Missione SudanTra i monti della Nuba, dove una popolazione dimenticata dal mondo e' decimata dalla persecuzione, una Chiesa ritrova la sua identita' Da oltre dieci anni un prete cattolico non metteva piede in quella regiose dove la repressione del regime fondamentalista islamico e' piu' violenta. Un missionario comboniano e' tornato tra la sua gente in condizioni avventurose e ha ritrovato una comunita' viva ad accoglierlo. Questa e' la cronaca del suo viaggio. Il piccolo bimotore atterra su una minuscola striscia di terra battuta tra i campi di sorgo, con il suo carico prezioso: medicinali, attrezzi da lavoro, qualche pacco di sementi, un po' di attrezzature per la scuola; e due grosse taniche con 400 litri di carburante che serviranno per il ritorno. E' quanto consente di trasportare lo spazio a bordo. Il volo da Nairobi, con una tappa per un rifornimento, e' durato oltre sei ore, a quota molto bassa per sfuggire agli avvistamenti. A bordo, oltre al pilota, ci sono Davide De Michelis, un cineoperatore torinese, il fotografo Gian Marco Elia, dell'Associazione Comunita' Nuova", un giornalista di Nairobi, Albert Mori e padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano con base nel Kenia e il cuore nel Sudan. E' la prima volta, da dieci anni, che un prete cattolico mette piede tra queste montagne della Nuba, dove la persecuzione del regime fondamentalista islamico, al pari di quel che avviene nel Sud del Paese, ha fatto terra bruciata dell'economia rurale, rastrellando popolazioni, razziando beni, compiendo violnze su donne e bambini. Con la sola differenza che di quel che avviene nel Sud se ne parka, seppure raramente, mente questa popolazione e' dimenticata dal mondo, il suo genocidio si consuma nel silenzio totale: qui non vi sono operatori delle grando organizzazioni internazionali, volontari o medici a portare assistenza o una testimonianza di solidarieta'; anche i missionari sono stati costretti ad andarsene per le continue violenze. Questa gente e' rimasta sola con la propria rassegnazione. Quello dei Nuba e' un territorio grande quanto meta' Italia, collinoso, scarsamente abitato, dai panorami sconfinati, un'africa di altri tempi se ci fermassimo soltanto alle apparenze. Geograficamente appartiene al Nord del Paese, ma una parte del territorio e' controllato dal movimento di liberazione (Spla), al pari di quel che avviene nel sud e qui i guerriglieri che si oppongono al regile di Khartoum fanno capo a Yusuf Kuwa, un atletico personaggio, meta' umanista e meta' guerrigliero, che scrive poesie e odia i fanatismi. Spiega padre Kizito che i Nuba sono una popolazione ai margini della vita del Paese, con caratteristiche etniche molto particolari: un amalgama di 52 tribu', culturalmente molto ricco; alcuni sono discendenti di schiavi sfuggiti alle carovane negriere che transitavano da quei territori, i piu' hanno subito la colonizzazione araba, senza integralismi, altri si sono convertiti al cristianesimo, una piccola parte e' copta, il resto segue religioni tradizionali. Tutti hanno in comune il senso della tolleranza e della convivenza, una vita sociale fondata sulla partecipazione. Anche la vita religiosa - spiega padre Kizito - si e' sempre svolta all'insegna di questa pacifica comprensione; musulmani e cristiani vivono nel rispetto reciproco: vi sono iman che partecipano alle preghiere delle comunita' cattoliche recitando il Padre Nostro con i fratelli di fede diversa. Ma da quando il regime di Khartoum ha deciso l'intergrazione culturale e religiosa forzata, sotto la spinta del fondamentalismo, sono cominciati gli espropri di terre, la disintegrazione della societa' e la persecuzione; anche la Chiesa si e' impoverita: sono rimasti solo alcuni diaconi e i catechisti a cui e' toccata l'eredita' di tenere viva nella popolazione la pratica religiosa. Padre Kizito, lecchese di nascita, che sta a Nairobi con un altro comboniano, monsignor Mazzolari, dividendo con lui le preoccupazioni e le attivita' di assistenza alle popolazioni del Sudan, pensava da tempo a una visita tra i Nuba; viaggio a rischio, per le difficolta' di raggiungere le zone controllate dallo Spla senza incorrere nell'artiglieria o nelle milizie governative. Due volte ha dovuto cancellare il viaggio gia' organizzato: alla vigilia dell'ultima partenza c'era stata una furiosa battaglia nel luogo dove sarebbe dovuto atterrare l'aereo. Nell'estate scorsa, finalmente, l'impresa e' riuscita e padre Kizito con i suoi amici e' arrivato a destinazione. "Avevo mandato un messaggio qualche tempo prima, avvisando del mio prossimo arrivo - racconta - e il tam tam aveva diffuso la notizia: cosi' all'arrivo dell'aereo ho trovato una piccola folla ad attendermi, rappresentanti di comunita' cattoliche e catechisti, alcuni dei quali avevano fatto tre giorni di viaggio a pieni per venire a incontrarmi. Avevo con me una vecchia lista di catechisti della docesi e ho provato a fare l'appello: ne ho ritrovati l'ottanta per cento ed e' stata un'emozione profonda, un segno di continuita' e di speranza della Chiesa che nonostante tutto continua a vivere. Mi hanno mostrato i libri con centinaia di nomi di battezzati e di matrimoni celebrati in questi anni. I diaconi mi hanno spiegato che, non potendo celebrare la messa e distribuire l'Eucarestia, benedicono loro una specie di pane non lievitato e lo danno alla gente come segno di comunione ". Dice padre Kizito: "In queste condizioni la Chiesa diventa missionaria e si autopropaga, crea forme di comunita' che rispondono a bisogni locali. Sai cosa mi ha detto un diacono prima di partire? "Padre, perche' non ci mandi l'Eucarestia con un aereo?"". Nei giorni passati tra i Nuba, il gruppetto di visitatori ha potuto girare, a piedi naturalmente, alcuni villaggi rendendosi conto di persona delle condizioni di vita: sono villaggi di capanne distanti ore di cammino, molto spopolati dalle deportazioni. Hanno visto capanne distrutte e crateri di bombe, hanno raccolto testimonianze di scontri armati e di violenze subite dalle popolazioni. "La situazione sanitaria e' seria; - dice padre Kizito - non ci sono medici ne' personale sanitario, sono in ripresa le epidemie di Kalazar (una malattia ai polmoni che porta alla morte in breve tempo, provocata da un moscerino) e le labbra, facilitate dall'isolamento delle popolazioni. "Questa gente - dice ancora padre Kizito - vive con la prospettiva di dover fuggire da un momento all'altro, sotto la paura dei rastrellamenti o delle incursioni degli Antonov. Sarebbe una zona fertile se gli abitanti potessero vivere in pace: i raccolti non mancano ma sono a rischio e non ci sono le sementi. L'emarginazione li ha impoveriti, non hanno commercio, sono tornati a coprirsi di pezzi cuciti insieme o di fibre vegetali. Un paio di calzoni viene barattato con una vacca." "Eppure - conclude padre Kizito - nonostante le condizioni penose di vita, le persecuzioni e la guerra incombente, non abbiamo raccolto lamenti, ma solo ringraziamenti. Sono popolazioni di grande dignita', affinate dalle difficolta' e dalle sofferenze. La nostra visita le ha fatte sentire unite a una comunita' piu' grande che e' partecipe alle loro sventure". Ci sara' un seguito a questo viaggio? Padre Kizito e' sicuro di si'. Progetta di tornare tra i Nuba al piu' presto, anche se i rischi non mancano. L'idea e' di celebrare il Natale tra quelle popolazioni in compagnia del fotografo Gian Marco Elia, per dividere la grande festa con i bambini del luogo. Intanto con monsignor Mazzolari ha avviato un piano di progetti che mirano a riaprire le scuole chiuse da vent'anni, ridare un minimo di assistenza sanitaria, e far rivivere l'agricoltura. (Famiglia Cristiana n.42 del 25/10/95, articolo di Claudio Ragaini, foto di Gian marco Elia) |