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Roma: i plebei

 

I PLEBEI DICONO "SIGNORNO'"

 

Una delle forme di lotta piu' efficaci utilizzate dai plebei per minacciare i privilegi dei patrizi era la "secessione", "una specie di sciopero che i plebei proclamavano quando era in corso una guerra, rifiutandosi di combattere e ritirandosi in massa su un colle. Con i nemici alle porte e l'esercito che si rifiutava di combattere, ai patrizi non restava altro da fare che scendere a patti e trovare un accordo. Ma la secessione aveva un difetto: era una manifestazione occasionale e i suoi effetti si esaurivano non appena i patrizi riprendevano il controllo della situazione." (CG1 p.XXVIII)

La "disobbedienza" dei plebei, il loro rifiuto di combattere puo' essere considerata una delle prime forme di lotta nonviolenta verso i patrizi che li opprimevano.

Il colle sul quale i plebei si ritiravano "minacciando" di costruire una propria citta' nuova e "plebea" si chiama ancora oggi "Monte Sacro" ed e' oltre l'Aniene.

Va notato che la forma di lotta scelta dai plebei era talmente efficace che i patrizi capirono ben presto che potevano comandare su Roma solo associando i plebei ai "benefici" delle guerre. Nacque allora un "consociativismo" che - pur non dando ai plebei parit di diritti - rimosse i piu' vistosi steccati che, dividendo i plebei dai patrizi, costituivano una forma di "apartheid". Nel 445 a.C. cadde il divieto che impediva a patrizi e plebei di sposarsi. Nel 367 a.C. i plebei ottennero di poter accedere alla carica di console.

La mossa dei patrizi - associare i plebei, in posizione subalterna, alla spartizione del bottino di guerra - fece sfogare all'esterno la tensione accumulatasi all'interno della societa' romana. I plebei da "dominati puri" diventarono anche loro, in piccolo, dei "dominatori" e si sentirono accomunati ai patrizi da un medesimo sentimento patriottico. La spartizione del bottino fra patrizi e plebei fece nascere il senso di appartenenza ad un'unica patria, anzi alla Patria. Nacque l'"unita' nazionale". E con essa il senso di essere su "un'unica barca" di cui anche i plebei avevano l'interesse che non affondasse. Solo una volta raggiunta tale compattezza sociale interna Roma comincio' la conquista della penisola.

Il sistema istituzionale non si trasformo' in un sistema "democratico" sul modello ateniese ma acquisto' l'aspetto di un complesso sistema lottizzato a cui i rappresentanti della plebe potevano accedere - entro limiti precisi e senza mettere in discussione il ruolo del Senato - ritagliandosi la propria fetta di potere. I tribuni della plebe, da rappresentanti "sindacali" del popolo romano si istituzionalizzarono trasformandosi in una parte (spesso corrotta) dello stesso stato romano, ossia in un'istituzione-cerniera finalizzata a bilanciare, mediare ed ammortizzare le tensioni sociali. E quando queste ultime crescevano - anziche' sottrarre risorse e potere ai patrizi - i plebei si abituarono a chiedere una fetta di bottino in piu'. E i plebei, originariamente forti per la loro tattica nonviolenta, finirono per vedere nella guerra un elemento del "welfare state" di allora e del proprio "benessere".

 

 

IL GRACCHI E IL BOTTINO

 

Ma le guerre avevano il loro risvolto amaro: campi non coltivati per mesi, per anni. Le guerre puniche costituirono una tremenda prova per i plebei e danneggiarono i contadini. Sommersi dai debiti finivano per vendere le proprie terre ed affluire nelle citta' per chiedere protezione ai "potenti". Le guerre puniche non avevano redistribuito il "bottino" in modo vantaggioso per i plebei contadini ed avevano fatto crescere economicamente solo la fascia "alta" della classe sociale plebea (in genere costituita da commercianti) che fini' per diventare la "classe media" della societa' romana, ossia il baricentro stabilizzatore di uno stato nato originalmente su una contrapposizione ricchi-poveri.

Rimaneva pero' il dato stridente della crisi economica - a causa della guerra - della classe dei contadini, ossia di quella plebe povera che aveva costituito la base sociale delle origini di Roma. Dopo le guerre puniche Roma si trovava in una situazione di intollerabile "suddivisione ineguale" del bottino. Lo era sempre stato ma ora per i plebei poveri era evidente che i costi della guerra non erano stati compensati dai benefici.

L'azione riformistica dei Gracchi ebbe un evidente limite: mirava a spartire con piu' equita' l'agro pubblico, ossia "il bottino".

Dopo l'assassinio del fratello Tiberio, Caio Gracco intui' l'importanza e l'urgenza di dare la cittadinanza agli Italici: combattevano e morivano per Roma e non avevano i diritti dei cittadini romani. Anche qui una questione di "equita'" nell'ambito di una politica imperialistica basata sulla guerra. Mai i Gracchi si posero le seguenti questioni:

- una revisione della politica di conquiste ed una "riconversione" dell'economia romana da economia a predominanza militare ad economia a predominanza civile;

- un'alleanza fra plebei poveri e schiavi per trasformare la societa' sulla base dei piu' elementari principi di giustizia e di umanita'.

Va notato che dal 139 al 132 a.C. migliaia di schiavi si ribellarono e fuggirono in massa da campi ed ergastoli, esasperati dalle disumane condizioni di lavoro; la rivolta, partita da Enna, dilago' rapidamente, legioni romane furono a piu' riprese sconfitte da una rivolta che aveva acquistato i caratteri di una vera e propria guerra e che impressiono' i cittadini di Roma; gli schiavi sconfitti e crocifissi a migliaia nel 132 a.C., anno in cui Tiberio Gracco veniva eletto tribuno della plebe per la seconda volta e che faceva le proprie proposte di equa suddivisione dell'agro pubblico cosciente della situazione esacerbata ed esplosiva in cui viveva a Roma la plebe povera; ma le due "polveriere" - la plebe povera da una parte e gli schiavi dell'atra - furono tenute rigorosamente separate. Nel 73 a.C. la polveriera schiavistica sarebbe riesplosa con Spartaco.

Il "riformismo" dei Gracchi non metteva in discussione il modello economico della nuova societa' romana basato sul "bottino" e sugli "schiavi" ossia sulle conquiste militari e sulla riduzione in schiavitu' degli altri popoli, due facce di una medesima economia che non poteva sostenersi prescindendo dalla guerra.

Eppure erano proprio gli schiavi a dare ai senatori enormi profitti (quei senatori che decretarono la morte dei Gracchi), a rendere i latifondi competitivi (riduzione dei prezzi dei prodotti agricoli grazie alla mano d'opera schiavistica) e a spingere "fuori mercato" le imprese familiari che tradizionalmente avevano costituito la spina dorsale dell'economia agricola romana. La competitivita' degli schiavi come mano d'opera a basso prezzo e a salario zero (viene da pensare ai robot di oggi) fece si' che il plebeo odiasse lo schiavo (viene da pensare alla rivolta luddista contro le macchine) senza che il suo "luddismo" eliminasse la matrice della schiavitu', ossia la guerra, ossia la profonda origine del terremoto economico, ristrutturando le basi produttive romane, demoliva la classe dei plebei poveri.

 

 

I PLEBEI DICONO SIGNORSI'

 

La classe sociale dei plebei, costituita in origine dai piccoli e medi contadini, venne totalmente scompaginata dalla crisi. La proposta dei Gracchi di una piu' equa suddivisione dell'agro pubblico, una volta sfumata come prospettiva praticabile mediante il diritto, venne ripresa in forma militarizzata da Gaio Mario. Come avrebbero potuto avere le terre i plebei? Combattendo i massa ed arruolandosi stabilmente. Il plebeo combattente avrebbe avuto - in cambio del suo fedele servizio di conquista e di saccheggio autorizzato dalla Patria - dei soldi. Dando i soldi al plebeo combattente nacque il "soldato" ("as-soldato", chi percepisce il "soldo"), ossia il combattente di professione. L'inserimento dei poveri nell'esercito valse a Mario la fama di "democratico". Nacque cosi' l'esercito di professione, fedele prima ai generali e poi allo Stato. L'esercito di professione ebbe due conseguenze:

- dette a Roma la possibilita' di combattere continuamente senza che venisse meno la mano d'opera nei campi (inconveniente lamentato agli inizi dell'espansionismo romano) e rendendo possibile anzi un flusso di prigionieri che - una volta marchiati a fuoco come schiavi - diventavano preziosi robot in grado di lavorare gratuitamente nei campi dei senatori e di aumentare la produzione agricola;

- accese la miccia ad una nuova esplosiva fase della storia romana: quella delle guerre civili. I soldati, vedendo nel denaro la loro patria, identificarono nei generali l'origine del loro denaro e quindi l'origine della patria stessa. L'obbedienza al generale si sostituiva all'obbedienza allo stato e il generale veniva ad incarnare la patria stessa, in quanto datore di lavoro. Era il generale che infatti garantiva prima il "posto" e poi la pensione e la "liquidazione", assicurando ai suoi "fedeli" quel pezzo di terra che i Gracchi non erano riusciti a garantire ai loro "fedeli". Il pragmatismo militare, l'efficienza del generale di conquistare e redistribuire, dette ai plebei l'impressione di una maggiore "concretezza": dalle "parole" dei Gracchi ai "fatti" dei generali. Fare la guerra divenne una normale attivita' produttiva, anzi l'attivita' regina, senza la quale le altre si sarebbero inceppate. E fu proprio - qualche secolo dopo - l'impossibilita' dell'Impero Romano di espandersi militarmente all'infinito che provoco' il cortocircuito economico: le risorse, non piu' rastrellabili all'"esterno" tramite la guerra vennero sempre piu' rastrellate all'"interno" in forma di tassazione via via sempre piu' esosa; e chi scappava dalle tasse veniva "incollato" sulla sua terra. Dall'impossibilita' di scappare nacque cosi' la servitu' della gleba: servi della terra in cui si era nati, di generazione in generazione.

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