Un gruppo di tre persone dell'Op. Colomba e' partito martedi' 24 marzo per il Kossovo, per incontrare rappresentanti serbi ed albanesi e per proporre una nostra prsenza a fianco dei piu' poveri...
Il Kossovo, popolato da circa 2.000.000 di abitanti, e' composto per il 90% da albanesi e per il restante 10% da serbi e montenegrini. Dal 1989 il Kossovo ha perso il suo status di regione autonoma all’interno della federazione di Yugoslavia. Da allora tutti gli albanesi sono stati espulsi dai posti di lavoro ed esclusi dall’insegnamento di ogni grado. I giovani albanesi sono stati espulsi dalle scuole e dalle universita'. Queste azioni hanno condotto ad un progressivo regime di apartheid anti-albanese. Insieme a quest’emarginazione sociale ed economica si e' sviluppata un’azione di violenza istituzionale che ha avuto nella polizia e nei suoi corpi speciali (sotto diretto controllo di Belgrado) i suoi strumenti principali. La violenza istituzionalizzata ha assunto proporzioni e forza crescente. La risposta del popolo albanese (dopo un lungo cammino di riconciliazione tra albanesi per sanare le ferite delle faide decennali) ha seguito la resistenza nonviolenta e la creazione di un sistema di assistenza sociale, educativa, sanitaria ed alimentare sotterranea e parallela, aperta anche alle fasce piu' deboli e disagiate della popolazione serba. La creazione di questo sistema ha consentito alla maggioranza albanese di sopravvivere in questi anni. La popolazione albanese ha espresso in numerose elezioni clandestine il proprio appoggio a Ibrahim Rugova (Lega Democratica del Kossovo), presidente clandestino del Kossovo, e la propria volonta' di avere una dignita' di popolo. Nell’azione di resistenza nonviolenta la chiesa cattolica ha avuto un importante ruolo con il Vescovo Prela e padre Giergij Liusch. Ruolo riconosciuto anche dalla Comunita' Islamica che dimostra una notevole apertura e volonta' di dialogo con i cattolici, oltre che la condivisione della linea nonviolenta. Negli ultimi anni si sono succedute le morti di numerosi albanesi in circostanze misteriose e spesso sotto detenzione o interrogatorio. La spirale di crescente violenza e negazione dei diritti individuali degli albanesi ha avuto negli ultimi mesi una risposta armata di alcuni isolati gruppi albanesi. Si sono verificati alcuni attentati a poliziotti e collaboratori della polizia. La risposta delle autorita' serbe non si e' fatta attendere ed e' partita da una crescente militarizzazione del territorio tramite le forze speciali della polizia. La crescente tensione ha portato nel Marzo al massacro della zona di Drenica, popolata al 100% da albanesi mussulmani, ove le forze speciali di polizia, dopo aver accerchiato la zona di Drenica, hanno dato via ad un massacro che ha visto uccidere oltre 100 civili, compresi donne, bambini e vecchi. Le foto diffuse dal Comitato per la Difesa dei Diritti Umani di Pristina dimostrano come sui corpi siano state esercitate torture, mutilazioni, bruciature e violenze di ogni tipo. E’ stata segnalata anche la presenza in tale zona di miliziani dei gruppi di Arkhan, noto criminale di guerra in Bosnia Erzegovina. Le violenze hanno creato un esodo di oltre 25.000 persone rifugiatesi presso altre famiglie in Kossovo, aggravando ulteriormente la situazione umanitaria della popolazione albanese. Negli ultimi mesi sono poi oltre 3000 le persone scappate dal Kossovo per paura dello scoppio di un conflitto. Molte sono in Montenegro o in Croazia. In quest’ultimo paese sono indirizzati nell’area delle ex-Kraijne, aggravando ulteriormente il problema ancora aperto del ritorno dei serbi di Croazia fuggiti, a loro volta, nel 1995. Il popolo albanese del Kossovo, dopo il massacro di Drenica, ha votato ed ha confermato il suo consenso all’LDK ed ad una soluzione negoziale della questione. Ma il massacro di Drenica ha scavato un solco profondo tra i due popoli e il rischio che la logica dell’odio e della vendetta si affermi e' ogni giorno maggiore. La firma nelle scorse settimane di un accordo tra albanesi e serbi sul rientro degli studenti albanesi nelle scuole (patrocinato dalla Comunita' di Sant’Egidio) resta un’opportunita' di attenuare le tensioni e dare inizio ad un dialogo, ma il massacro pesa e le trattative ulteriori si prefigurano improponibili per gli albanesi senza le garanzie di una mediazione internazionale. Diviene difficile fidarsi di chi ha massacrato donne e bambini. Inoltre il Presidente Yugoslavo Milosevic intende ridurre il problema ad una questione interna alla Repubblica Serba (una delle due componenti della nuova Federazione Yugoslava insieme con il Montenegro) e non intende considerarla come un problema per tutta la Federazione come gli albanesi del Kossovo chiedono. Inoltre la delegazione inviata dalla Serbia per trattare e', ad opinione di molti, priva di vera rappresentativita' e autorevolezza e servirebbe solo a creare ulteriori occasioni di conflitto. A Pristina (capitale del Kossovo) si susseguono le manifestazioni albanesi (piena di dignita' quella delle donne con i fogli bianchi e poi con il pane per le vittime della violenza) e quelle dei serbi contro ogni accordo sulle scuole. L’empasse di ogni trattativa, la violenza imperante, la stanchezza della popolazione albanese rischiano di portare alla scelta armata. Tale prospettiva e' terribile in quanto Drenica indica a cosa si potrebbe andare incontro con potenziali coinvolgimenti di Stati vicini come Macedonia, Albania, Bulgaria e Grecia. La popolazione albanese attende segni di solidarieta' e persone pronte ad aiutare il dialogo con il popolo ed il governo serbo. La chiusura del governo serbo e l’unita' di tutte le forze politiche serbe su questa posizione non aiutano il dialogo e la Chiesa ortodossa resta un interlocutore da scoprire, che potrebbe giocare un importante ruolo nell’avvio di un dialogo. Le speranze di pace restano appese ad un filo e resta da capire come evitare un nuovo conflitto e come trovare una soluzione di convivenza altrimenti uno dei due popoli sara' sempre oppresso e prevarra' non la giustizia ma una visione albanese o serba della giustizia. Samuele Filippini, Giovanni Grandi, Andrea Pagliarani