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Il Pentagono non vuole vedere decine di migliaia di rappresentanti di quella metà del paese che ormai chiede con decisione la fine immediata dei criminali bombardamenti contro le città serbe sfilare sotto le sue mura il prossimo cinque giugno. La prima manifestazione nazionale "Stop bombing Yugoslavia" indetta da centinaia di noti intellettuali del dissenso americano, dall'ex ministro della giustizia americano Ramsey Clark ad Angela Davis dal vescovo Thomas Bungleton ai veterani del Vietnam, partirà dal monumento ai caduti del Vietnam, a Washington, per marciare verso il cuore del sistema militare industriale, il palazzo del Pentagono che si trova invece nel territorio della Virginia. Il successo delle numerosissime manifestazioni, sit in e veglie, laiche e religiose, che si sono svolte in tutti gli angoli dell'America con l'obiettivo di preparare la marcia del 5 giugno e soprattutto i sondaggi di opinione che indicano un crollo nel sostegno alla guerra dal 62% di aprile al 53% di alcuni giorni fa e del consenso alla politica estera di Clinton dal 56% al 46% (secondo i dati del Pew Reasearch Center) ha spinto l'Amministrazione ad operare in modo tale da limitare il più possibile la partecipazione di massa alla manifestazione e soprattutto la sua visibilità. La polizia della Virginia ha così sbarrato la strada verso il Pentagono imponendo ai dimostranti di marciare lungo una stretta pista ciclabile che in alcuni punti attraversa una importante autostrada. Tutti gli appelli rivolti alle autorità della Virginia e direttamente a quelle di Washington sino a ieri sera non avevano ottenuto alcuna risposta. Un esponente del comitato di coordinamento della manifestazione Brian Becker ha dichiarato ieri "Non importa quali saranno gli ostacoli, il cinque giugno marceremo in ogni caso verso il pentagono. Questa guerra ci riporta al Vietnam e non staremo a guardare mentre gli jugoslavi stanno morendo sotto le bombe e mentre Clinton si prepara aa mandare decine di migliaia di giovani soldati ad uccidere e ad essere uccisi. Non dimentichiamo che il 28 maggio il New York Post ha scritto che il Dipartimento della difesa ha ordinato 9.000 medaglie "Purple Hearts". Medaglie che vengono date ai soldati feriti in battaglia. Tra gli organizzatori della marcia c'è però la forte preoccupazione che la Casa bianca non solo intenda bloccare la crescente protesta ma che si prepari a dare via libera a qualche gravissima provocazione come l'abbattimento di aerei con aiuti ai profughi o un bombardamento contro i campi profughi in Albania o Macedonia condotto da velivoli croati dello stesso tipo di quelli in dotazione dell'aviazione jugoslava in modo da addossarne la responsabilità a Belgrado e ottenere così il via libera dell'opinione pubblica per l'occupazione via terra del paese. Un drammatico episodio di questo tipo, simile al bombardamento del mercato di Sarajevo che spianò l'intervento Nato nel 1995 contro i serbi di Bosnia, potrebbe aiutare Clinton anche a forzare la mano del Congresso dimostratosi sino ad oggi, sul problema della guerra, tutt'altro che allineato sulle posizioni della Casa bianca. E di sicuro assai meno succube nei confronti del governo e assai meno complice nel massacro in corso del parlamento italiano con tutti i suoi "limiti invalicabili" (tanto cari a Cossutta e Manconi) la cui incisività è pari a quella delle grida contro i bravi di manzoniana memoria. I No del Congresso Il presidente Clinton infatti dal 25 maggio è in aperta violazione del "War Powers Act" del 1973 varato dal Congresso proprio per bloccare i bombardamenti segreti sulla Cambogia. Secondo questa legge il presidente deve comunicare al Congresso entro 48 ore l'inizio delle ostilità e quindi entro 60 giorni deve porvi fine a meno che non ottenga il via libera di entrambe le camere. E il Congresso ha negato per ben due volte questo via libera. Una prima volta il 28 aprile quando il deputato Dennis J. Kucinich ha convinto altri 25 democratici a votare con lui insieme a 187 repubblicani negando a Clinton l'autorizzazione a bombardare la jugoslavia. Una autorizzazione che nelle intenzioni della Casa bianca avrebbe dovuto autorizzare anche l'intervento di terra. Una seconda volta nel mese di maggio quando gli speaker della Camera hanno tentato senza successo di eliminare dalla legge sullo stanziamento del bilancio della difesa un paragrafo che potrebbe bloccare il finanziamento della guerra. Ora quindi, scaduti i 60 giorni, il presidente Clinton potrebbe in teoria trovare sul suo cammino un giudice federale secondo il quale il presidente sta violando la Costituzione. Nel paese intanto, nonostante una ossessionante campagna di stampa, il numero dei favorevoli ai raid scende ad ogni sondaggio ed è ormai ridotto al 50%. E l'opposizione contro la guerra, agli inizi più debole di quella dei tempi del Golfo, va crescendo un pò in tutto il paese. E non solo a sinistra. Molti sono i falchi come Henry Kissinger che hanno espresso i loro forti dubbi sull'avventura nei Balcani sottolineando che potrebbe rimettere nei prossimi mesi in discussione sia i rapporti con la Russia e la Cina sia il futuro stesso della Nato. Il movimento pacifista da parte sua è sorto invece attorno all'International Action Center, fondato dall'ex ministro della giustizia Ramsey Clark, da anni impegnato contro il genocidio del popolo iracheno, le comunità religiose, una agguerrita pattuglia di intellettuali facenti riferimento a Noam Chomsky (con il suo appello degli intellettuali ebrei ai verdi tedeschi) e ai gruppi di sostegno a Mumia Abu Jamal, lo scrittore di colore, colpevole di aver denunciato il vero volto del razzismo americano, da anni nel braccio della morte. Particolarmente importante il ruolo dei leader delle varie comunità religiose: dai dirigenti di Pax Christi al Consiglio dei vescovi metodisti, dal reverendo Joan Campbell segretario generale del Consiglio nazionale delle chiese andato a Belgrado insieme a jesse Jackson. ***************************** PACIFISTI USA "La guerra è stata un fallimento" Parla l'ex comandante Nato, Eugene Carroll - PAT. LOM. - NEW YORK A bbiamo incontrato, mentre si prepara la protesta pacifista di sabato prossimo, Eugene Carroll, ex comandante delle forze Nato in Italia negli anni Ottanta ed ora direttore dell'organizzazione pacifista di militari contrari al riarmo Usa: il "Center for Defense information" di Washington. Qual è l'errore strategico-militare che la Nato ha commesso con questo intervento in Kosovo? E' stato fatale l'errore di Washington. Abbiamo ritenuto che i raid aerei fossero una garanzia per la difesa dei kosovari, col risultato che si sono duplicate le vittime. Perseguendo una guerra brutale che rende i kosovari due volte vittime, per i bombardamenti Nato e per l'espulsione dal Kosovo. Gli obiettivi che ci eravamo prefissi sono stati falliti in partenza. Da allora, il livello dei bombardamenti si è quadruplicato, con l'aggiunta continua di altre armi e aerei da combattimento. Stiamo distruggendo una nazione, e questo non protegge davvero i kosovari e non restituisce alla vita la popolazione civile morta, né assicura una parvenza di pace al popolo kosovaro. E' stato un fallimento, non si è ottenuto nulla, se non distruzione e morte. Cosa pensa dell'eventualità sempre più concreta di un invio di truppe? Vorrebbe dire un'aggravarsi del disastro. Invadere il Kosovo con truppe Nato provocherebbe un disastro di proporzioni inenarrabili. La guerra della Nato con alla testa la leadership americana per distruggere la Serbia - perché di questo si tratta - rappresenterebbe un'apocalisse umana. Un'apocalisse dalle tragiche somiglianze con l'escalation in Vietnam dell'Amministrazione Johnson... Purtroppo la verosimiglianza con l'escalation in Vietnam e la guerra in Kosovo è impressionante. Sembra di rivivere quasi una ripetizione degli stessi passi. L'intensificarsi del livello raggiunto dalla distruzione in Serbia con l'illusione di poter condizionare Milosevic ad arrendersi ha il precedente storico nell'aggressione dell'amministrazione Johnson, 25 anni fa, nel Vietnam. Un altro elemento simile è comportamento dei media americani nel presentare questo conflitto, alimentando l'ottimismo e la credibilità verso le leadership americana e Nato e il successo in questa guerra. Uno dei maggiori diffusori di questa propaganda è il portavoce Nato, Jamie Shea che da Bruxelles promette ogni giorno la "vittoria" con la propaganda (su: diserzione serba, fratture interne al regime di Milosevic, la distruzione delle capacità militari serbe). Questo modo di operare, durante la guerra del Vietnam si chiamava "la sindrome della luce alla fine del tunnel. Sappiamo ora come quella "luce" non avrebbe portato alla vittoria. Ma, lo stesso, veniamo alimentati ogni giorno nell' "illusione di luce e pace alla fine del tunnel". E' mondezza. Se affonderemo sempre più in questo disastro, gli spettri di 25 anni sono destinati a tornare, con scene da apocalisse in Jugoslavia, per le nuove armi impiegate dalla Nato per la prima volta in Jugoslavia contro la popolazione civile. Bisogna tornare al negoziato tra le due parti all'interno dell'Onu. Ritiene che alla fine si possa parlare di pace in quella regione dove è stato fatto un deserto? La "luce alla fine del tunnel" deve essere costituita dalla fine della violenza dei bombardamenti Nato da un lato e dalla violenza serba sui kosovari dall'altra. L'interposizione della forza militare internazionale deve essere sotto il mandato dell'Onu e costituita da forze Onu. Deve essere escluso che le unità militari siano guidate dal comando Nato. Cosa pensa di questa massiccia mobilitazione contro la guerra in Kosovo per la manifestazione di sabato, 5 giugno? Ora è decisivo che si senta la voce dell'America civile. Sarà una dimostrazione massiccia ed importante. E' bene che turbi la tranquillità della signora Albright, principale responsabile della guerra. Al Congresso Usa, all'Amministrazione farà capire che lo spirito che alimenta la popolazione americana è quello di andare verso la pace e non protrarre la guerra, e darà voce a quei settori della leadership americana che non sono più disposti a continuare quest'avventura di morte.