Lettera dal Cile


In quest'inverno meridionale non ci sono state le abituali piogge torrenziali, il freddo è più intenso e difficile da combattere. In questa sera gelida e malinconica di Temuco mi sovvengono ricordi di ieri, ormai lontani; le date si confondono. Sono 22 o 23 anni?
Esattamente non lo so. Ciò di cui non mi sono scordato, invece, è la Via

Chacabuco 70 a Concepción, in cui oggi s'innalza, imponente, un supermercato, simbolo del consumismo di massa dei nostri giorni. In questo luogo, in questa strada di vecchio pavé, facevamo la coda per portarti il pranzo o per vedere come stavi, andavamo avanti lentamente fino ad arrivare alle inferriate, dove ufficiali, armi in pugno, ci guardavano con un misto d'odio e disprezzo. Spesso c'impedivano di vederti o di mandarti del cibo: quanti furono i pranzi, quante le visite?
In quegli anni ci giungevano, talvolta, notizie di sentenze ingiuste, senza possibilità di difendersi, d'istruttorie, di sequestri, di torture, ecc. La vita o la morte non avevano nessun valore per i detenuti. Tuttavia eri sicuro di te, ci tranquillizzavi con una speranza e, casualmente, con un sorriso.
La tua grande colpa fu quella di nascere in una famiglia di classe media, con un profondo senso del sociale. Prendesti parte subito alle lotte studentesche del Liceo "Enrique Molina" e senza indugi partecipasti ai sommovimenti del tempo. Esservi estraneo avrebbe significato non essere giovane, né idealista. Venne poi la lotta politica, consacrata a una vita più giusta e a una maggiore solidarietà con coloro che, nel nostro paese, erano stati privati dei loro diritti e ti tuffasti nel vortice degli anni 70. Nel 1973, alla fine di ottobre, di mattina vennero a prenderti, con i loro occhiali appannati, le loro armi e le loro macchine.

Passasti due anni della tua gioventù dietro le sbarre; in seguito la solidarietà internazionale ti portò in Canada, paese dei sogni. Di te avemmo notizie per lettera e per telefono, cinque minuti al mese. La lingua di quei luoghi ti causò difficoltà, le stesse difficoltà che avesti anche sul lavoro. Con grande impegno incominciasti nuovamente a studiare, ti sposasti e nacquero le tue figlie, senza però poter tornare in Cile. Quindici anni, una vita intera.

Il ritorno della democrazia ti riportò da noi. Cercammo di recuperare il tempo perduto, ma è un compito difficile, non ancora concluso.

In questi anni, una nuova lotta occupa il tuo tempo, instancabile signore della giustizia. Il burocratismo di un sistema universitario ha privato te e la tua famiglia della possibilità di esercitare il dottorato, conseguito con tanto dispendio di energie economiche e familiari nei tre anni passati nel Sud d'Italia.
In questi nove anni, la stampa si è schierata, i docenti di molte università hanno fatto coro unanime per appoggiare la tua causa. Noi, la nostra famiglia, come sempre siamo al tuo fianco, appoggiamo la tua instancabile speranza, confidiamo che gli uomini saggi ti ascoltino, comprendano la tua causa, riconoscano che, con te, hanno commesso una grande ingiustizia e vi riparino, nella misura possibile, perché gli anni trascorsi sono irrecuperabili.

Con l'affetto di sempre, l'abbraccio

Dr. Felix Aliaga Rossel
Professore di scienze precliniche
Universidad de la Frontera, Temuco, Cile



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