Autosospensione Roberto Cucchini dalla CGIL


Carissimi amici di Peacelink, vi invio la lettera (di cui ampi stralci 
hanno già pubblicato "il manifesto" e "Bresciaoggi") che Roberto Cucchini 
ha inoltrato a Sergio Cofferati per comunicargli la autosospensione 
dalla CGIL, organizzazione sindacale nella quale militava da trent'anni.
Forse qualcuno di voi lo ha già conosciuto negli anni passati: dalla
formazione dell'archivio disarmo, alle lunghe battaglie contro la
proliferazione nucleare, alla difficile costruzione di percorsi di
riconversione dell'industria armiera fino all' impegno diretto nella
crisi Bosniaca, Roberto - e l'archivio storico della CGIL bresciana, che ha
costruito e diretto per anni - è stato sempre un punto di riferimento
imprescindibile per qualsiasi iniziativa pacifista bresciana. Ma oltre
Brescia, Roberto è conosciuto e apprezzato per il suo lavoro in gran
parte d'Italia. 
La sua dolorosa scelta è stata vissuta con rispetto e solidarietà da
tantissimi amici e compagni che in questi hanni hanno lottato assieme a
lui.
Ma meglio di ogni altro commento vale la lettera che vi accludo.
Vi ringrazio per il vostro preziosissimo lavoro e vi saluto
calorosamente.

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Brescia,17.5.99

Alla cortese attenzione
di Sergio Cofferati
Segretario generale della Cgil
C.so d'Italia ,1
Roma

e p.c. a
Mario Agostinelli
Segretario generale della Cgil Lombardia
V.le Marelli, 497
Sesto S. Giovanni
Milano

Gianni Pedò
Segretario generale della Camera del lavoro
P.zza Repubblica, 1
Brescia


Caro Cofferati, 
con questa mia ho deciso di autosospendermi dalla Cgil rimettendoti la
mia tessera e di conseguenza rinunciando agli incarichi politici
ricoperti.

Le parole e le considerazioni che leggerai non sono state scritte a
cuor leggero, soprattutto da chi come me ha oramai dietro le proprie
spalle una trentennale militanza sindacale; mi sono  costate molta
fatica perché segnano un punto di passaggio, una scansione sia nel mio
impegno di iscritto a questa Confederazione sia nella mia stessa vita
personale  per quel ineffabile  e straordinario miscuglio di
sentimenti, pensieri, emozioni ed esperienze che fanno della esistenza
di ognuno di noi un tutto unico ed irripetibile di vicende private ed
impegno sociale. E' stato difficile e doloroso vivere dall'interno di
questo mio sindacato il dramma della guerra in corso nei Balcani  e
con esso i vari passaggi che hanno contraddistinto le scelte operate
dai massimi organismi della Confederazione in merito a tale problema.
Io sono attivo da molti anni  nel movimento pacifista ed  in  gruppi
impegnati nella solidarietà internazionale; ho quindi maturato il più
delle volte fuori e  in alcune occasioni anche contro gli orientamenti
politici prevalenti in questa organizzazione una cultura che ha
ispirato i miei atteggiamenti e comportamenti quotidiani cercando di
arricchire, forse con un po' di presunzione ma con scarsa fortuna, il
'patrimonio genetico' della Cgil. . 
Con la prima dichiarazione unitaria delle tre  Confederazioni
nazionali in merito al conflitto che coinvolge il Kosovo e la Serbia,
ho purtroppo dovuto prendere atto non tanto di una scelta politica
ispirata ad una logica d'emergenza ma di qualcosa di più profondo e
radicale: un cambiamento etico, morale ,di sensibilità umana e di
riferimento ideale che ha investito e ridefinito a mio parere  la
natura del movimento sindacale italiano nel suo complesso, atto
conclusivo di una vicenda forse iniziata molto tempo fa; per la prima
volta  nella sua storia di questi ultimi 50 anni questa organizzazione
ha certificato formalmente anche a mio nome un atto di guerra compiuto
da un governo come una 'contingente necessità'. Ora ,a circa 50 giorni
dall'inizio del conflitto, queste due parole 'contingente' e
'necessità' si ripropongono in tutta la loro stridente vacuità
irridendo alla realtà che è sotto gli occhi di tutti: perché la
'contingenza' si è rivelata una scelta strategica mentre la 'necessità
' dei bombardamenti data dalla volontà di fermare la pulizia etnica di
Milosevic ha mostrato tutta la sua fallimentare presunzione per i
mezzi a cui si è ciecamente affidata facendo diventare vittime del
presunto 'intervento umanitario' coloro che dalla repressione serba
dovevano essere difesi. Quando la Cgil si è schierata e mobilitata in
vari e difficili momenti della storia nazionale ed internazionale a
fianco delle ragioni dei popoli più deboli (con  i movimenti di
liberazione o i popoli schiacciati dalle diverse dittature in Asia,
Africa ed America Latina), ha sempre sostenuto  tali cause
'politicamente' e non si è mai riconosciuta, come invece ha fatto ora,
in bombardamenti 'umanitari', in stragi 'intelligenti', in
'inevitabili danni collaterali' considerandoli 'contingente
necessità'.
So che a questo punto, caro Segretario generale della Cgil, potresti
rispondermi rilevando come sia cambiato il contesto internazionale
dopo la fine della 'guerra fredda'  e come oggi la difesa dei diritti
umani abbia un peso che solo 10 o 20 anni fa non gli veniva
riconosciuto essendo altre le priorità dettate dal quadro degli
interessi geopolitici in gioco; se questo è vero allora bisognerebbe
anche ricordare come  proprio lo sviluppo della cultura giuridica
internazionale - più che di una sensibilità ed azione politica
conseguenti - contempli l'inscindibilità di questi stessi  diritti
umani cosicché quelli politici e civili non possono non intrecciarsi
con quelli sociali, culturali, religiosi ed ecologici di tutti i
soggetti collettivi considerati. Non viene riconosciuta alcuna scala
di priorità, un indice di gradimento rispetto al quale ogni governo o
istituzione internazionale decide di privilegiare arbitrariamente, a
suo insindacabile giudizio,  l'uno piuttosto che l'altro diritto : o
si affermano insieme o non possono vivere e realizzarsi divisi l'uno
dall'altro.  Invece non posso che riscontrare come proprio questi (i
cosiddetti 'diritti di seconda e terza generazione') vengano
quotidianamente irrisi, negati, stravolti proprio da chi oggi si erge
ad unica forza capace di porre freno alla 'barbarie' incombente di
qualche tiranno in libera uscita col quale, va ricordato, come del
resto coi vari dittatori mediorientali,  asiatici , africani e latino
americani ,gli attuali difensori delle 'virtù civili ed umane '
calpestate hanno lungamente intrecciato fruttuosi rapporti diplomatici
ma soprattutto  appagato con lucrosi affari i propri interessi
economici e finanziari a beneficio anche dei loro rispettivi popoli.
E' stato affermato poi che l'intervento alleato era necessario per far
cessare l'efferata repressione dei serbi ; un'emergenza quindi. Ma
oramai nessuno dovrebbe nutrire dei dubbi che proprio 'emergenza' è il
nuovo nome della politica, che il 'qui ed ora' sono i suoi imperativi
, che il senso della storia e l'idea di un progetto che si dispieghi
oltre l'immediatezza hanno lasciato il campo proprio a questo concetto
che evoca operazioni chirurgiche 'per il bene di tutti'. Una politica
del giorno dopo giorno, dove il 'domani' non è che un altro oggi e non
invece 'una speranza da usare' facendola diventare - come recita quel
verso del poeta friulano  Leonardo Zanier che tu conosci - 'mani occhi
e rabbia' per vincere la paura di questo nostro oggi così angustamente
cinico, prepotentemente chiuso al respiro di una profezia laica che ci
riconsegni il senso profondo di un nuovo e più maturo impegno civile.
Così abbiamo l'emergenza umanitaria, quella ambientale, per
l'occupazione, per l'immigrazione  ecc. Mai una politica. Ciò fa
sorgere un dubbio : che dietro a questa parola magica, così
emotivamente coinvolgente, si nasconda una meno 'nobile' necessità?
Quella in sostanza di continuare a definire in modo strumentale,
secondo le ragioni che soddisfano gli  inconfessabili interessi dei
più forti ( economicamente e militarmente), una necessità di 'fare'
subito qualcosa con l'obiettivo implicito di  far diventare l'
eccezione la norma de facto, riscrivere  le leggi ed i trattati per
imperscrutabili interessi politici? Le regole , i diritti che la
società si è data sono un impedimento a chi si erge oggi a garanzia
del 'nuovo bene comune' dell'umanità. Oramai il nuovo nome della
guerra è proprio 'emergenza umanitaria' che sviluppa nell'immaginario
di larghi settori dell'opinione pubblica sensazioni e volontà positive
che accompagnano ed assecondano nei fatti il 'volto brutto ma
necessario' del conflitto armato e nello stesso tempo garantiscono il
consenso alle scelte del potere. Così come oggi tutti chiamano 'pace'
una 'tregua armata' come quella in atto in Bosnia. Siamo davanti a
quella che i linguisti definiscono una 'catastrofe semantica': usiamo
le stesse parole, gli stessi concetti ma il significato che ognuno di
noi dà ad essi è diverso per non dire antitetico. Per questo non ci
capiamo più.
Naturalmente 'l'ingerenza umanitaria' vale solo per quei' popoli senza
storia' che volta per volta rientrano nel disegno strategico delle
potenze economicamente e militarmente più forti: per i kosovari , solo
perché l'obiettivo è ciò che resta del vecchio blocco dell'est, ma
non  varrà mai invece  per i kurdi, i rwandesi, i kenioti,i  tibetani,
gli   algerini  ecc. né per tanti altri popoli del mondo . Per questi
popoli, persone che vivono e muoiono nel cono d'ombra della periferia
della grande storia nel disinteresse generale,  non invoco
naturalmente 'bombe umanitarie' ma semplicemente l'intervento delle
Nazioni unite, della diplomazia e di forze che ricostruiscano le
ragioni della convivenza e quindi ,come conseguenza logica, della
sicurezza comune. Simon Weil scriveva che 'la violenza è la pretesa di
far sognare i propri sogni all'altro'; io non voglio che gli albanesi
del kosovo siano obbligati a sognare  come vorrebbe Milosevic ma  non
desidero nemmeno che il 'sogno unico' (come il pensiero)che mi rimane
sia quello che mi vogliono imporre i grandi e superarmati paesi di
questo 'democratico e ricco' occidente.
Io che in questa Cgil ho infondo contato molto poco, ho però cercato
di dire assieme ad altri compagni e compagne, di ricordare  già dai
primi anni '90 che in Kosovo la situazione si stava deteriorando e che
quindi bisognava che anche il sindacato appoggiasse le forze
democratiche dell'area balcanica e la strada non violenta per aiutare
un cambiamento positivo di quella realtà.: lo ha fatto la Comunità di
S. Egidio che crediamo conti( naturalmente per il numero di tessere)
un po' meno di noi...! Ma nessuno ci ascoltava, perché
l'iscritto/militante pacifista era visto come un disturbatore delle
quiete pubblica, sopportato come un visionario; la politica, quella
con la P maiuscola, aveva ben altri referenti, doveva muoversi su ben
altri orizzonti... Quali gli interventi delle Confederazioni? Nessuno.
Sapevamo delle sofferenze del popolo Kosovaro e nel nostro piccolo
cercavamo di lanciare dei segnali che cadevano inesorabilmente nel
vuoto. Ti chiedo: quale è stata la nostra politica come Cgil? Quale il
progetto?  Quale la volontà di fare di quelle idee ed elaborazioni  la
traccia di un'iniziativa possibile su cui mobilitare per tempo
risorse, energie, la nostra stessa gente? Nessuna. Ma intanto
aderivamo  a tutte le 'Perugia - Assisi' possibili! Oggi sappiamo che
i kosovari sono le vittime designate, merce di scambio (come tutti i
popoli del resto) di un cinico e osceno gioco che vede di fronte un
dittatore come Milosevic e le potenze politico - militari della Nato:
a quasi un mese e mezzo di distanza dall'inizio dei bombardamenti a
tutti coloro che mantengono ben aperti gli occhi della ragione appare
chiaro che di umanitario questo intervento non ha nulla. O che è
fallito miseramente semplicemente perché  i mezzi non erano
conseguenti al fine e l'operazione serviva per mascherare subdolamente
ben altri scopi.  Le deportazioni da parte dell'esercito di Belgrado
sono continuate come se nulla fosse ed a questo oggi si aggiungono le
immani rovine di due paesi distrutti (Kosovo e Serbia)e le sofferenze
inflitte alle popolazioni di questa regione il cui unico torto è
quello di ritrovarsi col regime che sappiamo.
Ho atteso con trepidazione che il tuo intervento ad Ancona in
occasione del 1°maggio scorso segnasse un ripensamento ma ho dovuto
ancora una volta ricredermi: come si fa a sostenere che 'non
permetteremo mai un intervento di terra' lasciando infondo capire che
quelli di cielo, i cui effetti sono ogni giorno sotto i nostri occhi,
possono invece continuare e che la nostra preoccupazione - questo
leggo  in questa tua affermazione - sia solo quella di preservare le
'nostre' di vite ( quelle alleate, quelle occidentali) mentre le
altre...Lo sciagurato attacco di terra non sarebbe altro che la forma
ultima di un evento in atto , la guerra per l'appunto, che in sè
doveva e deve essere rigettata in modo netto, inequivoco, come tale.
Avevo sperato di ascoltare ben altre idee, per lo meno  la proposta di
una tregua perché le parole avessero il tempo di  articolare una
diversa e positiva volontà. Bisognava almeno tentare, rischiare.
Niente. Io non contesto quanto da te affermato, come altri invece
hanno fatto, perché troppo simile alle considerazioni svolte dal
presidente del consiglio e dall'attuale governo; non è questo il
livello della discussione che mi interessa. Debbo prendere
semplicemente atto che questo mio sindacato ha superato l'ambiguità
del 'né aderire né sabotare ' sostenendo nei suoi comportamenti
politici conseguenti proprio la prima scelta.
Ma c'è una seconda ragione  che mi ha portato a compiere questo atto e
che è forse per me più importante della prima. La guerra è un
avvenimento che si compie per volontà di pochi , col consenso passivo
dei più e che diviene operativo con dei mezzi particolari: le armi.
Milioni di dollari vengono gettati ogni giorno in questa immonda
carneficina 'umanitaria': una piccola parte di questi sarebbe potuta
servire ad affrontare e garantire le risorse economiche per cancellare
il debito estero di tanti paesi, ad riavviare e consolidare economie,
a risanare e a creare occupazione ...Negli ultimi 50 anni ci sono
stati 150 conflitti con 23 milioni di morti, quasi tutti nel Sud del
mondo! Nessuno si ricorda mai di queste vittime ingombranti  che la
nostra così civile, umana, società rimuove ogni giorno dalla propria
coscienza. Chi armava e arma  i dittatori e chi forniva e continua a
fornire le armi ai loro  eserciti? Anche noi italiani! Da dove
uscivano ed escono queste armi ?Anche dalle nostre fabbriche,
bresciane e non. Carissimo segretario generale della Cgil,  tra il '96
e '98-quindi sotto l' attuale governo - l'Italia ha venduto a
Milosevic armi leggere per 125 mila dollari in dispregio di una legge
di questo Stato democratico , la 185/90, che vieta di commerciare tali
sistemi bellici con paesi in cui non vengono rispettati i diritti
umani: ora questo nostro contributo 'armato' alla bilancia dei
pagamenti nazionale serve a reprimere i kosovari! Ancora una volta: il
nostro benessere si costruisce quotidianamente sulla pelle -e
purtroppo non in senso metaforico - di povere vittime innocenti. Non
ti pare che anche questo fatto ci ponga dei problemi e forse lo ponga
anche al sindacato bresciano nel momento in cui la quasi totalità di
tali armi vengono prodotte in queste valli? Questi piccoli e grandi
strumenti di morte ( ma si usa dire 'di difesa')  escono od uscivano
dalle nostre aziende nazionali, dagli aerei alle mine antipersona, e
servono ad uccidere, reprimere, infliggere spaventose sofferenze e nel
contempo impoveriscono popoli interi letteralmente strangolati dal
debito a cui hanno contribuito scellerati e corrotti governanti locali
i cui palazzi sono stati ampiamente frequentati dai nostri 'mercanti
di morte', in divisa e non, con incarichi ministeriali o senza. E noi
come sindacato, ai suoi vari livelli,  come Cgil, cosa dicevamo, cosa
abbiamo concretamente non detto ma fatto? Ancora niente. Quali scelte
abbiamo compiuto per cominciare a costruire una cultura ,un sentire
comune della nostra gente e con questo un'azione politica ed anche
rivendicativa che aprisse la strada alla riconversione di questo
settore industriale? Nessuna .E a me e ad altri compagni/e, iscritti/e
a questa Cgil, che ponevamo questo come un  problema irrisolto della
nostra stessa identità,  nessuno ci rispondeva , e quando si accennava
ad esso scoprivamo negli occhi e nella voce dei nostri interlocutori
freddezza, stupore, alle volte ostilità perché a loro parere 'noi non
capivamo'. Noi ci ponevamo invece questo semplice interrogativo:
sapevamo che le armi prodotte oltre ad uccidere degli innocenti
affamano  popoli interi, sono lo strumento dell'ingiustizia che crea
repressione e domanda strumenti per spegnere i diritti umani. Popoli
poi, che anche come conseguenza di tutto ciò, approdano
quotidianamente sulle nostre coste  come profughi e  immigrati
clandestini ! Ma la difesa del nostro benessere, i nostri salari e
stipendi, i nostri posti di lavoro  mettono nel conto anche questo; ci
viene  detto che dobbiamo pensare all'occupazione in pericolo, che
dobbiamo garantire questo diritto ...ma dimentichiamo  che questo, nel
momento in cui viene affermato,  nega i diritti di altri milioni di
uomini e donne del mondo : quello di avere una vita decente ed
umanamente e socialmente accettabile, e di vivere in pace. Caro
Cofferati, il movimento sindacale, nella sua lunga storia ,non ha mai
scioperato nemmeno un'ora contro la produzione ed il commercio delle
armi e quando le fabbriche sono state costrette a riconvertire ( come
dopo i due conflitti mondiali) ha sempre subito tali processi, non si
è mai fatto direttamente artefice di tale necessità come scelta
culturalmente e politicamente cosciente. Da una parte scende in piazza
a sostegno della pace e contro la guerra ( quando ci riesce),
dall'altra  contribuisce 
affinché la guerra si possa fare. Questa è la contraddizione ideale e
materiale che ha contraddistinto tutta la sua vicenda storica. E' più
facile che si scioperi per ottenere le commesse belliche piuttosto che
il contrario.
Questa che oggi debbo  registrare, anche su questo piano, è una
sconfitta del movimento operaio ma anche delle culture che hanno e
continuano con luciferina pervicacia ad abitare la politica della
sinistra nelle sue diverse espressioni, da quella più radicale a
quella cosiddetta moderata; ma anche la cultura del mondo cattolico
dovrebbe porsi questi stessi interrogativi oggi che davanti a questa
guerra ,come ama dire un mio carissimo amico frate missionario, molti
esponenti della istituzione ecclesiastica citano il Vangelo 'ma non
quello di Cristo ma quello della Nato'. Se oggi diversi lavoratori
davanti a questo macello si comportano con indifferenza, non  ne
vogliono sapere perché  parlare di queste cose è ' fare politica' , è
solo colpa del sistema informativo, vittima innocente della mala
propaganda o forse qualche responsabilità ce l'ha anche il sindacato
avendo assecondato in questi ultimi 20 anni soprattutto la natura
strettamente utilitaria degli interessi dei  suoi rappresentati ? Dove
è finita la propensione' pedagogica' che questa organizzazione ha
avuto in altri momenti, non meno difficili dell'attuale, della sua
storia?

Io ho avuto l'avventura di  collaborare alla campagna per la messa al
bando delle mine antipersona: nemmeno su questa ho avuto il conforto
della Cgil nazionale nè delle altre organizzazioni che si sono sempre
defilate da una presa di posizione chiara e da un coinvolgimento
diretto. Sarebbe stata un' occasione per aprire veramente al nostro
interno una riflessione e cominciare non solo a cambiare priorità od
indirizzi politici ma una cultura, un  modo di percepire i problemi,
di affrontarli secondo sensibilità che stavano crescendo nella
società. Non ci sarà mai alcuna possibilità di un più maturo confronto
tra movimenti della pace e sindacato se quest'ultimo non affronterà
nominandola esplicitamente questa contraddizione: essere un movimento
contro le guerre( come dovrebbe essere) e nello stesso tempo fornire a
chi le fa gli strumenti di morte per realizzare i suoi progetti di
sterminio. Ti domando  caro Cofferati: come possiamo essere vicino ai
kurdi, o ad altri popoli e nello stesso tempo tacere o proferire
parole di circostanza quando i turchi acquistano la Piaggio o la
Bernardelli di Brescia magari per rifornire di armi l'UCK acquistate
coi proventi derivanti dalla vendita della droga? Come simpatizzare
per le vittime delle mine ma non dire nulla su quelle che saranno nel
mirino dei fucili e delle pistole made in Brescia  o made in Italy
?Forse che le seconde sono meno distruttive, più tecnologicamente
pulite delle prime? Il sistema di interessi che si stringono attorno a
queste industrie si regge sul 'non parlare, non guardare, non
domandare' ,ed in questa città funziona fin  troppo bene.  Ritornano
alla memoria le parole di Primo Levi : per poter convivere col male di
cui siamo corresponsabili basta 'non vedere, non ascoltare, non fare'.
Infatti noi come sindacato  non ' vogliamo vedere' e tantomeno
'vogliamo fare'!  Se non ci dotiamo per questo di una nuova idealità,
se non spingiamo il nostro sguardo (e la nostra politica) fuori dagli
intrighi del grigiore quotidiano di un presunto 'realismo' ,se non
ricostruiamo un'idea più ricca della persona, dei suoi bisogni e delle
suoi sogni che però oggi, in questo momento della storia dell'umanità,
devono essere compatibili coi diritti ed i sogni di milioni di persone
e di popoli anche molto lontani geograficamente da noi, se non sapremo
esprimere tutto questo, come l'impero americano gestiremo il nostro
irreversibile declino credendo di essere ancora la più grande potenza
sociale di questo paese. Ma sarebbe solo una pia illusione! Vedi caro
Cofferati, io non ti chiedo di dichiarare lo sciopero generale contro
la guerra  ma qualcosa di più profondo e diverso che impegni tutta
l'organizzazione in un reale processo di cambiamento culturale. Non mi
sentirei personalmente appagato ( anche se ciò mi farebbe
indubbiamente piacere) dalla proclamazione di una tale iniziativa
perché sarebbe un gesto ,seppur importane, che lascerebbe però intatti
tutti quei problemi di fondo che sottopongo alla tua attenzione con
questa mia lettera. Da questa provincia, negli anni passati ti sono
giunte 'minacce' di disdetta di tessere in occasione di accordi
sociali o contrattuali non condivisi: io non 'minaccio' nessuno,
semplicemente, con molta serenità, compio un atto non per rivendicare
' qualche dollaro in più' ma semplicemente per sostenere un principio
di valore per me irrinunciabile.
Bisogna che questo sindacato non solo dichiari di essere per la pace
ma la pratichi , ne faccia non solo un tema del suo programma
fondamentale ma una realtà operante che segni nel profondo (come  del
resto dovrebbero farlo la questione ecologica, quella femminile ed
oggi anche quella rappresentata dagli immigrati, sino ad ora, a dire
il vero, con scarso risultato) ogni scelta, dalla più piccola e
quotidiana a quella più grande e di medio - lungo periodo. Senza
questa scelta non potremo essere più credibili. Ho atteso in questi
anni un segno in tale direzione e se ho avuto un riscontro è stato di
segno opposto. Oggi io penso che sia giunto il momento di scegliere:
il mio è un atto di disobbedienza civile. Mi pare così immensa la
distanza tra ciò in cui io credo e che cerco con mille contraddizioni
di praticare quotidianamente e quanto oggi fa la nostra organizzazione
a tutti i suoi livelli, che sento difficile attualmente poter
conciliare le due cose. Il sindacato opera sempre per un compromesso:
è la sua ragione di esistere. Ma ci sono problemi  sui quali questo
principio non può nè deve essere praticato:  la guerra e le armi per
me , per la mia  coscienza e per come io cerco di intendere  'la
politica', rappresentano questa frontiera invalicabile, ciò su cui non
è possibile transigere. Compio tale scelta per amore di questa
organizzazione e non per rancore od odio verso di essa; ho avuto molto
da tanti compagni e compagne. A questi chiedo solo di capirmi e di non
giudicarmi. Nient'altro. Questa Cgil è stata il mio paese sociale  ed
ho vissuto in esso penso  da buon cittadino. Un domani, quando  questo
sindacato si sarà riconosciuto nei valori che mi sono cari ed agirà
conseguentemente per realizzarli, sarò fiero di potere ricevere da te
o da chi ti succederà nell'incarico quella tessera che oggi ti
restituisco. Da oggi  rinuncio  a questa mia cittadinanza : un
'apolide' che prima di riconoscersi  in una organizzazione si sente di
appartenere in primo luogo al mondo . Per la mia dignità, ma credo
anche sinceramente per quella della Cgil, ho deciso di compiere questa
scelta.
Un augurio di buon lavoro. 
Roberto Cucchini

Funzionario responsabile dell'Archivio storico della Camera del lavoro
di Brescia e membro del Consiglio generale

PS. La mia quota tessera sarà devoluta ad uno dei progetti a sostegno
dello sminamento di un Paese colpito dalle mine bresciane/italiane.