Sudan: un grido nel silenzioa cura di Sandro Bergantin e Tonio Dell'OlioSudan, specchio dell'Africa di oggi. Perche' potremmo parlare allo stesso modo dell'Algeria, del Mozambico, dell'Angola, della Somalia, del Ruanda, del Burundi, della Nigeria. e' quasi tutto il Continente Nero a vivere in maniera drammatica la ricerca di difficili equilibri post-guerra, se non addirittura ancora post-coloniali. Per decenni l'Africa ha vissuto in un ordine garantito - a prezzo della liberta' e dello sviluppo - prima dalle potenze europee, poi dalle superpotenze mondiali. Si e'` poi progressivamente affrancata da quell'illusione di normalita', per cominciare a costruirsi come continente libero. Oggi e'` in un guado. Un guado nel quale, smarrito ogni punto di riferimento, e'` in balia dei demoni dell'integralismo religioso e degli ancestrali odi razziali, che i mercanti di armi e di morte utilizzano come floride opportunita' per il loro squallido mercato, con la copertura dei paesi sviluppati. Gia', e l'occidente? Dopo aver sfruttato le risorse dell'Africa e averla usata sullo scacchiere internazionale come si fa con le pedine della dama, oggi semplicemente latita. Dopo la inutile, inconcludente e tragica esperienza della Somalia - che ha dimostrato come l'intervento armato non abbia alcuna speranza di successo - e'` ora piu'` che mai incapace di gestire con strumenti nuovi questo genere di crisi. Chissa', magari con la sola diplomazia, con metodi nonviolenti, o forse con incentivi seri allo sviluppo. e' questo che l'Africa attende. Gli spetta come compenso per i torti subiti nel corso della storia. e' una questione di giustizia. A noi spetta il potere di stimolare gli organi di informazione per conoscere queste situazioni e per aprire al dialogo e alla solidarieta'. Lager nel desertoFuggono dalla guerra, ma non trovano pace. Dalle baracche di Karthoum li deportano lontano dalla citta'. A morire sotto il sole. E' il genocidio dei sudanesi del sud.di Renato Bresciani BOX: Sudan Un grido nel silenzio - Appello della campagna nazionale per la pace ed il rispetto dei diritti umani in Sudan BOX: Se questo e' un uomo - di Carla bellami Durante il Convegno per il Dialogo Interreligioso tenuto a Khartoum dall'8 al 10 ottobre e' stato possibile per qualche straniero fare una visita breve quasi clandestina all'uno o all'altro degli assembramenti di sfollati nelle zone desertiche ben distanziate da Khartoum e da Ondurman. Gente del Sud e dell'Ovest, emigrata o sospinta alla Capitale per sfuggire alle tragedie di fame e di guerra che si sono accanite senza sosta per vari anni sui loro territori. Abbiamo chiesto al Ministro Ghazi Salahuddin quanti sono. "Un milione o poco piu'", ci ha risposto, "ma da tempo sono stati apprestati meccanismi per aiutarli a tornare, con splendide opportunita' di reinserimento, nei loro luoghi di origine". Per un direttore dell'Agenzia Islamica Dawa, la sola ufficialmente abilitata a soccorrerli, sarebbero invece poco meno di due milioni. Cifre ancora piu' elevate si ascoltano dai leaders sudisti e in ambiente diplomatico. Sembra pero' che talvolta si confonda il numero degli sfollati nel deserto e il numero dei baraccati ancora attorno a Khartoum. Forse perche' anche questi sono potenzialmente passibili di prossimo uguale destino, come ha dimostrato quanto e' accaduto, con morti e feriti, nella deportazione forzata di migliaia di sudisti dal sobborgo di Khudeir, la notte del 14 ottobre. e' evidente che il presente regime, in barba alle belle dichiarazioni sul dialogo e alle professioni di intenti di pace, non ha intenzione di desistere dalla politica di rigetto e da misure di repressione che rasentano il genocidio: misure parallele ad altre adottate sistematicamente - secondo rapporti dell'ONU e di Amnesty - nei quasi inaccessibili territori sconvolti dalla guerra. "La loro presenza", dice un ex-ministro sudista, "e' percepita come un rimprovero al benessere dei piu' fortunati cittadini nordisti e come una minaccia alla sicurezza dello Stato". Perche' sono folle di emarginati ben visibili agli informatori e visitatori occidentali che passano per Khartoum, e forse di piu' perche' e' gente impermeabile al tipo di cultura e di societa' arabo-islamica che ispirano la politica. "Cultura e societa'", dice un leader nubano, "che ci trattano come schiavi o, al meno peggio, come degni di sopravvivere solo se ci prestiamo al loro uso e servizio". In altre parole, il regime attuale li teme come potenziale pericolosa quinta colonna. Politica brutale, quindi, verso di loro, ma un po' ancora ambigua, dato che in tempo di trattative sono utili come ostaggi contro le pretese di soluzioni poco accettabili a Khartoum, come e' affiorato pure nei recenti colloqui IGADD di Nairobi. Molto pertinente e conclusiva l'osservazione colta sulla bocca di una maestrina anglicana, feroce stroncatrice del suo vescovo "traditore", il Ministro degli Esteri Gabriel Roric: "Siccome non possono vincerci nella guerra aperta, possono almeno sfogare il loro odio e cercare di vendicarsi, trattandoci come roba da rifiuto e da spazzar via. E serviamo al regime di Beshir e di Tourabi per convogliare alle loro mene anche i piu' restii dei moderati nordisti, tutti succubi nel loro inconscio all'avversione e alla paura della minaccia sudista al loro grande Sudan arabo unito". Quando arrivano a Khartoum, e ne arrivano ancora (una personalita' locale parla di cento-duecento alla settimana), queste misere torme di fuggiaschi, talvolta raminghe per mesi dopo la distruzione violenta dei loro villaggi e indicibili separazioni dai loro cari, tendono a contattare qualcuno del loro clan o della loro tribu', gia' stabilitosi per lavoro o altro nella metropoli. Generalmente finiscono per affastellarsi un riparo di stracci e cartoni, e poi magari per costruirsi una casupola in mezzo alle baraccopoli che costellano la periferia. Cosi' non sono troppo lontani dalle zone dov'e' possibile trovare qualche forma di lavoruccio, anche precario, umile e mal retribuito. Se non altro, sperano di avere accesso alle strutture di assistenza e solidarieta' delle loro Chiese e delle organizzazioni internazionali di soccorso, magari attraverso la rete governativa e islamica ufficialmente preposta alla distribuzione. Per una gran parte di questi sfollati, da piu' di due anni il regime assicura pignolesche e continue attenzioni particolarmente irritanti, barbare e ostili. A varie riprese sull'una o l'altra delle aree di accampamento si abbatte l'editto di sgombero. Che non e' solo improvviso, ma e' notificato con esecuzione immediata e inevitabile da una colonna di mezzi militari che provvedono a recintare la zona malcapitata e a bruciare e abbattere, una dopo l'altra, ogni casupola, dopo averne sbrigativamente e violentemente evacuato i sonnolenti abitatori. Perche' la cosa avviene di notte, il momento in cui i pianificatori dello sgombero sono sicuri di poter rastrellare tutti gli "abusivi". Donne, bambini, ammalati e vecchi, tutti vengono sospinti come bestiame verso i camion militari. Chi reagisce viene malmenato, e ci scappa spesso qualche morto o ferito. Chi si attarda rischia di essere abbrustolito dal fuoco appiccato al suo abituro o travolto dai cingolati che finiscono per spianare tutta la zona distrutta. Appena la colonna di camion, sui quali tutta questa povera gente e' ammassata, e' pronta, tra le urla degli assalitori e i singhiozzi e pianti delle vittime, si parte. Si prende una pista polverosa verso il deserto, finche' si arriva, saranno venti o trenta chilometri, al posto prescelto. Rebecca N., una mamma con quattro o cinque frugoli, tutti patiti e due evidentemente malati, descrive la scena dell'arrivo. "Saranno state le quattro del mattino. C'erano ancora la luna e le stelle. Non c'era invece nulla di nulla tutto attorno. Solo un gran freddo. Non avevamo coperte, e scavammo delle buche nella sabbia per i nostri piccolini, perche' li' c'era meno freddo e noi adulti cercavamo di tenerli un po' al calduccio. Quando venne l'aurora, e poi il sole, ci guardammo attorno. I camion e i soldati se n'erano andati. Non ci avevano lasciato nulla di nulla. Non c'era niente con cui ripararsi dal sole. Non c'era acqua". Mentre parla, ecco arrivare una fila di magri asinelli, carichi delle borme di acqua attinta alle sponde lontane del Nilo. L'interprete dice che e' stato il Comitato di Solidarieta' della Chiesa a provvederli ai miseri deportati pochi giorni dopo il fattaccio. Certo, per i primi giorni quell'esperienza nel deserto dev'essere stata un inferno; ma anche adesso la loro e' una vita grama e terribile. Quale abisso di barbarie ci si trova dinanzi in un regime che ha fatto e fa ancora simili disumanita', e che invita la gente convocata alle sue assemblee di pace e di dialogo a passarci sopra come ad un incidente insignificante del processo necessario alla costruzione di un Sudan islamico unito. Immaginate: migliaia di innocenti, la maggior parte donne e bimbi, strappati all'improvviso ai loro tuguri e abbandonati lontano, senz'acqua, senza coperte, senza provviste, come si scarica in una fossa sconosciuta un cumulo di cadaveri appestati. Tutto e' sotto l'attenzione di qualcuno che evidentemente e' incaricato della sorveglianza del posto. Non si possono fare foto, ma si riesce, con discrezione, a fare qualche altra domanda ad un gruppo di donne e bambini. Quando cominciarono ad arrivare i primi soccorsi? Una ragazza che sa l'inglese risponde: "Quattro giorni dopo, qualcuno di una organizzazione islamica venne ad offrirci del cibo e delle coperte. Subito senza alcuna condizione, ma dopo cominciarono a dare di piu' a quanti accettavano l'allettativa di aiuti speciali in cambio della disponibilita' a recitare un versetto del Corano e ad accettare un nome musulmano". Cosa ti e' rimasto piu' impresso di quella notte del trasloco? "Quanto e' capitato alla mia vicina di casa: aveva in braccio il suo primo bimbo, di due mesi; si e' divincolata dal soldato che l'aveva forzata ad uscire dalla capanna gia' in fiamme e si e' ributtata col bimbo dentro l'incendio. Un urlo e non l'abbiamo piu' vista". Tutto e' sconvolgente, tutto e' tremendamente pauroso. Sconvolgente, pero', anche su un altro versante. Perche' dentro queste vite che soffrono disumane situazioni di violenza e miseria splende una presenza di Dio che ti affascina, a cui non eri abituato a pensare, e che evidentemente riempie la loro esistenza di una serenita' e dignita' indicibili. Dalle loro bocche nessun lamento, come pure nessuna imprecazione contro i loro persecutori e contro il proprio destino. Rimane impressa la figura di un vecchio emaciato e cieco; rimangono impresse le sue parole: "Dio e' buono. Speravo di vivere e morire tra i miei e nel mio villaggio, ma non fa gran differenza, perche' anche cosi' vedo la strada che mi avvicina a Dio e ai miei antenati". E quella mamma (la sua vita aveva avuto sette volte l'esperienza di scappare dall'incendio e dalla distruzione delle sue abitazioni successive) che ringraziava per essere stata visitata e si diceva spiacente di non aver nulla da offrire. Svegliati, Europa!Ha denunciato i crimini del regime. Adesso e' "indesiderato".Forzatamente lontano dal suo popolo, lo serve parlando al mondo delle sue sofferenze. Per scuotere l'Occidente dalla sua indifferenza complice. Intervista a mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid in esilio. a cura di Carla Bellami e Giovanni Fusar-Poli BOX: Musulmani per forza Mons. Macram, lei da quasi cinque anni e' esule dal Sudan. Quali vicende l'hanno condotta a questa situazione? Ho denunciato piu' volte alla Commissione Diritti Umani dell'ONU la violazione degli stessi diritti praticata dal governo di Khartoum. Nel 1993 ho fornito alla commissione anche un elenco delle persone catturate in schiavitu' segnalando pure le localita', le date precise ed i responsabili di tali fatti. Per il regime di Khartoum dover ammettere la pratica sistematica della schiavitu' nel XX secolo e' una vergogna perche' e' un'attivita' barbarica e inumana che il mondo ha sempre combattuto. Per questo sono indesiderato. Aggiungo che la denuncia e' venuta proprio da uno di loro, essendo io arabo, nativo di Khartoum e, per di piu', cristiano. Il fondamentalismo islamico presente in parecchi stati africani si impone anche in Europa per le sue azioni di terrorismo. Quale volto presenta in Sudan? L'integralismo in Sudan e' guerra santa secondo l'interpretazione classica del Corano, nel senso piu' stretto e crudele della parola. Nelle scuole i giovani vengono addestrati alla guerra, subiscono un lavaggio del cervello, imparano i versi del Corano a memoria, urlano "morte agli infedeli" e vengono incitati all'odio. Anche la televisione fa riferimento alla jihad come guerra ed uccisione di infedeli. Questa e' la vera pratica della jihad che, invece, il governo di Khartoum presenta al mondo mistificata, come una scrupolosa osservanza religiosa per la perfezione della fede. I politici sudanesi dicono che la comunita' internazionale li perseguita solo perche' sono islamici e, come tali, rivendicano il diritto alla loro pratica religiosa. In realta', usano l'Islam per propagandare l'ideologia politica ed economica dei fanatici fondamentalisti. Il Sudan e' un trampolino di lancio per il fondamentalismo in Africa dove e' presente gia' in Egitto, in Algeria e sta diffondendosi in Tunisia. Perfino in Somalia, nonostante l'assenza di istituzioni, e' gia' stata introdotta la legge islamica dell'amputazione. I fondamentalisti rivendicano il diritto ad islamizzare l'Africa un tempo colonizzata dagli infedeli cristiani. Se l'Occidente continua a disinteressarsi del Sudan o addirittura appoggia gli integralisti come fa la Francia, ben presto il fondamentalismo diventera' anche un problema europeo, difficilissimo da arginare. Purtroppo, l'Europa dorme, anzi, trae il suo benessere dalla vendita di armi a regimi come quello di Khartoum dando forza in tal modo alla guerra santa, salvo combattere poi le azioni di terrorismo che si verificano in Europa. In Sudan, la gente piu' fortunata cerca di scappare dal massacro della guerra sempre piu' spesso, arriva anche nel Continente cercando lo stato di rifugiato politico, ma qui si sente dire: "Perche' non torni al tuo paese?". I profughi e i rifugiati sudanesi sono ormai milioni, sparsi ovunque. Di passaggio in Italia, Monsignor Cesare Mazzolari, amministratore apostolico della diocesi di Rumbak, ci ha parlato in modo accorato di come la gente sopravvive in una situazione di guerra spietata. Qual e' la situazione nella sua diocesi? C'e' una forte presenza della guerriglia. La popolazione e' stanca, non ne puo' piu', tuttavia si deve adattare perche' costretta a scegliere tra le violenze del governo di Khartoum e quelle della guerriglia. e' una sciagura continua ed un perenne fuggire senza sosta, di corsa, sotto il terrore. Nella fuga, a volte, devono abbandonare anche i bambini. Non hanno ne' cibo, ne' acqua, ne' medicine. La popolazione e' sfinita dalle troppe atrocita'. Bisognerebbe riuscire a documentare la violazione dei diritti umani, ma e' difficilissimo farlo. Sono cosi' impegnato a sopravvivere con la mia gente che non riesco a fare altro. Tengo un diario di cio' che accade ma e' molto disordinato e non riesco a registrare tutto quello che vedo... Per esempio, il 9 ottobre scorso Khartoum ha bombardato un campo di 40.000 rifugiati ma nessuno ha scattato foto per documentare l'accaduto. Nessuno puo' sapere cosa c'e' sui monti Nuba perche' non e' consentito l'accesso a nessuno. Io so che li' la gente e' stata maciullata, crocefissa e che interi villaggi sono stati incendiati e gli abitanti deportati nudi nel deserto. Perfino l'ONU non ha accesso a certe zone. Quando sono stato fatto prigioniero ho provato a scrivere le violenze praticate dalla guerriglia in quel momento ed ho inviato tutto all'ONU. Quella volta e' stata una razzia completa: hanno rubato tutto, perfino il latte di mano ai bambini, hanno distrutto ogni cosa ed ucciso senza freno. Quale futuro vede per la situazione sudanese? Non esiste possibilita' di dialogo con il fondamentalismo. L'unica possibilita' e' di agire con una pressione internazionale ad opera degli stati membri dell'IGADD (Etiopia, Eritrea, Uganda, Kenya), interessati a fermare il governo di Khartoum per impedire il diffondersi dell'integralismo islamico nei loro paesi. Bisogna fare in modo che cessi la guerra ed e' inevitabile riconoscere l'autodeterminazione al Sud Sudan che, per struttura culturale e politica, non potra' mai islamizzarsi ed arabizzarsi. Ritengo fondamentale una pressione politica internazionale, anche dell'Italia, in qualita' di membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. La strada e' difficile ma bisogna percorrere con insistenza tutti i canali diplomatici perche' penso che il peggio della guerra deve ancora venire; mi riferisco allo scontro tra fondamentalisti islamici e musulmani moderati sudanesi. Bisogna assolutamente prevenire questo ulteriore possibile massacro. Amicizie interessateAiuti militari in cambio di permessi per lo sfruttamento delle risorse naturali.C'e' questo dietro l'accordo tra parlamentari italiani e fondamentalisti islamici? Lo denuncia un giornale sudanese. BOX: E C'e' un asse Parigi Khartoum Il 7 dicembre 1994, a Roma e' stata sottoscritta un'associazione di amicizia dai Fondamentalisti Islamici del Sudan e dalla classe dirigente politica italiana. Una dichiarazione fatta circolare dopo la sottoscrizione ha dimostrato i vantaggi che entrambi i paesi potranno trarre dall'accordo. L'interesse di Khartoum e' politicamente fondato. L'isolamento internazionale ha portato il regime ad esperire tutte le strade per affermare la sua presenza all'estero. L'Italia potrebbe essere un buon alleato per la vittoria del regime in quanto essa e' un membro dell'Unione Europea. Gli interessi dell'Italia nell'accordo sono puramente economici. Il paese ha delle mire sull'evidente potenziale economico del Sudan. e' sconcertante che l'Italia abbia scelto questo momento per fare un accordo bilaterale con il regime, perche' fino ad ora gli italiani sono stati attivamente impegnati con l'Unione Europea nella condanna della violazione dei diritti umani operata dal regime. Sembra che l'interesse economico riesca a far cambiare idea anche alla nazione piu' ricca di valori. La parte italiana dell'accordo sara' portata a termine sotto gli auspici di un'agenzia chiamata "Adnkronos", che ha la sua sede a Roma in Piazza Navona e che lavora per la costituzione di associazioni e amicizie tra l'Italia e i paesi Arabi del Mediterraneo. Il fatto che il Sudan sia un paese del Corno d'Africa piuttosto che uno del Mediterraneo non sembra abbia costituito un fatto rilevante. La parte khartoumese dell'accordo sara' rappresentata dalla Organizzazione Nazionale dell'Amicizia con Altri Popoli. Questa agenzia e' guidata da un rappresentante del Fronte Islamico Nazionale (NIF), il Dottor Mustafa Osman, che e' anche un ministro del regime. I preparativi per l'accordo hanno avuto luogo all'inizio dell'anno quando il Dottor Mustafa e il Dottor El Turabi hanno compiuto il viaggio in Italia. Molti membri della classe dirigente italiana sono stati coinvolti nei negoziati e nella cerimonia della firma: il Senatore Darko Bratina del Partito Democratico della Sinistra; il Senatore Valentino Perin della Lega Nord, Maretta Scoca del Centro Cristiano Democratico e Maria Burani di Forza Italia. I diversi interessi delle parti implicate nell'accordo sono stati chiaramente indicati nel documento dell'associazione. Khartoum vorrebbe il sostegno dell'Italia per la risoluzione del conflitto Nord-Sud. Questo potrebbe essere interpretato come un eufemismo che sottende il bisogno di armi e munizioni italiane, oltre che di consulenti militari. Khartoum vorrebbe anche l'assistenza dell'Italia per uscire dall'attuale embargo contro il paese e perche' il Sudan sia cancellato dalla lista delle Nazioni Unite dei paesi che finanziano il terrorismo. Da parte sua, l'Italia vorrebbe verificare «la possibilita' di sfruttare le immense risorse naturali e minerarie del Sudan». Un particolare strano dell'occasione e' stata la presenza del vescovo melchita di Gerusalemme, che risiede abitualmente a Roma. Per ragioni sconosciute egli e' stato inserito tra i membri dell'associazione. Forse il suo interesse e' il desiderio di pace nel Sudan? Comunque, il vescovo Hilarion Capucci non e' nuovo ai giochi politici del Medio Oriente. Una volta e' stato catturato dagli israeliani mentre trasportava armi per i palestinesi, una delle ragioni per cui ancora vive in esilio. e' anche stato mandato come inviato di pace nell'Iraq di Saddam Hussein. Ci sono stati anche dei dissensi verso la firma dell'accordo. Il senatore socialista Alberto La Volpe ha sollevato la questione della recente rottura da parte di Khartoum delle relazioni diplomatiche con l'Eritrea. Quanto puo' incidere questo su un accordo Italia-Sudan? La risposta che (La Volpe) ha ricevuto da Khartoum deve essere stata meno che soddisfacente perche' il suo partito non era tra i firmatari dell'accordo. * da Sudan Democratic Gazette, U.K., Febbraio 1995. Allah e' piu' grandedi Muhammad Said Al Ashmawy *False interpretazioni ed errate applicazioni. Cosi' l'Islam e' stato ridotto al rango di una pericolosa ideologia politica. Mentre potrebbe svolgere un ruolo primario per il progresso dell'umanita'. BOX: Armi per tutti Il concetto di "diritti umani" e' un'acquisizione piuttosto recente nel campo delle scienze sociali e giuridiche. Coniato per la prima volta nella storia durante la Rivoluzione Francese, animo' la stesura della dichiarazione dei diritti umani approvata dall'Assemblea Costituente il 26 agosto 1789 e venne trasfuso piu' tardi nella "Dichiarazione internazionale dei diritti dell'uomo" promulgata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Nel 1981 altri due atti hanno visto la luce: la "Carta africana dei diritti dell'uomo e del popolo" e il cosiddetto "Ordine per i diritti umani nell'Islam" promulgato dal Consiglio islamico internazionale. L'esistenza di diverse dichiarazioni dei diritti dell'uomo testimonia che non vi e' un'unica e assoluta percezione dei diritti umani ma che, al contrario, molteplici sono i punti di vista e gli atteggiamenti rispetto al concetto in questione. La formulazione dei diritti umani nell'Islam deve necessariamente fare i conti con la nascita, nel settimo secolo, della fede islamica; sarebbe infatti antiscientifico interpretare il passato con le categorie del presente. L'islam e' nel contempo una fede certa e un percorso dinamico. In quanto fede, l'islam ai suoi albori non aveva nulla a che vedere con la politica. Purtroppo, molti orientalisti e la maggioranza dei musulmani ritengono che sia non solo una fede ma anche uno stato e che la politica ne sia il tema principale. Noi crediamo che tale idea dell'islam non sia corretta poiche' contiene in se' una confusione tra la fede e la storia, tra l'islam e l'ideologia islamica. Nel Corano si legge: "O Profeta, ascolta! Tu fosti mandato per testimoniare, per portare la buona novella e ammonire" (Sura 33). Questo verso pone un principio importante: il Profeta e' un testimone, un predicatore e un ammonitore, non colui che detta regole. Egli non si erge mai a giudice, e' soltanto arbitro delle questioni che gli vengono sottoposte; chi ha richiesto il suo arbitrato vi aderisce spontaneamente, non vi e' costretto da speciali poteri o da forze di polizia. Il Profeta non detto' regole, né fondo' un governo simile a quelli che noi tutti ben conosciamo. La giurisdizione che gli era affidata era una conseguenza del suo messaggio ed egli la attuava come qualunque capo-tribu' del suo tempo. Pertanto, si puo' affermare che la politica non e' né un pilastro della fede dell'islam sunnita (che costituisce la maggioranza) né una parte essenziale dello stesso. Piu' tardi, al tempo del quarto califfo Ali Ibn Abu Talib (655-660 d.C.), cugino e genero del Profeta, sorse un conflitto sul potere e l'ufficio del califfato (che consisteva nella guida dei fedeli), che vedeva come contendenti lo stesso califfo, da un lato, e Mu'awya (660-680 d.C.), quinto califfo e fondatore della dinastia Omayyad (661-745 d.C.). Poiche' la lotta tra le fazioni era determinata principalmente dalla conquista del potere nella comunita' e non da questioni di fede, la politica divenne l'interesse precipuo dei membri di quelle fazioni, mentre la fede assunse un ruolo del tutto marginale. Ciascuna fazione era unicamente interessata alla fede per trovarvi la giustificazione alle proprie posizioni. Fu in questo periodo che nacque l'ideologia islamica o l'islam come ideologia. In senso generale, si puo' osservare che quando la fede si esprime in termini politici, allora diventa ideologia. Come si e' gia' detto, mentre come fede l'islam ha sempre un atteggiamento spirituale di apertura e crea un percorso di vita dinamico, l'ideologia islamica - come ogni altra ideologia - si basa sulla rigidita' di un dogma ed e' ristretta nell'immobilita' delle prospettive. Essa da' origine molto spesso a un insieme di regole totalitarie e impone un sistema sociale e politico molto chiuso. In quanto fede aperta e percorso dinamico, l'islam non pretende mai di avere il monopolio – o addirittura il dominio – della verita'. Esso accetta tutte le fedi e le idee, non le nega, lasciando a Dio il giudizio finale su tutte le idee compreso lo stesso islam. D'altro canto, l'islam non e' esattamente un insieme di regole giuridiche che, di fatto, costituiscono una parte molto esigua dell'intero Corano (su 6000 versi solo 80 vertono in materia giuridica). Al contrario, la storia dell'islam e' quella di un movimento dinamico per cui ogni apporto esterno e ogni nuova idea possono significare nuova vitalita'. Questo atteggiamento permette all'islam di adottare e accettare idee e apporti nuovi, come lo stesso concetto di diritti umani. Per l'islam, la sovranita' appartiene al popolo che puo' liberamente eleggere i suoi governanti e rimuoverli pacificamente in modo incruento. L'Islam afferma il diritto di ognuno di essere credente o ateo: "Chiunque voglia credere, creda e chi non voglia credere non creda" (Sura 18 - La Caverna, 29). L'islam sostiene, anzi incoraggia l'uomo a pensare: "Non hanno essi riflettuto su se stessi?" (Sura 30 - I Romani, 18). L'atto di riflettere implica il diritto di esprimere cio' su cui si riflette e di discutere nel modo giusto le diverse opinioni. Infatti, al Profeta fu ordinato di discutere con i suoi oppositori in maniera corretta: "... ragiona con loro nel modo migliore" (Sura 16 - Le Alpi, 125). L'islam afferma e garantisce a ciascuno la sua liberta': "Ciascun uomo e' padrone di se stesso" (Sura 75 - La Resurrezione del morto, 14). L'islam pone il principio della responsabilita' e della pena individuali, nel senso che ciascuno e' responsabile delle proprie azioni: "Nessun'anima appesantita puo' portare i pesi altrui" (Sura 17 - L'al-Isra, 15). Per quanto concerne le donne, l'islam afferma l'uguaglianza tra uomini e donne: "Ed esse (le donne) hanno diritti simili a quelli (degli uomini)" (Sura 2 - La Vacca, 228). In generale, l'islam garantisce alle donne uno status migliore di quello del periodo pre-islamico. E comunque, nella sua dinamicita', esso apre la strada a nuovi diritti per le donne in conformita' a nuove situazioni e ai cambiamenti che si verifichino nello spazio e nel tempo. Nel Corano, infine, viene affermata l'unita' del genere umano, poiche' tutti abbiamo origine dagli stessi genitori. L'ideologia islamica e' comparsa prestissimo nella storia dell'islam, divenendo cosi' potente da avere il sopravvento sulla fede stessa. Essa sostiene di avere il monopolio dell'intera verita' e che l'islam ha abrogato tutte le altre religioni. Nelle mani dell'ideologia, l'islam perde il suo carattere dinamico per diventare una fede statica, una mera somma di precetti giuridici, la maggior parte dei quali non e' divina, rivelata da Dio, ma e' frutto di mente umana. Pertanto e' errato definirli Sharia o legge islamica. L'ideologia islamica considera quei precetti eterni e immutabili, perche' collocandosi fuori del tempo e dello spazio, non possono seguire i cambiamenti che hanno luogo nella vita e nella storia dell'uomo. L'ideologia islamica (o islam politico) sostiene che la sovranita' proviene da Dio e non dal popolo. Chi governa e' scelto o indirettamente nominato da Dio stesso e non dal popolo; pertanto governa in nome di Dio nei confronti del quale e' unicamente responsabile. L'ideologia islamica afferma il diritto di ognuno di scegliere l'islam, ma chi e' musulmano non ha alcun diritto di aprirsi ad altre fedi, né di mettere in discussione la propria. L'ideologia islamica sostiene che "i diritti islamici vengono prima dei diritti umani", ma non specifica quali siano i diritti islamici al punto che qualunque ideologo potrebbe darne la propria interpretazione attribuendo tale definizione a qualunque cosa. L'ideologia islamica non ammette il libero pensiero, prescrivendo invece di "ascoltare e obbedire". L'ideologia islamica concepisce la donna come un essere debole che non ha alcun diritto di lavorare fuori casa, di muoversi da sola o di guidare. Essa deve portare sempre il velo o la maschera che impediscano agli uomini di subire tentazioni. e' abbastanza strano che nessuno si sia posto il problema di che cosa succederebbe se fosse la donna ad essere tentata dall'uomo privo di velo o di maschera. L'ideologia islamica estende ai soli membri di ciascun gruppo il proprio codice etico che e', quindi, valido non per tutti e neppure per tutti i musulmani. Chi non appartiene a un certo gruppo non e' oggetto di alcuna protezione: se e' trattato bene, non lo deve al suo buon diritto ma solo alla magnanimita' di qualcuno. Simili concezioni non lasciano spazio ad alcun codice genuinamente etico e universale. A nostro avviso, c'e' un profondo iato tra l'islam in quanto fede e l'ideologia islamica e tra le loro rispettive posizioni rispetto alla questione dei diritti umani. Purtroppo, i precetti negativi e le applicazioni errate dell'ideologia islamica sono interpretati in tutto il mondo, e in special modo in quello occidentale, come appartenenti allo stesso islam. Tale confusione e' dovuta anche in parte alla volonta' dell'ideologia islamica di far coincidere se stessa con l'islam. Per rimuovere questa che, a nostro parere, e' una distorsione dell'islam che continua ad ingannare molti e che prepara la strada allo scontro tra i musulmani e gli altri popoli, il movimento islamico liberale, sorto in reazione a questo genere di mistificazioni, si batte con lo scopo di ristabilire i fondamenti veri dell'islam, di chiarirli e quindi, su questa base, procedere alla riforma della mentalita' islamica. Nel contempo, il movimento islamico liberale, che attinge le sue radici nella ragione umana, nell'etica, la scienza, la civilta' e la consapevolezza storica, intende modernizzare il pensiero islamico affinche' sia compatibile con gli elementi della moderna civilta', della tecnologia e della scienza, si sviluppi nella storia e non rimanga sospeso nel vuoto, tagliato fuori dal senso e dal divenire della storia dell'uomo. Solo quando l'islam riuscira' a separarsi dalle false interpretazioni e dalle errate applicazioni dell'ideologia islamica potra' svolgere un ruolo primario nel nostro mondo, insieme a tutti gli altri popoli, per il progresso dell'umanita' e la reale attuazione dei diritti umani. * Estratto dalla relazione tenuta presso la Columbia University e la George Washington University (USA) nell'ottobre 1994. Traduzione di Tina Ammendola. BOX dei singoli articoli Se questo e' un uomodi Carla BellaniI dati dell'ONU, della Croce Rossa, dell'UNICEF segnalano che oltre al milione e mezzo di morti, piu' di sette milioni di persone stanno morendo di fame in Sudan. Il numero aumentera' se, in breve tempo, non emergera' una soluzione al conflitto. Per indebolire la base popolare dello SPLA viene praticata la pulizia etnica tramite incendi di villaggi, avvelenamento di corsi d'acqua, razzia di bestiame, stupro di donne e cattura di bambini. Si ha certezza che nel 1992 i bambini dei monti Nuba rapiti siano stati oltre 20 mila e nel 1993 piu' di 25 mila. Testimoni oculari e osservatori stranieri riferiscono che milizie arabe del governo operano la cattura e la tratta dei bambini del Sud per venderli come schiavi ai mercanti del Nord o inviarli in altri paesi arabi. Un rapporto di Amnesty International definisce la zona dei Monti Nuba come luogo di guerra violenta e di disastro umanitario anche per la presenza dei "peace villages" dove la gente viene deportata in massa. Sui monti Nuba sono state compiute migliaia di esecuzioni extragiudiziali, torture ed anche crocifissioni. Musulmani per forzadi C. B. Il Missionary Society Act, sancito dal governo di Khartoum nel 1962, limita enormemente la liberta' e la pratica religiosa. La politica di arabizzazione impone la conversione forzata dei cristiani alla fede islamica e proibisce il culto e l'organizzazione di associazioni religiose e umanitarie. Impedisce anche l'ingresso ai cristiani nella scuola e nei posti di lavoro; provoca l'espulsione di sacerdoti e religiosi; attua la demolizione di strutture cattoliche e pratica pestaggi, arresti, torture e persecuzioni.E c'e' un asse Parigi-Khartoumdi Alessandra GarusiFin dal 1993 si è andata costruendo quella che può definirsi a ragione una collaborazione segreta tra Parigi e Khartoum, nata dall'intreccio tra cooperazione militare, interessi economici ed opportunismo politico. Una connection che, lo scorso ferragosto, ha cominciato a dare i suoi frutti. Con la consegna del terrorista d'origine venezuelana Illich Ramirez Sanchez (nome di battaglia Carlos, ma conosciuto come "lo sciacallo") alle autorità francesi Parigi ha ottenuto: maggior influenza nell'Africa francofona, concessioni petrolifere alla Total, contatti col Fis (Fronte islamico di salvezza, ndr) algerino, appalti a grosse imprese francesi; senza contare il successo per il ministro degli interni, Charles Pasqua, con le presidenziali alle porte. Mentre il governo di Khartoum ci guadagna un protettore a livello internazionale (la Francia è presidente dell'Unione Europea nel presente semestre), che ha già interposto i suoi buoni uffici per evitargli l'espulsione dall'Fmi e che gli ha fornito foto da satellite d'utilità strategica nelle offensive contro i ribelli del sud. Dato che il comportamento di Parigi pregiudica gravemente l'efficacia dell'embargo adottato dall'Europa nei confronti di Khartoum, Pax Christi sezione olandese – che ha denunciato questa connection in un dossier (pubblicato da "Nigrizia" di gennaio 1995) – ha anche deciso di presentare una documentata mozione al Parlamento europeo. Armi per tuttidi C. B. Trovare armi in Africa e' un affare assai semplice visto che vi prospera un mercato fiorente. Nel caso specifico del Sudan, trattandosi di una guerra condotta dagli integralisti islamici viene di necessita' sostenuta dagli stati a forte presenza fondamentalista.L'Iran ha addestrato intere squadre sudanesi di terrorismo d'attacco, e ha assicurato a lungo rifornimenti di petrolio; la Libia, l'Egitto ed altri paesi arabi danno sostegno ed armi a Khartoum. Ma perfino la Cina ha commerciato armi in abbondanza. Il conflitto sudanese destabilizza tutta l'area dei paesi circostanti perche' esporta tecniche e strategie terroristiche oltre i suoi confini. Un modo per frenare l'avanzata del fondamentalismo sudanese, che fa paura ai paesi confinanti, e' di sostenere la guerriglia del Sud Sudan fornendole armi ed appoggi militari. e' quanto stanno facendo tanti stati africani, l'Uganda in particolare. |