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Conquista dell'America e colonialismo

 

LA "SCOPERTA" DELL'AMERICA

 

"L'ammiraglio Colombo, quando scopri' l'isola di Hispaniola [Haiti], vi trovo' un milione di indiani e di indiane. Di tutti questi, e di quelli che sono venuti dopo, io credo che, nel presente anno 1535, non ne rimangano che 500, sia piccoli che grandi. Alcuni conquistatori fecero lavorare gli indiani in modo eccessivo, altri li nutrirono in modo insufficiente. E per di piu' gli uomini di questo paese sono per natura cos odiosi, viziosi, sfaticati, melanconici, codardi, sudici, mentitori, incostanti! Molti di loro, per proprio piacere e passatempo, si fecero morire di veleno, per non lavorare affatto. Altri si impiccarono con le proprie mani. Altri ancora morirono di malattia. Per quanto mi riguarda, io ritengo che nostro Signore ha permesso che queste genti selvagge, rozze e bestiali fossero gettate via e estirpate dalla superficie terrestre a causa dei loro enormi e abominevoli peccati." (CG1 p.198)

Fernando de Oviedo, uomo di corte al servizio della monarchia spagnola, cosi' costruiva lo "stereotipo" del "diverso" da distruggere.

Opposta l'immagine degli indios fornitaci dal frate Bartolomeo de las Casas: "Tutta questa gente di ogni genere fu creta da Dio senza malvagita' e senza doppiezza, obbedientissima ai suoi signori naturali e ai cristiani, ai quali prestano servizio; la gente piu' umile, piu' paziente, piu' pacifica e quieta che ci sia al mondo senza alterchi ne' tumulti, senza risse, lamentazioni, rancori, odi, progetti di vendetta. Sono nello stesso tempo la gente piu' delicata, fiacca, debole di costituzione, che meno puo' sopportare le fatiche e che piu' facilmente muore di qualunque malattia; non c'e' da noi figlio di principe o signore nato nel lusso e nella vita delicata che sia piu' delicato di loro, per quanto tra di loro vi siano di quelli che sono della stirpe dei lavoratori. Sono anche gente poverissima, e che non possiede, ne' vuole possedere, beni temporali; e per questo non e' superba, ne' ambiziosa, ne' cupida. Il loro cibo e' tale che quello dei santi padri nel deserto non pare essere stato piu' ridotto ne' piu' spiacevole e povero (...) La loro intelligenza e' limpida, sgombera e viva: sono molto capaci e docili ad ogni buona dottrina, adattissimi a ricevere la nostra fede cattolica, e ad assumere costumi virtuosi; anzi, sono la gente piu' adatta a cio' che Dio creo' nel mondo (...) Tra queste pecore mansuete, dotate dal loro pastore e creatore delle qualita' suddette, entrarono improvvisamente gli spagnoli, e le affrontarono come lupi, tigri o leoni crudelissimi da molti giorni affamati (...) Basti pensare che nell'isola di Hispaniola [Haiti] trovammo circa tre milioni di anime, e oggi di indigeni non vi sono piu' di duecento persone. L'isola di Cuba, lunga quasi quanto da Valladolid a Roma, e' oggi quasi del tutto spopolata." (DG1 p.188)

Un umanista spagnolo del XVI secolo - Juan Gines de Sempuvelda - giustifica le atrocita' degli spagnoli prendendo spunto dai sacrifici umani compiuti dagli indigeni e dalle violenza esistenti al loro interno: "Cosa potresti aspettarti da uomini abbandonati ad ogni genere di intemperanza e nefasta libidine, molti dei quali si nutrivano di carne umana? Non credere che prima della venuta dei cristiani vivessero in ozio, nello stato di pace dell'eta' di Saturno cantata dai poeti, che' al contrario si facevano la guerra in continuazione, con tanta rabbia da non considerarsi vittoriosi se non riuscivano a saziare con le carni dei loro nemici la loro fame portentosa..." (DG1 p.189)

Sembra di leggere la sicura oratoria di un moderno opinion maker sulle colonne dei nostri giornali. Un "opinion maker" mirante a creare idee chiare, a pulire le coscienze dai dubbi, a costruire stereotipi e giustificazioni a supporto della legittima bonta' delle azioni di intervento militare. "Spesso sono dispersi a migliaia - aggiunge l'"umanista" spagnolo - e fuggono come donnette, sbaragliati da un numero cosi' esiguo di spagnoli che non arriva neppure al centinaio." Il tutto e' compiuto dagli spagnoli in nome della loro cultura, per "le doti di prudenza, ingegno, magnanimita', temperanza, umanita', religione" indubbiamente schiaccianti rispetto ad indios "che non conoscono l'uso delle lettere, che non conservano alcun documento della loro storia (escluso qualche tenue ed oscuro ricordo di alcuni avvenimenti affidato a certe pitture), non hanno alcuna legge scritta, ma soltanto istituzioni e costumi barbari." (DG1 p.189)

Viene da domandarsi quale funzione abbiano avuto storicamente gli intellettuali rispetto alla guerra e alla violenza e se l'"interventismo" predominante dimostrato nei momenti storici cruciali sia stato frutto di un rispecchiamento di stati d'animo collettivi o una strutturale funzione storica "militare" che ha trasformato gli intellettuali in guerrieri dato che la loro cultura non metteva in dubbio il militarismo. Basti pensare all'incapacita' ancora ora di scrivere una storia che dia il giusto peso alla pace e alla nonviolenza.

Altri spunti di riflessione sul colonialismo si possono ritrovare sul libro "La scoperta dei selvaggi. Antropologia e colonialismo da Colombo a Diderot", a cura di G.Gliozzi, ed.Principato.

 

 

LA VIOLENZA AZTECA FAVORISCE COLOMBO

 

All'inizio del XIII secolo dopo Cristo in Messico "gli Aztechi, chiamati gia' allora Mexica, instaurarono nella zona un vero e proprio regime di terrore. I loro inviati, accompagnati da scorte armate, percorrevano instancabilmente il paese per riscuotere tributi e punivano spietatamente ogni infrazione. La loro stessa religione, che permeava l'intera vita civile e militare, era una religione pessimista e crudele. Il loro dio principale esigeva sacrifici umani e le vittime facevano parte del tributo offerto dai sudditi. Nel XIII e XIV secolo si calcola che venissero sacrificate circa 10.000 persone all'anno, una cifra che sali' fino a 50.000 nell'epoca dei viaggi di Colombo." (CG1 p.121)

 

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