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Storia della Marcia della Pace di Aldo Capitini - parte 1




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Ad una marcia della pace pensavo da anni e una volta ne detti anche l'annuncio, d'accordo con Emma Thomas, tanto che l'”Essor” ginevrino pubblicò la notizia. Ma l'idea non si concretò per varie difficoltà. Quando, nella primavera del '60, feci a Perugia insieme con amici un bilancio delle iniziative prese e di quelle possibili, vidi che l'idea della marcia, soprattutto popolare e regionale, piacque. Ma solo nell'estate essa prese un corpo preciso in riunioni apposite, che portarono alla fon-nazione di un comitato d'iniziativa. La mia intenzione era che il gruppo di iniziativa non fosse preminentemente di persone di partito. Sono un sostenitore dei lavoro di aggiunta a quello dei partiti, che ritengo certamente utili in una società democratica, ma non sufficienti. E sono sempre "indipendente" (un indipendente disciplinato) appunto per promuovere iniziative di aggiunta.

[...]

Le prime circolari di annuncio della Marcia sono dell'estate del 1960.(...) ebbi pronte adesioni come quella del maestro Gianandrea Gavazzeni; passarono mesi di spedizione di circolari e di lettere personali; dall'on. Pietro Nenni ebbi nel novembre 1960 una lettera molto favorevole. Ma debbo dire che oltre quel primo carattere, di iniziativa non dei partiti, che avrebbe dovuto assicurarmi una più facile adesione da tutte le persone e associazioni operanti in Italia per la pace, io tenevo sommamente ad un secondo carattere, che anzi era stato il movente originario del progetto: la marcia doveva essere popolare e, in prevalenza, regionale. Avevo visto, nei dopoguerra della mia vita, le domeniche nella campagna frotte di donne vestite a lutto per causa delle guerre, sapevo di tanti giovani ignoranti ed ignari mandati ad uccidere e a morire da un immediato comando dall'alto, e volevo fare in modo che questo più non avvenisse, almeno per la gente della terra a me più vicina. Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente più periferica, se non ricorrendo all'aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare come è una marcia? (...)

Fermo nell'idea di raggiungere la popolazione più periferica della regione, dovevo chiedere l'aiuto di altri per l'annuncio e per il trasporto stesso delle persone dai luoghi lontani. Sapevo bene che gli aiutanti (anche se d'accordo su certe condizioni) e i partecipanti non sarebbero stati in gran parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo, ma, e questo è il terzo carattere dell'iniziativa che voglio mette in rilievo, si presentava un'occasione di parlare di "nonviolenza" a "violenti", di mostrare che la nonviolenza è attiva e in avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di ciò che si deve fare nell'attuale difficile momento.

Forse da secoli in Italia non era stato parlato cos¡ apertamente della "nonviolenza" in modo popolare, dopo che i supremi insegnamenti di Gesù, dei primi cristiani, di San Francesco, sono stati avvolti, temperati o sottoposti ad altri insegnamenti di legittima difesa, di grandezza della patria, di sottomissione all'autorità e perfino di guerra coloniale, enunciati dall'altare. (...) il quarto carattere dell'iniziativa: la scelta di Assisi, come meta della Marcia che non poteva che muovere da Perugia, per ragioni organizzative. Se la Marcia doveva essere regionale e popolare, dato anche che nell'Umbria non vi sono basi o fabbriche di guerra, quale meta migliore di Assisi, ad una distanza sopportabile da Perugia, in una zona popolarissima, con un luogo elevato di eccezionale bellezza di paesaggio (lo stesso veduto da San Francesco), e di accesso indipendente dalla chiesa del Santo? Assisi è cara al cuore degli umbri, e lo resta anche se essi non sono credenti cattolici, per la centralità, la bellezza rara, il carattere entusiasta, amorevole, sereno, popolare, del santo, per quella celebrazione della "fanúliarità" a cui tanto tiene la gente di questa regione. Per questo mi parve bene che la meta fosse Assisi, ripetendo ciò che noi del Centro per la nonviolenza avevamo fatto altre volte, ma questa volta movendo quanto più popolo fosse possibile.

Ci sono state critiche e rifiuti perché la meta era Assisi, come se noi facessimo concessioni al potere cattolico o compromessi con la religione tradizionale. Collegare San Francesco e Gandhi (avvicinamento che in Oriente si fa molto spesso) voleva dire sceverare l'orientarnento nonviolento e popolare dei due dalle circostanze e dagli atteggiamenti particolari; ed era anche uno stimolo a far penetrare nella religione tradizionale italiana, come è sentita dal popolo e soprattutto dalle donne, l'idea che la "santità" è anche fuori del crisma dell'autorità confessionale: la Marcia doveva anche servire a questa "apertura" (e difatti il nostro Centro ha diffuso il giorno della Marcia tremila copie di un numero unico su Gandhi); quando tra il popolo più umile, e tanto importante, dell'Italia si arrivasse a mettere il ritratto di Gandhi in chiesa tra i santi, avremmo quella riforma religiosa che l'Italia aspetta dal Millecento, da Gioacchino da Fiore.