L'idea di questo libro è nata durante la Guerra in Kossovo del 1999 e l'intensa
corrispondenza tra alcuni che vivevano sotto le bombe NATO e PeaceLink. Nel sito potete
leggere la cronaca di quei giorni
e le lettere di Djordje
Vidanovic e Sasa Zograf
Per diffondere questo libro (uscita prevista per la Marcia per la Pace Perugia-Assisi)
stiamo mettendo in moto una campagna di prenotazioni ed una rete di diffusione militante;
a tutti i gruppi e associazioni che prenotano più di 10 copie verrà praticato uno sconto
del 50%; per ulteriori informazioni e per prenotazioni scrivere a Olivier
Turquet (turquet@dada.it) oppure usare la scheda sul
sito Multimage
Il libro sarà comunque disponibile nelle migliori librerie; se non lo trovaste dite al
vostro libraio di contattare la distribuzione Midinet
Questo libro vale un ergastolo
Presentazione di Alessandro Marescotti
"Chiunque, in tempo di guerra, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate
o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o
altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico, o svolge comunque
un'attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali, è punito con la
reclusione non inferiore a cinque anni.
La pena non è inferiore a quindici anni:
- se il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette a militari;
- se il colpevole ha agito in seguito ad intelligenze con lo straniero.
La pena è dell'ergastolo se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze col
nemico".
Avete appena letto l'articolo 265 del Codice penale. Il libro che state per leggere
vale un ergastolo. Racconta infatti la storia di chi, contravvenendo agli "interessi
nazionali", ha "fraternizzato" via Internet con il "nemico" per
far cessare i bombardamenti contro la Repubblica Federale di Iugoslavia.
Nella guerra contro la Repubblica Federale di Iugoslavia l'informazione pacifista ha
compiuto un balzo in avanti per quantità, qualità e rapidità. E' stata infatti la prima
guerra combattuta anche su Internet. Il sito della rete telematica PeaceLink veniva
aggiornato anche 20-30 volte al giorno e consultato da migliaia di persone perché
conteneva la mappa completa della mobilitazione antiguerra. È stato un archivio di
testimonianze e informazioni alternative. In tempo reale dalla rete sbucavano le voci
dell'Italia che la TV censurava. Sul sito c'era molto più spazio di quanto ne potessero
offrire quei (pochi) giornali di tendenza pacifista. Era così possibile tenere on line un
dossier sempre aggiornato sul Kossovo e sulla guerra. Il dossier era prelevato ogni giorno
dal sito e circolava in tante città, dove ognuno poteva stamparlo, fotocopiarlo e
diffonderlo. Un simile servizio non lo poteva realizzare alcun giornale se non a costi
proibitivi. I gruppi di base producevano le informazioni e le facevano circolare.
Stampante e fotocopiatrice facevano da collegamento fra il modem e la piazza. Dal
digitale, alla carta, alle persone.
Il villaggio globale antiguerra ha compiuto così la sua prima esercitazione pratica
scrivendo in Italia una nuova pagina di esperienza nonviolenta collettiva col computer.
"Dal basso", e mai come prima, le tecnologie info-telematiche hanno giocato un
ruolo di rilievo nella mobilitazione nonviolenta così come fra i militari i sistemi di
telecomunicazione hanno svolto il ruolo di "rete di coordinamento" del sistema
bellico. In collegamento con le città di Nis e Belgrado, i pacifisti potevano comunicare
con gli oppositori di Milosevic e da loro sapevano "in tempo reale" (dal vivo
delle loro testimonianze) che venivano lanciate bombe a grappolo sui civili. Via Internet
si potevano conoscere le distanze e apprendere che i quartieri residenziali bombardati
erano lontani chilometri (e non metri) dalle caserme. La NATO mentiva. Diceva di voler
bombardare i militari e invece terrorizzava i civili colpendo sempre più vicino le
persone. La NATO parlava di errori involontari di alcuni metri. Ma tramite PeaceLink
giungeva la voce libera di Djordje Vidanovic, oppositore di Milosevic, testimone dei
bombardamenti. Ma più la NATO diceva bugie e - come il naso di Pinocchio - più si
allungavano le comunicazioni Internet di Djordje Vidanovic, nostro corrispondente e
vittima dall'inferno di Nis.
Ma la NATO è tenuta a rispettare le Convenzioni di Ginevra?
Un consulente legale dell'Alleanza Atlantica, Max Johnson, ha dichiarato ad Amnesty
International che la NATO non ha sottoscritto le Convenzioni di Ginevra e che pertanto
essa "non dovrebbe essere equiparata a uno Stato in termini di obblighi
internazionali".
La dichiarazione di Max Johnson (1) risale al marzo '96. Ma è sufficiente per
comprendere che, in ultima analisi, la NATO non considera vincolanti per sé stessa le
norme contenute nelle Convenzioni di Ginevra. Seguendo il filo logico dell'argomentazione
di Max Johnson, i piloti della NATO non potrebbero essere processati per violazioni di
tali Convenzioni.
È quasi superfluo ricordare che le Convenzioni di Ginevra sono la massima espressione
del diritto internazionale umanitario in guerra: vietano di uccidere i civili, di
distruggere le loro case, di effettuare bombardamenti indiscriminati contro ospedali,
scuole, di colpire la Croce Rossa, ecc.
Il Primo protocollo aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 specifica:
"Le parti del conflitto dovranno sempre distinguere la popolazione civile dai
combattenti e gli obiettivi civili da quelli militari e di conseguenza dirigeranno le loro
operazioni solo contro gli obiettivi militari".
Il protocollo citato vieta in tempo di guerra qualsiasi provvedimento che abbia come
effetto quello di privare la popolazione civile dei mezzi indispensabili alla
sopravvivenza e all'articolo 70 impone addirittura operazioni di soccorso alle popolazioni
civili "non adeguatamente fornite" di mezzi di sussistenza. E nell'articolo 18
del Secondo protocollo aggiuntivo si impone l'obbligo di soccorrere le popolazioni civili
"in gravi difficoltà a causa della mancanza dei mezzi necessari alla sopravvivenza,
come cibo e forniture mediche".
Il Primo protocollo aggiuntivo afferma esplicitamente che "le proprietà civili
non devono essere bersaglio di attacchi o rappresaglie, e proprietà e installazioni che
vengono comunemente utilizzate a uso civile devono essere considerate civili a meno che
non sia appurato che non lo sono".
Gli Stati Uniti d'America, di fronte a tale chiarezza, si sono rifiutati di
sottoscrivere questi protocolli aggiuntivi.
Questo libro racconta, dal vivo delle testimonianze, ciò che la NATO ha fatto, in
violazione delle convenzioni citate, in una guerra che è stata definita "guerra
umanitaria".
Per l'Italia questa guerra ha inoltre significato la violazione dell'articolo 11 della
sua Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Per la NATO è venuto poi meno il rispetto del suo trattato costitutivo firmato a
Washington il 14 aprile 1949, che all'art.1 recita: "Le nazioni aderenti alla NATO si
impegnano, come è stabilito nello Statuto dell'ONU, a comporre con mezzi pacifici
qualsiasi controversia internazionale". Tale Trattato NATO autorizza guerre
unicamente di autodifesa collettiva dei membri dell'Alleanza Atlantica e non è stato
modificato - come erroneamente si crede - neppure dal nuovo "Concetto
Strategico" firmato dai capi di stato della NATO il 24 aprile 1999 in quanto la
modifica dei trattati internazionali comporta la ratifica dei parlamenti e non solo la
firma dei governi. Il Trattato NATO è stato in quella sede "reinterpretato" per
dare una parvenza di legittimità alla guerra del Kossovo, ma il testo originario firmato
nel 1949 è rimasto immutato; in esso viene riconosciuta la preminenza dell'ONU sulla
NATO.
L'intervento NATO in Kossovo, non è inutile ricordarlo, non ha ricevuto alcuna
autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU ed è quindi illegale dal punto di
vista del diritto internazionale fondato sulla Carta delle Nazioni Unite.
L'illegalità di questa guerra si evidenzia giuridicamente con chiarezza
inequivocabile.
Attenzione: non stiamo però cavillando sui dettagli formali per garantismo
filo-Milosevic. Non si tratta di cavilli giuridici. Questo libro documenta infatti
l'aspetto sostanziale della guerra, le emozioni e la vita di chi - pur opponendosi a
Milosevic - ha vissuto nell'angoscia di essere ucciso dalle "bombe umanitarie"
della NATO. In una parola questo libro è il racconto di una moderna barbarie. Così come
barbarie è la pena di morte o la legge del taglione. Ma se i presidenti degli Stati Uniti
d'America sono convinti assertori della pena di morte, molto più problematica è per la
coscienza europea l'accettazione della morte inflitta per legge (o attraverso la guerra).
Tuttavia a ben vedere troviamo un'anomalia rispetto a qualunque pena capitale o legge del
taglione: con la guerra la punizione della morte è inflitta, oltre che senza processo,
anche senza la certa individuazione del colpevole. Le bombe colpiscono tutti, buoni e
cattivi. La guerra, che uccide quindi persone del tutto innocenti, costituisce - dal punto
di vista della giustizia - un fatto inammissibile per qualunque ordinamento umano. Questa
fu la ragione profonda per cui - dopo la tragedia della seconda guerra mondiale - fu
bandita la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Le testimonianze raccolte nel libro sono documenti di una barbarie moderna a cui hanno
partecipato non solo militari ma anche ministri e capi di stato, gente che oggi ha morti
sulla coscienza e tanti consigli umanitari da dispensare agli altri.
L'allora presidente del consiglio italiano Massimo D'Alema aveva detto che la strategia
NATO si sarebbe concentrata su "obiettivi di esclusiva rilevanza militare"
(discorso alla Camera dei Deputati, 26 marzo 1999).
Ma sarebbe stato così?
Tramite la raccolta quotidiana delle testimonianze di fonte civile potevamo ogni giorno
smentire quelle parole fornendo agli stessi giornali informazioni di prima mano. Le
testimonianze raccolte direttamente dalla Iugoslavia tramite Internet (attendibili proprio
perché provenienti da chi faceva opposizione al regime di Milosevic) sono state inviate a
deputati e senatori italiani e sono divenute base per un'interrogazione parlamentare. Ci
siamo accorti che avevamo in alcuni casi più informazioni dei giornalisti e dei
parlamentari. Ma questo, si badi bene, non è avvenuto "grazie a Internet", ma
grazie a una rete di persone che si è saputa organizzare, coordinando molteplici
competenze e attività, dall'interpretazione delle lingue straniere alla creazione di
pagine Internet. Solo grazie a questa "strategia lillipuziana" si è potuto
fronteggiare il gigante Gulliver per legarlo (o farlo inciampare) con tanti esili fili.
Durante la guerra in Kossovo la telematica per la pace si è caricata ancora una volta
della funzione morale di dare voce a chi non aveva voce e viveva nella disperazione di
poter morire innocente per colpe non commesse. Questo usare la tecnologia
dell'informazione per "dar voce ai senza voce" richiama l'esempio del
giornalista Webb Miller, inviato della United Press per dare informazioni sul movimento
gandhiano. Miller, dopo aver assistito il 21 maggio 1931 al pestaggio a sangue dei
nonviolenti nei pressi delle saline di Dharasana, usò tutta la potenza tecnologica di
allora per informare il mondo. Il giorno dopo oltre mille giornali nel mondo pubblicavano
la notizia e il gesto violento si ripercuoteva su chi l'aveva compiuto come una sonora
sconfitta inflitta sul piano dell'opinione pubblica mondiale. Che possibilità di vittoria
potrebbe avere la nonviolenza senza un forte sistema di diffusione dell'informazione?
Nella memoria collettiva un fatto non esiste se non è conosciuto. La telematica diventa
quindi una strategia e un mezzo per far giungere al mondo il grido della nonviolenza.
Ciò che leggerete in questo libro non sarebbe divenuto comunicazione, e quindi vita, e
quindi azione, senza Sabrina Fusari, una ragazza che ha saputo mettere la sua conoscenza
delle lingue al servizio della più alta causa che la vita ci possa dare l'occasione di
perseguire.
Come si può globalizzare la pace e la difesa dei diritti umani senza conoscere
l'inglese?
L'accoppiata inglese-Internet è la nuova rivoluzione pacifica e nonviolenta che
occorrerebbe far esplodere nel mondo, parlo soprattutto del mondo delle informazioni e
della menzogna che le manipola o le filtra. Abbiamo a portata di mano una
"bomba" nonviolenta di cui tutti possiamo diventare gli artefici e gli...
artificieri.
Questo libro ricorda il 1' anniversario della guerra in Kossovo. Il ricavato (che in
passato per altri nostri libri è andato ai bambini di strada di Nairobi) avrà una
finalità simbolica: acquistare un computer per la pace da mettere nell'università di Nis
dove Djordje Vidanovic insegna. I proventi del "libro di guerra" verranno usati
per acquistare uno o più computer da mettere nella sala computer dell'Università di Nis
(bombardata), con la clausola che essi servano soprattutto agli studenti e per comunicare
per la pace. E' un progetto finalizzato a sperimentare come l'inglese, la telematica, la
cultura della pace e dei diritti umani possano realizzare il sogno (o la saggezza?) così
espressa dall'antico filosofo cinese Meng-Tzu:
"Quanti non godono nell'uccidere gli uomini possono unificare il mondo"
Alessandro Marescotti presidente di PeaceLink
Introduzione
di Djordje Vidanovic
Il 24 marzo 1999, la mia vita è cambiata per sempre. Il mio Paese è stato bombardato
da centinaia di aerei della NATO, e i sogni di un futuro migliore, all'improvviso, sono
svaniti. Ciò che è rimasto, dopo il 24 marzo, erano incubi, corse ai rifugi in piena
notte, e un devastante senso di insicurezza. Era la perdita del senso del tempo e dello
spazio, un disorientamento totale.
Il mio "diario" su Internet iniziava circa tre settimane più tardi, con
PeaceLink, mentre ero impegnato in un tentativo frenetico di negare la realtà, di
lasciarmi trascinare in una rapida accettazione dell'incubo. Ma non era possibile.
Sono molte le cose, successe nei settantotto giorni dei bombardamenti, che non ho detto
nel mio diario su PeaceLink (e sì, mi riferisco sempre a quello che è successo come ai
"bombardamenti", perché di questo si è trattato. Non era una guerra, perché
nessuna guerra era stata dichiarata e gli aerei martellavano obiettivi civili e
popolazione civile, colpendo ogni tanto qualche carro armato, o una caserma). Non ho detto
alcune cose perché ero talmente scosso da non poter descriverle, o forse perché c'erano
altri orrori inesprimibili in agguato, e quindi ho deciso di tacere, per non provocarli,
parlandone.
Naturalmente, faccio riferimento al mio stato mentale: nervi tesi, insonnia ed ansia
costante. Ricordo di avere omesso un episodio sconvolgente degli orrori commessi dalla
NATO. Un giorno, mi pare all'inizio di aprile, gli aerei della NATO hanno bombardato il
Centro militare per l'addestramento dei cani. Le immagini dei cani mutilati sparsi
ovunque, trasmesse da una televisione locale indipendente, mi tormenteranno per sempre.
Sono sicuro che, se la NATO avesse voluto punire la popolazione civile del luogo per
qualche gesto da essa compiuto, i cani non avrebbero dovuto essere coinvolti, perché non
hanno nazionalità. O sì?
Gli orrori crescevano sempre più. Invece di aiutare la popolazione, i bombardamenti
hanno menomato un Paese, la Serbia, intensificando la catastrofe umanitaria già in corso
nei Balcani.
Come sempre, una cosa è certa: la violenza può solo istigare altra violenza e rendere
la vita ancora più dura. Persone come quelle di PeaceLink, come Alessandro, Enrico,
Carlo, Sabrina, Francesca e i loro collaboratori, hanno compreso questo semplice, ma
potente imperativo e hanno cercato di immaginare un mondo migliore. Uniamoci a loro, in un
tentativo di restituire la gioia e il sorriso alle popolazioni dei Balcani.
Grazie, PeaceLink!
Djordje Vidanovic
Ravenna, 4 agosto 1999