LETTERA APERTA A PRESIDENTE DEL CONSIGLIO



Egr. Presidente del Consiglio 
Massimo D'Alema


La guerra è autoreferenziale. La logica della guerra non esige solo la
distruzione del Nemico (dopo averne costruito l'immagine), ma comporta
anche l'annullamento simbolico di ogni alternativa non bellica, di
ogni logica di pace. Tutto ciò che si è fatto, si sarebbe potuto e si
potrebbe fare di efficace con gli strumenti della politica, viene
cancellato dalla guerra, nella realtà e nella coscienza collettiva,
respinto definitivamente come fallimentare. La guerra così può
nuovamente autocelebrarsi e autolegittimarsi come risolutrice di
conflitti. E addirittura, oggi, come strumento "umanitario":
l'ossimoro più tragico, la grande menzogna di chi, in nome dei diritti
umani, vìola nel modo più brutale quegli stessi diritti umani. Questa
è l'eredità più terribile che ci lascia questa guerra, la sconfitta
più grande.  E noi  oggi ci sentiamo sconfitti. Non perché siano
sconfitti gli strumenti della politica e della pace, ma perché
qualcuno li ha conculcati per farli apparire tali. Quando una
dittatura cancella una democrazia, non è la democrazia ad essere
sconfitta, ma i cittadini che glielo rendono possibile.

Oggi, complice anche l'imminenza delle elezioni europee, si è arrivati
alla fine del conflitto. E si è giunti - attraverso l'accordo dei G8 -
allo stesso identico risultato cui si poteva arrivare 4 mesi fa, a
Rambouillet, se solo il falco della Casa Bianca, Madeleine Albright,
non si fosse impuntato nell'imporre ai serbi condizioni definite da
molti inaccettabili: la presenza esclusiva della NATO in territorio
jugoslavo, con poteri tali da prefigurarsi, nella sostanza, quale
forza di occupazione e clausole-capestro che, se la eludevano nella
forma, nella sostanza sancivano la secessione del Kosovo. Sappiamo
bene che a Rambouillet la parte jugoslava aveva già accettato senza
riserve di restituire l'autonomia al Kosovo (confermata anche da una
successiva risoluzione del parlamento jugoslavo), chiedeva solo che la
minoranza serba fosse tutelata (dalle violenze dell'Uck) e che la
forza di interposizione non fosse solo NATO (ne avevano già
sperimentato la scarsa imparzialità).  Il piano del G8, grazie alla
Russia, ha tenuto conto di queste esigenze e soprattutto ha cercato di
restituire all'ONU, sebbene "a cose fatte" (come voleva la Albright),
la legittima gestione della crisi.  Se non che "Mamma Boss" non ha
perso il vizio di truccare le carte e al vaglio del Consiglio di
Sicurezza è stato sottoposto un documento "incompleto" che non
menzionava ciò che Russia e Cina non avrebbero potuto accettare ma che
invece era già stato deciso: e cioè che il comando delle forze di
interposizione dovrà essere unicamente NATO. Sono solo dettagli di un
quadro ben più complesso e più "sporco", ma permettono di capire anche
le ragioni della diffidenza serba e le difficoltà incontrate
nell'arrivare ad un accordo definitivo, nonché le schermaglie pietose
di questi giorni tra i vari contingenti entrati nel Kosovo. 

Comunque sia, si è arrivati ad un risultato cui si poteva arrivare già
a Rambouillet. Solo che in mezzo ci sono stati 2000 morti civili (fra
cui centinaia di bambini) - e ognuno aveva un volto, una storia,
ognuno era titolare di diritti umani, che sono universali; almeno
altrettanti morti tra i militari serbi, migliaia di feriti, di
disoccupati, di senza tetto, un'intera economia distrutta e riportata
quasi al preindustriale, le infrastrutture azzerate, un disastro
ambientale causato dall'uso dell'uranio impoverito e dal bombardamento
delle industrie chimiche, le cui conseguenze future, anche sulla
nostra salute, sono difficilmente calcolabili. In mezzo c'è stata una
guerra contro l'ONU, completamente esautorata dei poteri che la
comunità internazionale le aveva conferito e oggi ridotta al rango di
semplice esecutore; in mezzo c'è stata la violazione di fondamentali
princìpi giuridici e del patto democratico che impone sia il
parlamento a decidere su questioni di tale importanza e gravità; è
passata, in sordina, la ridefinizione delle funzioni dell'alleanza
atlantica, non più solo difensive (e non pare che ad alcun parlamento
la questione sia stata sottoposta);  si è ricacciata l'Europa al ruolo
di entità subalterna (persino il mediatore "europeo" Ahtisaari è stato
imposto dalla Albright, rifiutando la candidatura dello svedese Bildt,
definito "troppo ONU"); si sono poste le condizioni per l'occupazione,
da parte occidentale, di un territorio di importanza nevralgica per
assicurarsi il dominio sulle vie del petrolio e del gas naturale
caucasici. Si sono risvegliati antiche diffidenze e antichi odi
anti-occidentali, con il risultato che ora molti paesi esterni
all'alleanza atlantica, e che la vivono come una potenziale minaccia,
riprenderanno la propria  corsa al riarmo. Si sono, infine - e non è
poco, ingannati i cittadini su questioni vitali e l'informazione si è
fatta spudoratamente propaganda. Chi pagherà per tutti questi crimini?
Solo Milosevic?

Ma Lei tutte queste cose le sa perfettamente, Presidente. Lei non è un
folle, né un ingenuo.
Noi ci sentiamo traditi, e nel modo peggiore, da Lei, dal Suo partito
e da tutti i partiti di governo. Lei si è reso complice - e ha reso
complici noi tutti - di crimini contro l'umanità, che le indubbie
colpe di Milosevic non bastano ad oscurare né a giustificare. E
perché? Per sdoganare definitivamente, agli occhi della compagine
atlantica, il Suo passato di comunista?  Era la prova - sanguinosa -
di "affidabilità" dovuta ai potenti alleati americani? Tutto questo
vale l'uccisione di un bambino? Lo scatenamento di una catastrofe
umanitaria, che si poteva evitare? Ha ragione Edgardo Bonalumi a
chiederLe, dalle pagine del Manifesto, di cosa mai Lei si debba
sentire "orgoglioso".

Oggi gli europei sono chiamati a votare per eleggere il Parlamento,
per rinnovare il patto tra cittadini e istituzioni in un momento in
cui questo patto è stato violato unilateralmente da tutti i paesi
europei. Sentiamo forte la necessità di esprimere la nostra distanza
da questa politica che riduce il ruolo della società civile a semplice
ratifica di scelte che ci vengono imposte. E' un gesto faticoso che ci
costa sofferenza. Lo facciamo rispedendo a Lei, Sig. Presidente, il
nostro certificato elettorale. E' una testimonianza che rendiamo nella
convinzione che la guerra sia un discrimine, una lacerazione del
vivere civile che richiede a tutti, tutte una presa di coscienza in
prima persona.  

Non è un addio definitivo al voto. Voteremo ancora.  Ma scegliendo di
volta in volta quei partiti e quelle forze che inequivocabilmente e
nei fatti metteranno al primo posto la salvaguardia della pace, il
rispetto - sostanziale e non pretestuoso - dei Diritti Umani, il
rispetto della Costituzione e del Diritto internazionale, il
ripristino del legittimo ruolo dell'ONU, politiche internazionali che
non siano di sfruttamento, di dominio, di violenza.  La società civile
non starà a guardare, si organizzerà perché nel 2000 questi siano
obiettivi imprescindibili.  

Nel frattempo, se non ci pensano i Tribunali internazionali a tutelare
la giustizia, siano almeno i cittadini a togliere la delega a chi ha
commesso errori così irreparabili.


Anna Baluganti
Guido Cristini
Marisa Mantovani


Mantova, 13 giugno 1999