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Dalla preistoria alla storia

 

SIAMO UOMINI O BESTIE?

 

L'uomo e' uno dei pochi animali che uccide i suoi simili. Se si esclude l'uccisione dei cuccioli o rituali legati all'accoppiamento, e' davvero difficile trovare casi di "assassinio" all'interno di una stessa specie. Le zuffe, le sfide e i duelli portano ad un vincitore e ad un vinto (a volte ferito) senza pero' che lo scontro si concluda con la morte di uno dei due contendenti. L'istinto di autoconservazione animale porta ad un uso della violenza canalizzato - nelle sue forme estreme - verso l'esterno: l'animale uccide un animale di un'altra specie, raramente della stessa specie.

All'interno delle specie animali e' rarissimo riscontrare "guerre" che indeboliscano le prospettive di vita. Nel corso della storia umana l'autodistruttivita' e' enormemente superiore a quella delle altre specie. Nessuna specie - tranne l'uomo - mette a rischio se stessa. La storia umana e' una sequela di situazioni che gli animali non capirebbero con il loro "buon senso".

Quando si dice che "si e' uomini e non bestie" - indicando nella "umanita'" una condizione di civilizzazione e quindi di superamento della violenza bestiale - si ripete un luogo comune a cui non corrisponde un'effettiva civile "superiorita'" dell'uomo sugli altri animali. Nella realta', quindi, la "civilta'" non ha modificato in meglio il rapporto dell'uomo con la violenza. La "civilta'" ha dato giustificazioni culturali alla violenza, facendola apparire "giusta" oltre che "necessaria" al perseguimento di un fine, aumentandone la potenza e l'organizzazione sia sotto il profilo tecnico che ideologico.

Da questo punto di vista l'"umanesimo" ha creato attorno all'uomo un'atmosfera culturale di sacralita' artificiale, un'autocelebrazione della "centralita'" dell'uomo che sara' conquistata solo quando l'uomo tornera' ad essere "bestia", risolvendo i conflitti senza uccidere un proprio simile.

Il nuovo umanesimo e' l'impegno della cultura per una prospettiva nonviolenta. E' l'impegno della cultura per demistificare e "smontare" quel colossale apparato culturale e scientifico che rende l'uomo superiore alla bestia in termini di efficacia della violenza e che lo degrada a livelli sicuramente inferiori alla bestia in termini di risoluzione delle controversie all'interno della specie.

"Piu' conosco gli uomini, piu' voglio bene alle bestie", diceva Toto' in un film ("Uomini e caporali").. Frasi del genere sono state giudicate qualunquistiche. Qualunquistico e' rassegnarsi a tale constatazione. Ma ignorare la follia della storia umana fa parte delle regole della follia.

 

 

DARWIN E L'EVOLUZIONISMO

 

Con Darwin il concetto di "lotta per la sopravvivenza" e' diventato un'ipotesi scientifica esplicativa dell'evoluzione. Darwin e' stato pero' utilizzato in chiave razzista per sottolineare il concetto di "vittoria del migliore", ossia di selezione del piu' forte e del piu' "civile". Con il positivismo evoluzionista della meta' dell'Ottocento la storia umana - non solo l'evoluzione della specie - e' stata interpretata come selezione delle civilta' piu' forti e di sottomissione delle civilta' piu' deboli, continuando cos lo schema storico di Hegel: "Cio' che e' reale e' razionale, cio' che e' razionale e' reale". Dalla preistoria al colonialismo la storia - in simile schema - sarebbe una successione di "civilta' superiori", selezionate dai durissimi esami della storia.

Oggi e' possibile reinterpretare Darwin e vedere - all'interno del suo schema della "lotta per la sopravvivenza" - la questione della tutela del Pianeta e della salvaguardia dell'umanita' dall'autodistruzione. La lotta dell'umanita' e' oggi infatti una lotta contro i propri limiti culturali e l'evoluzione non avviene piu' in termini "razziali" ma culturali. L'umanita' rischia di scomparire non per debolezza fisica ma per l'eccessiva forza non accompagnata dalla consapevolezza. Nella lotta per l'evoluzione l'antagonista e' la stupidita' di Rambo che distrugge il Pianeta.

 

 

DALLA PREISTORIA ALLA STORIA

 

Il passaggio dalla preistoria alla storia segno' un aumento o una diminuzione della saggezza umana? La civilta' fece diminuire o aumentare la violenza?

E' fin troppo facile rispondere che la "civilta'" - uso dei metalli e della scrittura - segno' un'aumento dell'efficienza nell'uso della violenza e non un aumento della saggezza (ossia un'auto-limitazione). La violenza economica (sfruttamento, stratificazione sociale piramidale, cristallizzazione dei privilegi e loro riproduzione storica assicurata da un apparato repressivo militare) richiese una parallela violenza che si tradusse tecnicamente in corpi militari, gerarchie, codici morali basati sull'obbedienza.

Ecco perche' e' improponibile una "societa' nonviolenta" in cui esistano privilegi, forme di oppressione e di sfruttamento.

L'appello alla "pace" da parte di chi comanda e' stato giudicato dalle classi oppresse come un appello all'obbedienza, al mantenimento dello stato di cose esistente. La pace e' stata insegnata in termini di "non ribellione" ed il termine - in quest'accezione - e' stato ampiamente usato dai Romani.

Oggi l'"educazione alla pace" e la "cultura della nonviolenza" soffrono di quest'abbinamento all'ideologia della rassegnazione in cui le classi dominanti (e sacerdotali) hanno relegato i concetti di pace e nonviolenza.

Pace e nonviolenza oggi possono essere efficaci strumenti di destrutturazione dei dispositivi della violenza se progettano e attuano la non obbedienza intesa come ritiro cosciente dell'appoggio pratico e del consenso. I "progetti di disobbedienza" di massa e la realizzazione di una societa' nonviolenta (in quanto capace di eliminare privilegi che richiedono la violenza per autoriprodursi) richiedono oggi forti investimenti culturali ed educativi.

 

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