UNA PROPOSTA PER IL KOSSOVO

Centro Studi Economico-Sociali per la Pace di Pax Christi Italia






Di fronte all’estremo aggravarsi della situazione in Kossovo e alla
preoccupazione che desta per i suoi possibili sviluppi, riteniamo che la
cosa più pressante sia la messa a punto di una situazione alternativa
rispetto a quella bellica e alla quale comunque bisognerà provvedere appena
quest’ultima venga superata.
In questo momento è secondario il dibattito, pur doveroso, che vede
contrapposta da un lato la tesi della legittimità e necessità dell’operato
della Nato, in nome delle finalità umanitarie e dell’intenzione di por fine
ai comportamenti assolutamente condannabili del regime serbo, e dall’altro
(come noi crediamo, pur condividendo totalmente quella condanna) la
inaccettabile dell’intervento: e questo sia per le gravi violazioni di
fondamentali norme giuridiche 
- Carta dell’ONU, dell’OSCE, lo stesso Trattato Nato, la Costituzione
italiana - per evitare che le relazioni internazionali di questo secolo e
del futuro non continuino ad essere sottoposte al metodo brutale della
forza, sia per il non meno fondamentale principio dell’etica della
responsabilità, che condanna un’azione quando essa si dimostri causa di
conseguenze più gravi di quelle che si vorrebbero rimuovere. 
Attualmente è secondaria anche l’analisi delle eventuali ragioni non
esplicite della guerra, come per esempio la concorrenza americana ed
europea nel tentativo di trovare in essa un’arma di  riequilibrio dei
rispettivi rapporti di potenza, soprattutto sul terreno  della guida
economica del mondo.
Pensiamo infatti che in questo momento vada data priorità alla ricerca di
come uscire dal punto  morto in cui ci trova, nel quale tutti o quasi tutti
dicono di voler tornare ad una soluzione pacifica, mentre in realtà le basi
di trattativa proposte non consentono di fare passi avanti su questa
strada. Bisogna, infatti, individuare interessi positivi della Serbia, che
potrebbero spingere la sua stessa dirigenza o le componenti più moderate
del paese  a rinunciare alla repressione estrema del popolo kossovaro.
Anche in passato, infatti, fu incoraggiata e comunque non contrastata la
divisione del paese, invece di fare proposte nelle quali tutti i popoli
jugoslavi potessero individuare uno sbocco positivo alle proprie
aspirazioni, accettando di aprirsi ad un contesto più vasto che stemperasse
e superasse in un’evoluzione positiva le loro  contrapposizioni.
E’ dunque a soluzioni “positive” che si deve pensare per esempio
proponendo, come fanno anche alcuni uomini politici francesi, che tutti i
paesi della ex Jugoslavia, inclusa la Serbia, siano “associati” all’Unione
Europea. L’associazione è cosa diversa dall’adesione, è prevista dai
trattati ed è praticata ad esempio  per la Turchia (che non la merita più
della Serbia). Essa consentirebbe di inserire questi paesi in un itinerario
di evoluzione democratica e civile, di rispetto delle minoranze e di
sviluppo economico, appunto ancorando i vantaggi economici all’effettiva
pratica di impegni di evoluzione democratica e di rispetto ed autonomia
delle minoranze. In seguito soltanto, essa potrebbe trovare nella vera e
propria adesione all’Unione il suo eventuale sbocco ultimo.
E’ su proposte di questo tipo che, secondo noi, i governi, i parlamentari e
la stessa società civile sono oggi chiamati a lavorare, se l’opzione di
chiudere con la guerra è una scelta sincera e condivisa, e a questo
pertanto ci permettiamo di invitare. 

Luigi Bettazzi  -  Presidente
Umberto Allegretti - Vicepresidente 

28 Aprile 1999
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