Lavorare per la pace dopo la guerra


Vorrei contribuire con qualche riflessione al dibattito che si sta aprendo
sul "che fare" dopo la guerra del kossovo.

Senza dubbio l'azione militare della NATO ha marcato una cesura storica
importante, e ha significato la rilegittimazione di fatto della guerra come
strumento della politica internazionale, svuotando di senso il
multilateralismo di istituzioni come ONU e OSCE.

I sondaggi dicono che in europa (a parte gli estremi di Gran Bretagna e
GRecia) l'opinione pubblica e' divisa grosso modo in due campi di uguale
numero tra favorevoli e contrari alla guerra. Per i pacifisti pare esserci
quindi un potenziale di mobilitazione al di la' del proprio piccolo gruppo.

Diverso e' il panorama della politica ufficiale. Qui le forze
tradizionalmente pacifiste - i verdi, ma anche i tre partiti post-comunisti
- sono forze di governo che hanno sostenuto ed appoggiato la guerra, sia in
sede NATO che concedendo l'uso delle basi sul territorio nazionale. Ancora
piu' accentuata e' la situazione in Germania, dove e' stato proprio il
governo rosso-verde a rompere la tradizione di non intervento militare
della Germania nel dopoguerra.

Credo che dalle elezioni europee si possa ricavare la conclusione che la
guerra (in Italia come in Germania) abbia piu' che altro tenuti lontani gli
elettori pacifisti dai seggi - ecco quindi il tracollo di verdi e comunisti
di dviersa tendenza. In ogni caso i grandi movimenti di voti in Italia
(democratici, lista Bonino) prescindono dalla questione della guerra. 

Cosa significa quindi lavorare per la pace nella situazione attuale?
Credo che faremmo bene a distinguere una "visione" che accomuna la nostra
sensibilita' e i nostri sforzi, e le scelte politche concrete. Queste
ultime devono da un lato rimanere fedeli alla nostra visione, alla carica
ideale senza la quale il pacifismo isterilisce; d'altra parte, esse devono
prefigurare obiettivi concretamente raggiungibili a breve e a medio termine.

Qui ci viene in aiuto l'esperienza italiana del lavoro pluridecennale per
la riforma dell'obiezione di coscienza, e soprattutto l'esperienza
internazionale della Campagna per l'abolizione delle mine. In entrambi i
casi si tratta di cambiamenti concreti - nella legislazione interna e
internazionale - ottenuti con un lavoro politico pragmatico e fedele ad una
visione di lungo periodo: un mondo senza armi, uno stato senza esercito.

Provo ad elencare di getto alcuni passi in un processo che potrebbe portare
i pacifisti a elaborare stregie politiche concrete, incisive e fedeli alle
idealita' che ci muovono.

- approfondire i "futuri desiderati", la concretizzazione di visioni; cosa
puo' significare "un mondo senza armi", uno stato senza esercito"? Coem
vorremmo che fosse il mondno, la societa' , da qui a vent'anni?
- Individuare obiettivi politici praticabili: su quali aspetti vogliamo
lavorare da qui a cinque anni? Quale potrebbe essere un "punto di attacco"
promettente per mettere in discussione l'ordine di oggi, la societa' cosi'
come e'?
- Individuare le risorse a disposizione: organizzazioni, gruppi sul
territorio, media, strutture logistiche (centri di incontro), sapere ed
esperti rilevanti (ad es. su disarmo, soluzione dei conflitti, azione
umanitaria, sviluppo; ma anche politica italiana, UE, NATO, ONU, strategie
militari, diritto internazioanle, e via dicendo)
- Individuare strade per la capacitazione: diffusione di competenze e di
sapere, potenziamento dei gruppi presenti, rafforzamento delle reti e dei
media, ecc. 
- Curare la formazione alla nonviolenza, alla leadership, alla soluzione
dei conflitti
- Stare attenti alla dimensione personale dell'attivita' politica: ai
sentimenti, alle frustrazioni, alla sofferenza. Costruire strutture in cui
ogni persona venga valorizzata
- Individuare alleati: singoli, gruppi, organizzazioni, reti informali,
enti locali, chiese e chi piu' ne ha piu' ne metta, che possano agire
concretamente per raggiungere il nostro obiettivo.
- Disegnare campagne: parole d'ordine chiare, forme di azione semplici e
fantasiose, informazione capillare, "drammatizzazione nonviolenta" del
conflitto, discussione decentrata degli obiettivi politici e coordinamento
centrale dell'azione, ecc.
- verifica e valutazione dell'azione svolta, dei punti di forza e dei lati
deboli


Personalmente, proporrei di partire da passi piccoli, ma assai concreti, di
impegno che il nostro governo potrebbe assumersi:
- di elaborare ogni anno una "Agenda per la pace" dell'Italia, sulla
falsariga dell'Agenda per la pace del Segretario Generale ONU Boutros
Ghali, e di discuterla in parlamento e nel paese. Questo documento dovrebbe
contenere le indicazioni su quello che il governo intende fare nei campi
della diplomazia preventiva, della cooperazione allo sviluppo, del disarmo,
del diritto internazionale, del mantenimento della pace e delle iniziative
di pacificazione di conflitti in corso; infine di impegno - politico e
finanziario - nei processi di pace in corso.
- di promuovere una verifica sui tipi di armamenti presenti sul suolo
italiano, garantire finalmente il disarmo atomico dell'Italia, provvedere
afar rimuovere armi e munizioni che contengono uranio impoverito.
- di rendere obbligatoria per il commercio con paesi coinvolti in conflitti
di una "valutazione di impatto sulla pace" di progetti di cooperazione allo
svliuppo, commercio estero, assistenza etcnica, ecc.
- di prevedere la prevenzione della violenza e la costruzione della pace
come criteri indispensabili nella progettazione di interventi di
cooperazione allo sviluppo.

Sarei interessato a sapere cosa ne pensate.

Cari saluti





Gianni Scotto 
Berghof Research Center for Constructive Conflict Management, Berlino
http://www.b.shuttle.de/berghof
Centro Studi Difesa Civile, Roma