la settimana passata e' trascorsa molto velocemente e non ho avuto il tempo di appuntare quotidianamente il "lavoro" svolto. Martedi' 2/02 sono arrivati i "rinforzi" dall' Italia (Emanuele, Gianpiero, Giorgetto, Gigi, Eva, Kappa) con la magnifica Jeep che e' costata tutti i risparmi dell'Operazione Colomba. Una delegazione si e' fermata a Pristina mentre in sette siamo tornati a Recane dove ci siamo trovati senza acqua (che si e' ghiacciata) e senza luce (che era stata tagliata per morosita'). Mercoledi' 3/02 la mattinata e' trascorsa adempiendo al rito del permesso di soggiorno, per i nuovi venuti, presso le autorita' serbe e nel pomeriggio in compagnia dei bambini. Nel tardo pomeriggio siamo stati invitati per un caffe' presso un'abitazione albanese dove il padrone di casa ha detto che con la nostra presenza abbiamo dato un po piu' di liberta' alla gente. Giovedi' 4/02 abbiamo atteso l'arrivo da Pristina degli altri e un convoglio della Cooperazione Italiana con destinazione Recane. Un funzionario della C.I. ci ha voluto incontrare per metterci in guardia sugli eventuali pericoli che correremo nelle prossime settimane che saranno decisive per il futuro del Kosovo. Venerdi' 5/02 Kappa, Daniele, Gigi ed io ci siamo recati presso l'ufficio OSCE di Maliscevo per chiedere informazioni sulla situazione in quell'area e sulla eventuale possibilita' di andare a Dragobil, dove l'UCK ha una sorta di quartier generale, a ricercare informazioni sui cinque scomparsi di Recane. La risposta e' stata che non e' il caso di prendere iniziative autonome perche' l'OSCE sta trattando per il rilascio di tutti i prigionieri ai massimi livelli. Abbiamo in seguito incontrato, a Oraovac un funzionario OSCE che si occupa esclusivamente di sparizioni che ci ha riferito che quarantotto sono gli scomparsi da parte serba e piu' di cento da parte albanese ha inoltre aggiunto di non essere in possesso di nessuna informazione sullo stato attuale dei rapiti. Ieri (6/02) e' finalmnte tornata la luce, Giacomo, Andrea e Kappa sono tornati in Italia e noi abbiamo continuato il monitoraggio. A soli 10 Km da Recane, passato un posto di blocco della milizia serba, si entra nel villaggio di Movljane che nonostante gli scontri non presenta il solito scenario di devastazione ormai usuale qui in Kosovo. Movljane segna il confine fra la zona controllata dalla milizia jugoslava e quella in mano all'UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo). E' infatti fortemente presidiato dalle forze di polizia serbe che hanno arruolato molti riservisti locali, giovani chiamati a prestare servizio in questo momento di forti tensioni. La milizia che e' appostata all'entrata del paese, ci dice che la situazione e' molto tranquilla. Con la divisa blu tipica della milizia incontriamo un giovane serbo di Recane con il quale, qualche giorno fa, abbiamo festeggiato l'anniversario di matrimonio, che ci dice:"loro non sparano a noi e noi non spariamo a loro". E' da circa tre mesi infatti che non ci sono scontri su quel versante della montagna. Il villaggio di Movljane e' a presenza mista. Vivono infatti sia famiglie serbe che albanesi. Nel corso della nostra visita ci siamo confrontati soltanto con alcuni esponenti della parte serba, persone che hanno una grande necessita' di "urlare" a tutti la loro sofferenza. A differenza di quel che si possa pensare, sono anch'esse le vittime di questo conflitto. Ci hanno raccontato che si sono ritrovati per tre mesi ad essere accerchiati dalle forze dell'UCK, senza neanche poter uscire dalle loro case perche' costantemente sotto il tiro dei cecchini. A ottobre e' arrivato poi l'esercito e l'UCK si e' ritirato, anche tutta la popolazione albanese si e' riparata nei boschi ma i serbi hanno impedito che venissero bruciate le loro case. L'esercito ha poi ordinato ai civili albanesi, attraverso i vicini serbi, di rientrare alle loro case pena la morte nei boschi. Dopo il rientro della componente albanese nel villaggio e' iniziata l'ispezione da parte della milicia che ha portato all'arresto di venti giovani albanesi e all'uccisione di uno sospettati di appartenere all'UCK e all'incendio di tre case dove sono state trovate delle armi. Uno dei nostri interlocutori serbi ci ha poi detto che non sarebbe comunque disposto a vivere nel villaggio senza la componente albanese. Questa versione dei fatti e' sicuramente di parte e non verificata ma forse in parte vera. Fra i serbi, in questi giorni, abbiamo sentito il racconto di sedici ragazze albanesi rapite dall'UCK per fini poco chiari ma e' risultata una notizia infondata. Oggi, domenica, ci siamo nuovamente recati a messa presso la parrocchia di padre Lusch Georgi con il quale abbiamo pranzato e conversato presso le suore. Nel tardo pomeriggio alcuni di noi sono stati al bar serbo dove, come sempre si e' chiacchierato e bevuto abbondantemente.