PRIMA DELLA GUERRA: DIARIO DAL KOSSOVO


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Recane e Suvareka, 9 febbraio 1999


la settimana passata e' trascorsa molto velocemente e non ho avuto il
tempo di appuntare quotidianamente il "lavoro" svolto. Martedi' 2/02
sono arrivati i "rinforzi" dall' Italia (Emanuele, Gianpiero,
Giorgetto, Gigi, Eva, Kappa) con la magnifica Jeep che e' costata
tutti i risparmi dell'Operazione Colomba. Una delegazione si e'
fermata a Pristina mentre in sette siamo tornati a Recane dove ci
siamo trovati senza acqua (che si e' ghiacciata) e senza luce (che era
stata tagliata per morosita'). Mercoledi' 3/02 la mattinata e'
trascorsa adempiendo al rito del permesso di soggiorno, per i nuovi
venuti, presso le autorita' serbe e nel pomeriggio in compagnia dei
bambini. Nel tardo pomeriggio siamo stati invitati per un caffe'
presso un'abitazione albanese dove il padrone di casa ha detto che con
la nostra presenza abbiamo dato un po piu' di liberta' alla gente.
Giovedi' 4/02 abbiamo atteso l'arrivo da Pristina degli altri e un
convoglio della Cooperazione Italiana con destinazione Recane. Un
funzionario della C.I. ci ha voluto incontrare per metterci in guardia
sugli eventuali pericoli che correremo nelle prossime settimane che
saranno decisive per il futuro del Kosovo. Venerdi' 5/02 Kappa,
Daniele, Gigi ed io ci siamo recati presso l'ufficio OSCE di Maliscevo
per chiedere informazioni sulla situazione in quell'area e sulla
eventuale possibilita' di andare a Dragobil, dove l'UCK ha una sorta
di quartier generale, a ricercare informazioni sui cinque scomparsi di
Recane. La risposta e' stata che non e' il caso di prendere iniziative
autonome perche' l'OSCE sta trattando per il rilascio di tutti i
prigionieri ai massimi livelli. Abbiamo in seguito incontrato, a
Oraovac un funzionario OSCE che si occupa esclusivamente di sparizioni
che ci ha riferito che quarantotto sono gli scomparsi da parte serba e
piu' di cento da parte albanese ha inoltre aggiunto di non essere in
possesso di nessuna informazione sullo stato attuale dei rapiti. Ieri
(6/02) e' finalmnte tornata la luce, Giacomo, Andrea e Kappa sono
tornati in Italia e noi abbiamo continuato il monitoraggio. A soli 10
Km da Recane, passato un posto di blocco della milizia serba, si entra
nel villaggio di Movljane che nonostante gli scontri non presenta il
solito scenario di devastazione ormai usuale qui in Kosovo. Movljane
segna il confine fra la zona controllata dalla milizia jugoslava e
quella in mano all'UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo). E'
infatti fortemente presidiato dalle forze di polizia serbe che hanno
arruolato molti riservisti locali, giovani chiamati a prestare
servizio in questo momento di forti tensioni. La milizia che e'
appostata all'entrata del paese, ci dice che la situazione e' molto
tranquilla. Con la divisa blu tipica della milizia incontriamo un
giovane serbo di Recane con il quale, qualche giorno fa, abbiamo
festeggiato l'anniversario di matrimonio, che ci dice:"loro non
sparano a noi e noi non spariamo a loro". E' da circa tre mesi infatti
che non ci sono scontri su quel versante della montagna. Il villaggio
di Movljane e' a presenza mista. Vivono infatti sia famiglie serbe che
albanesi. Nel corso della nostra visita ci siamo confrontati soltanto
con alcuni esponenti della parte serba, persone che hanno una grande
necessita' di "urlare" a tutti la loro sofferenza. A differenza di
quel che si possa pensare, sono anch'esse le vittime di questo
conflitto. Ci hanno raccontato che si sono ritrovati per tre mesi ad
essere accerchiati dalle forze dell'UCK, senza neanche poter uscire
dalle loro case perche' costantemente sotto il tiro dei cecchini. A
ottobre e' arrivato poi l'esercito e l'UCK si e' ritirato, anche tutta
la popolazione albanese si e' riparata nei boschi ma i serbi hanno
impedito che venissero bruciate le loro case. L'esercito ha poi
ordinato ai civili albanesi, attraverso i vicini serbi, di rientrare
alle loro case pena la morte nei boschi. Dopo il rientro della
componente albanese nel villaggio e' iniziata l'ispezione da parte
della milicia che ha portato all'arresto di venti giovani albanesi e
all'uccisione di uno sospettati di appartenere all'UCK e all'incendio
di tre case dove sono state trovate delle armi. Uno dei nostri
interlocutori serbi ci ha poi detto che non sarebbe comunque disposto
a vivere nel villaggio senza la componente albanese. Questa versione
dei fatti e' sicuramente di parte e non verificata ma forse in parte
vera. Fra i serbi, in questi giorni, abbiamo sentito il racconto di
sedici ragazze albanesi rapite dall'UCK per fini poco chiari ma e'
risultata una notizia infondata. Oggi, domenica, ci siamo nuovamente
recati a messa presso la parrocchia di padre Lusch Georgi con il quale
abbiamo pranzato e conversato presso le suore. Nel tardo pomeriggio
alcuni di noi sono stati al bar serbo dove, come sempre si e'
chiacchierato e bevuto abbondantemente.