardo.
Padova, 2 luglio 1999
Don Albino Bizzotto
Presidente “Beati i costruttori di pace”